Una carrozza dei Guardiani ci accompagnò da Temple a Belgravia, costeggiando il Tamigi, e stavolta riuscii a riconoscere molti angoli della città che conoscevo. Il sole illuminava il Big Ben e la cattedrale di Westminster, e con mia grande gioia gli ampi viali erano gremiti di persone a passeggio, con cappelli, parasole e abiti leggeri uguali al mio, i parchi erano accesi di verde primaverile, le strade erano asfaltate e niente affatto fangose.
«Sembra l’ambientazione di un musical!» esclamai. «Anch’io voglio un parasole così.»
«Abbiamo scelto proprio una bella giornata», osservò Gideon. «E un buon anno.» Aveva lasciato il cilindro nel sotterraneo e, siccome al suo posto avrei fatto lo stesso anch’io, non gli avevo detto niente.
«Perché non abbiamo incontrato Margret a Temple, quando ci andava per trasmigrare?»
«Ci ho provato già due volte. Non è stato facile convincere i Guardiani delle mie buone intenzioni, nonostante la parola d’ordine e l’anello con sigillo e tutto il resto. È sempre molto difficile prevedere le reazioni dei Guardiani del passato. Nel dubbio preferiscono mettersi dalla parte del viaggiatore del tempo che conoscono e che hanno il compito di difendere, piuttosto che credere al visitatore del futuro che spesso non conoscono affatto. Lo stesso hanno fatto stanotte e stamattina. Con una visita a casa sua forse saremo più fortunati. Di sicuro la coglieremo di sorpresa.»
«Non è possibile che sia sorvegliata giorno e notte da qualcuno che aspetta solo il nostro arrivo? Lei dopotutto ci conta. E già da molti anni, giusto?»
«Negli Annali dei Guardiani non c’è traccia di incarichi straordinari di sorveglianza. Solo il novizio di ordinanza che tiene d’occhio la casa di ogni viaggiatore nel tempo.»
«L’uomo nero», esclamai. «Ce n’è uno anche davanti a casa nostra.»
«Scommetto che è piuttosto riconoscibile.» Gideon sorrise.
«Già, proprio così. La mia sorellina crede che sia un mago.» Così dicendo mi venne in mente una cosa. «Tu hai fratelli o sorelle?»
«Un fratello più piccolo», rispose Gideon. «Oddio, così piccolo poi non è. Ha diciassette anni.»
«E tu?»
«Diciannove», rispose Gideon. «Quasi.»
«Se non vai più a scuola, che cosa fai? A parte viaggiare nel passato, ovvio.» E suonare il violino. E qualunque altra cosa facesse.
«Ufficialmente sono iscritto alla University of London», rispose.
«Ma credo che salterò questo semestre.»
«Che facoltà?»
«Ma sei proprio curiosa, lo sai?»
«Conduco solo una conversazione», replicai. Quell’espressione l’avevo imparata da James. «Allora, che cosa studi?» «Medicina.» Sembrava un po’ impacciato.
Io soffocai un «oh!» di sorpresa e tornai a guardare fuori dal finestrino. Medicina. Interessante. Molto interessante. «Quello insieme a te oggi a scuola è il tuo ragazzo?» «Cosa? Chi?» Lo guardai interdetta.
«Quel tizio dietro di te, che ti teneva la mano sulla spalla.» Sembrava una domanda casuale, quasi disinteressata.
«Ti riferisci a Gordon Gelderman? Dio ce ne scampi!»
«Se non è il tuo ragazzo, perché può toccarti?»
«Non può farlo. Sinceramente non mi sono nemmeno accorta che l’abbia fatto.» E il motivo era perché ero troppo occupata a osservare Gideon che si scambiava tenerezze con Charlotte. Quel ricordo mi fece arrossire violentemente. Lui l’aveva baciata. Almeno quasi.
«Perché sei arrossita? Per colpa di Gordon Gallahan?» «Gelderman», lo corressi.
«Quello che è. Aveva l’aria da idiota.»
Scoppiai a ridere. «In effetti si comporta anche come tale», dissi. «E bacia in maniera orribile.»
«Certi particolari non mi interessano.» Gideon si chinò per allacciarsi una scarpa. Quando si rialzò, incrociò le braccia sul petto e guardò fuori dal finestrino. «Guarda! Siamo già a Belgrave Road. Sei curiosa di conoscere la tua trisavola?»
«Sì, molto.» Dimenticai all’istante ciò di cui stavamo parlando. Era tutto così strano. La mia trisavola che stavo per incontrare aveva diversi anni meno di mia madre.
Doveva essersi accasata bene, perché la dimora su Eaton Place davanti alla quale si fermò la carrozza era molto signorile. E il maggiordomo che ci aprì la porta lo era altrettanto. Era persino più altezzoso di Mr Bernhard. Portava addirittura i guanti bianchi!
Ci osservò diffidente mentre Gideon gli porgeva un biglietto da visita e lo informava che eravamo visitatori a sorpresa per il tè. Di sicuro la sua vecchia amica Lady Tilney sarebbe stata molto felice di sapere che Gwendolyn Shepherd era passata a trovarla.
«Credo che non ti ritenga all’altezza», gli dissi dopo che il maggiordomo si era allontanato con il biglietto da visita. «Senza cappello e basettoni.»
«E senza baffi», aggiunse Gideon. «Quelli di Lord Tilney vanno da un orecchio all’altro. Guarda, quello è il suo ritratto.»
«Oh, mio Dio», esclamai. La mia trisavola aveva davvero un gusto bizzarro in fatto di uomini. I baffi del ritratto erano di quelli che di notte vanno arrotolati intorno ai bigodini.
«E se non volesse riceverci?» domandai. «Forse non ha voglia di rivederti così presto.»
«Così presto mica tanto. Per lei sono passati quasi diciotto anni.»
«Così tanti?» Sulle scale era comparsa una donna, alta e slanciata, la chioma rossa pettinata in un’acconciatura non dissimile dalla mia. Era identica a Lady Arisa, ma con trent’anni di meno. Osservai stupefatta che anche la sua andatura rigida era perfettamente identica a quella di Lady Arisa.
Quando si fermò davanti a noi, restammo tutti in silenzio, talmente eravamo assorti nell’osservarci a vicenda. Riconobbi anche qualcosa di mia madre nella mia trisavola. Non so che cosa o chi Lady Tilney vedesse in me, ma annuì sorridendo, come se la mia vista l’avesse soddisfatta.
Gideon aspettò ancora qualche momento, poi disse: «Lady Tilney, ho da farle sempre la stessa richiesta di diciotto anni fa. Abbiamo bisogno di qualche goccia del suo sangue».
«E la mia risposta resta quella di diciotto anni fa. Non otterrai il mio sangue.» Gli voltò le spalle. «Però posso offrirvi un tè. Anche se è un pochino troppo presto. Comunque davanti a una bella tazza di tè si chiacchiera meglio. »
«Allora accettiamo volentieri una bella tazza di tè», rispose Gideon galante.
La seguimmo di sopra in una stanza laterale della casa. Sotto la finestra c’era un tavolino rotondo apparecchiato per tre, con piatti, tazze, posate, pane, burro, marmellata e al centro un vassoio di raffinati tramezzini al cetriolo e focaccine.
«Sembra quasi che ci stesse aspettando», osservai, mentre Gideon si guardava in giro per la stanza.
Lady Tilney sorrise di nuovo. «Proprio così, vero? La tavola dà questa impressione, ma in realtà aspettavo altri ospiti. Comunque accomodatevi.»
«No, grazie, date le circostanze preferiamo restare in piedi», disse
Gideon improvvisamente nervoso. «Inoltre non vorremmo
disturbarla troppo a lungo. Ci accontenteremo di qualche risposta.»
«A quali domande?»
«Come fa a conoscere il mio nome?» domandai. «Chi è stato a raccontarle di me?»
«Ho ricevuto altre visite dal futuro.» Il suo sorriso si allargò. «Mi capita spesso.»
«Lady Tilney, ho già cercato di spiegarle una volta che il suo visitatore le ha dato informazioni del tutto errate», disse Gideon. «Commette un grave errore a fidarsi delle persone sbagliate.»
«È quello che dico sempre anch’io», disse una voce maschile. Sulla soglia era comparso un giovanotto che entrò con passo disinvolto. «Margret, te lo dico sempre che sbagli a fidarti delle persone sbagliate. Oh, ma che delizia. È per noi?»
Gideon aveva trattenuto bruscamente il fiato, poi mi afferrò per un polso.
«Non si avvicini più di così!» ordinò.
L’uomo alzò un sopracciglio. «Voglio solo prendere un
tramezzino, se non hai niente in contrario.»
«Serviti pure.» Mentre la mia trisavola usciva dalla stanza, il maggiordomo si piazzò sulla soglia. Nonostante i guanti bianchi somigliava in tutto e per tutto al buttafuori di un locale malfamato.
Gideon imprecò sottovoce.
«Non devi avere paura di Millhouse», disse il giovane. «Anche se pare che abbia già spezzato il collo a qualcuno. Per sbaglio però, vero, Millhouse?»
Io rimasi a fissarlo interdetta. Aveva gli stessi occhi di Falk de Villiers, gialli come ambra. Come un lupo.
«Gwendolyn Shepherd!» Quando mi sorrise, la somiglianza con Falk de Villiers divenne ancora più marcata. L’unica differenza era che aveva almeno vent’anni di meno e i capelli corti nerissimi. Il suo sguardo mi intimoriva, era amichevole, ma tradiva anche qualcos’altro che non riuscivo a definire meglio. Rabbia? Dolore?
«È un vero piacere conoscerti.» La sua voce per un attimo si fece più rauca. Mi porse la mano, ma Gideon mi afferrò con entrambe le sue e mi tirò verso di sé.
«Non provare a toccarla!»
Di nuovo un sopracciglio alzato. «Di che cosa hai paura, piccolo?»
«So benissimo che cosa vuoi da lei!»
Sentii il cuore di Gideon che batteva contro la mia schiena.
«Sangue?» L’uomo si servì di uno dei minuscoli tramezzini e se lo infilò in bocca. Poi sollevò le mani mostrandoci i palmi e disse: «Niente siringhe, niente bisturi, vedi? Adesso lascia la ragazza. Rischi di stritolarla». Di nuovo quello sguardo indefinibile rivolto verso di me. «Mi chiamo Paul. Paul de Villiers.»
«Lo avevo immaginato», dissi. «Lei è quello che ha sedotto mia cugina Lucy e l’ha convinta a rubare il cronografo. Per quale motivo?»
Paul de Villiers fece una smorfia. «Trovo comico che tu mi dia del lei.»
«E io trovo comico che lei mi conosca.»
«Smettila di parlare con lui», mi ordinò Gideon. Aveva allentato un po’ la presa, mi teneva stretta a sé solo con un braccio, mentre con l’altro aveva aperto una porta di servizio e stava guardando nella stanza accanto. Un secondo uomo con i guanti bianchi comparve subito anche lì.
«Questo è Frank», disse Paul. «Siccome non è grande e forte come Millhouse, ha una pistola, vedi?»
«Sì», sibilò Gideon richiudendo la porta.
Aveva visto proprio giusto. Eravamo finiti in una trappola. Ma com’era potuto accadere? Era impossibile che Margret Tilney passasse le giornate ad apparecchiare la tavola per noi e a tenere un uomo in attesa con la pistola nella stanza accanto.
«Come faceva a sapere che saremmo venuti proprio oggi?» domandai a Paul.
«Già. Se ora ti dicessi che non lo sapevo affatto, ma che sono passato di qui per caso, tu di sicuro non mi crederesti, vero?» Prese una focaccina e si mise a sedere su una sedia. «Come stanno i tuoi cari genitori?»
«Zitto!» sibilò Gideon.
«Avrò pure il permesso di chiederle come stanno i suoi genitori!»
«Bene», risposi. «Almeno la mamma. Papà è morto.»
Paul assunse un’espressione sbigottita. «Morto? Ma Nicolas è forte e sano come una quercia!»
«Aveva la leucemia», ribattei. «È morto che io avevo sette anni.»
«Oddio, quanto mi dispiace.» Paul mi guardò serio e addolorato. «Per te deve essere stato difficile, crescere senza un padre.»
«Smettila di parlare con lui», ripeté Gideon. «Cerca solo di trattenerci in attesa di rinforzi.»
«Continui a pensare che voglia il vostro sangue?» Gli occhi gialli lampeggiarono minacciosi.
«Infatti», rispose Gideon.
«E credi che Millhouse, Frank e io e la pistola non basteremmo per sbarazzarci di te?» domandò sarcastico Paul.
«Infatti», ripeté Gideon.
«Oh, sono sicuro che il mio caro fratello e gli altri Guardiani abbiano fatto di te un’autentica macchina da guerra», disse Paul. «Del resto tocca a te rimediare al pasticcio. Agli altri invece è stato insegnato un po’ di scherma e un po’ di violino giusto per tradizione. Scommetto però che tu conosci anche il tae-kwon-do e tutta quella roba lì. Dopotutto è necessario saperlo, se si deve viaggiare nel passato e ottenere il sangue dalle persone.»
«Finora queste persone mi hanno dato il loro sangue volontariamente.»
«Solo perché non sapevano a quale scopo servisse!»
«No! Perché non volevano distruggere ciò che i Guardiani custodiscono, studiano ed elaborano da secoli!»
«Bla-bla-bla! Anche a noi sono stati ammanniti per tutta la vita questi patetici discorsi. Ma noi conosciamo la verità e le intenzioni del conte di Saint Germain.»
«E quale sarebbe la verità?» sbottai.
Udimmo dei passi sulle scale.
«Ecco i rinforzi», annunciò Paul senza voltarsi.
«La verità è che lui mente tutte le volte che apre la bocca», disse Gideon.
Il maggiordomo si spostò per lasciar entrare una delicata ragazza dai capelli rossi, un po’ troppo grande per essere la figlia di Lady Tilney.
«Non posso crederci», disse la ragazza. Mi guardò come se non avesse visto mai niente di più strano di me.
«Credici pure, principessa!» disse Paul con voce intenerita e un po’ preoccupata.
La ragazza era rimasta sulla porta, come paralizzata.
«Tu sei Lucy», dissi. La somiglianza era evidente.
«Gwendolyn», rispose Lucy con un filo di voce.
«Sì, lei è Gwendolyn», disse Paul. «E il tipo che la tiene stretta come se fosse il suo orsacchiotto preferito è il mio pronipote, o come diavolo si dice. Purtroppo vuole andarsene.»
«Ti prego, no!» esclamò Lucy. «Dobbiamo parlare con voi.»
«Un’altra volta, magari», disse Gideon gelido. «Quando ci saranno presenti meno estranei.»
«È importante!» disse Lucy.
Gideon scoppiò a ridere. «Come no.»
«Tu puoi andartene quando vuoi, piccolo», disse Paul. «Millhouse ti accompagnerà alla porta. Ma Gwendolyn resterà ancora un pochino. Ho la sensazione che con lei si riesca a parlare meglio. Non ha ancora subito il lavaggio del cervello... oh, merda!»
L’imprecazione era rivolta alla piccola pistola nera che era comparsa dal nulla nella mano di Gideon. La puntò verso Lucy.
«Io e Gwendolyn ora ce ne andremo tranquillamente da questa casa», disse. «Lucy ci accompagnerà alla porta. »
«Sei un vero... stronzo», disse Paul sottovoce. Si era alzato e guardava alternativamente da Millhouse a Lucy a noi, indeciso.
«Siediti», ordinò Gideon. Aveva una voce gelida, ma io sentivo il suo cuore battere forte. Continuava a tenermi stretta a sé con il braccio libero. «E anche lei, Millhouse, si sieda, per favore. Sono rimasti molti tramezzini.»
Paul si mise a sedere lanciando un’occhiata verso la porta laterale.
«Provi a dire una sola parola a Frank e io sparo», lo minacciò Gideon.
Lucy lo guardava con occhi sgranati, ma non sembrava intimorita. Al contrario di Paul, che invece sembrava convinto della serietà delle intenzioni di Gideon.
«Fa’ come dice lui», disse Paul a Millhouse, e il maggiordomo lasciò il suo posto sulla soglia e si mise seduto a tavola, lanciandoci occhiate rabbiose.
«Lo hai già conosciuto, vero?» Lucy fissava Gideon negli occhi. «Hai già incontrato il conte di Saint Germain. »
«Tre volte», disse Gideon. «E lui sa bene che cosa avete in mente. Girati.» Puntò la canna della pistola contro la nuca di Lucy.
«Cammina!»
«Principessa...»
«È tutto a posto, Paul.»
«Gli hanno dato una maledetta Smith & Wesson automatica. Pensavo che fosse contrario alle dodici regole d’oro.»
«Arrivati in strada, la lasceremo andare», disse Gideon. «Ma nessuno deve muoversi in questa stanza, altrimenti morirà. Vieni, Gwendolyn. Dovranno aspettare un’altra occasione per provare a prenderti il sangue.»
Io esitai. «Forse vogliono davvero soltanto parlare», obiettai. Ciò che Lucy e Paul avevano da dire mi interessava tantissimo. Certo, se erano davvero così innocui come si fingevano, perché avevano fatto appostare quei buttafuori nelle stanze? Armati? Mi tornarono in mente gli uomini del parco.
«Di sicuro non vogliono semplicemente parlare», ribatté Gideon.
«È tutto inutile», disse Paul. «Gli hanno fatto il lavaggio del cervello.»
«Colpa del conte», aggiunse Lucy. «Come ben sai, può essere molto persuasivo.»
«Ci rivedremo!» esclamò Gideon. Nel frattempo avevamo già raggiunto il pianerottolo.
«È forse una minaccia?» gridò Paul. «Puoi star certo che ci rivedremo!»
Gideon continuò a tenere la pistola puntata alla nuca di Lucy fino a quando non raggiungemmo la porta d’ingresso.
Mi aspettavo che da un momento all’altro quel Frank piombasse fuori dall’altra stanza, invece era tutto tranquillo. Anche la mia trisavola sembrava scomparsa.
«Non dovete permettere che il cerchio venga completato», ci disse Lucy in tono angosciato. «E non dovete più andare a trovare il conte nel passato. Soprattutto Gwendolyn non deve incontrarlo.»
«Taci!» Gideon fu costretto a lasciarmi mentre con una mano teneva la pistola e con l’altra apriva la porta d’ingresso e guardava per strada. Dal piano superiore si sentiva un mormorio. Io lanciai un’occhiata impaurita alla scala. Lassù erano radunati tre uomini e una pistola e lassù dovevano anche rimanere.
«Ci siamo già incontrati», dissi a Lucy. «Ieri...»
«Oh, no!» Lucy impallidì ulteriormente. «Lui conosce la tua magia?»
«Quale magia?»
«La magia del corvo», disse Lucy.
«La magia del corvo è solo un mito.» Gideon mi afferrò di nuovo per un braccio e mi trascinò in strada. La nostra carrozza era scomparsa.
«Non è vero! E anche il conte lo sa.»
Gideon continuava a tenere la pistola contro la testa di Lucy, ma intanto guardava le finestre del primo piano. Probabilmente lassù c’era quel Frank con la pistola. Noi eravamo ancora protetti dalla tettoia dell’ingresso.
«Aspetta», dissi a Gideon. Guardai Lucy. I suoi grandi occhi azzurri erano lucidi di lacrime e per qualche motivo mi risultava difficile non crederle.
«Come fai a essere tanto sicuro che non stia dicendo la verità, Gideon?» chiesi sottovoce.
Lui mi scoccò un’occhiata spazientita. I suoi occhi lampeggiarono.
«Lo so e basta», bisbigliò.
«A me però non sembra», intervenne Lucy con voce dolce. «Potete fidarvi di noi.»
Era proprio così? Come mai si erano dati tanto da fare per tenderci un tranello qui?
Mi accorsi dell’ombra con la coda dell’occhio.
«Attento!» esclamai, ma Millhouse aveva già attaccato. Gideon si girò di scatto all’ultimo istante, mentre il corpulento maggiordomo si preparava a colpire.
«Millhouse, no!» gridò la voce di Paul dalla scala.
«Corri!» urlò Gideon, e in una frazione di secondo presi la decisione.
Mi misi a correre con tutta la velocità che gli stivaletti abbottonati mi permettevano. A ogni passo mi aspettavo di sentire una detonazione.
«Parla con il nonno», mi gridò dietro Lucy. «Chiedigli del cavaliere verde!»
Gideon mi raggiunse all’angolo successivo. «Grazie», ansimò, mettendo via la pistola. «Se l’avessi persa, sarebbe stato un guaio. Da questa parte.»
Mi guardai intorno. «Ci hanno seguito?»
«Non credo», rispose Gideon. «Ma, in caso contrario, meglio affrettarci.»
«Vorrei tanto sapere da dove è spuntato all’improvviso quel Millhouse. Non ho mai perso di vista la scala neppure un istante.»
«Probabilmente c’era una scala di servizio. Non ci avevo pensato.» «Dov’è finito il Guardiano con la carrozza? Doveva aspettarci.»
«Cosa vuoi che ne sappia!» Gideon era trafelato. I passanti sul marciapiede ci guardavano interdetti mentre avanzavamo di corsa, ma ormai ci ero abituata.
«Chi è il cavaliere verde?»
«Non ne ho la minima idea», disse Gideon.
Cominciavo a sentire delle fitte al fianco. Non ce l’avrei fatta a tenere quell’andatura ancora a lungo. Gideon imboccò un vicolo laterale e si fermò davanti al portone di una chiesa.
SANTA TRINITÀ, lessi su un cartello.
«Che ci facciamo qui?» chiesi affannata.
«Ci confessiamo», rispose Gideon. Dopo essersi guardato intorno, aprì il pesante portone, poi mi sospinse nella penombra dell’interno e richiuse la porta.
D’un tratto fummo circondati da silenzio, odore di incenso e quell’atmosfera di serenità che regna nelle chiese.
Era una bella chiesa, con vetrate colorate, i muri di pietra chiara e piccoli altari votivi con qualche candela accesa, simbolo ciascuna di una preghiera o di un voto di fede.
Gideon mi indirizzò verso la navata laterale sino a un antico confessionale. Scostò la tendina e indicò il posto nel piccolo cubicolo.
«Non dirai sul serio?» sussurrai.
«Invece sì. Io mi siedo dall’altro lato e poi aspettiamo di tornare indietro.»
Mi misi seduta poco convinta. Gideon richiuse la tendina davanti al mio naso. Un attimo dopo la finestrella con la grata si aprì. «Comoda?»
Pian piano il respiro mi tornò normale, mentre gli occhi si abituavano alla penombra.
Gideon mi guardò con finta gravità. «Allora, figliola! Ringraziamo il Signore per la protezione che ci offre nella sua casa.»
Io lo guardai incredula. Come faceva a essere così rilassato, quasi sbruffone? Avevamo appena superato una situazione di grande tensione, santo cielo, aveva minacciato mia cugina puntandole una pistola alla testa! Non era possibile che la cosa lo avesse lasciato del tutto indifferente.
«Come fai a scherzare in questo momento?»
Lui assunse un’espressione impacciata. Scrollò le spalle. «Ti viene
in mente qualcosa di meglio?»
«Sì! Potremmo cercare di dare un senso a quanto appena successo! Perché Lucy e Paul affermano che qualcuno ti ha fatto il lavaggio del cervello?»
«Come faccio a saperlo io?» Si passò la mano tra i capelli e io notai che gli tremava leggermente. Dunque non era così indifferente come voleva farmi credere. «Volevano instillarti il dubbio. E anche a me.»
«Lucy ha detto che devo chiedere al nonno. Evidentemente non sa che è morto.» Ripensai agli occhi di Lucy pieni di lacrime. «Poverina. Deve essere terribile non poter più rivedere la propria famiglia nel futuro.»
Gideon non rispose. Restammo in silenzio per qualche tempo. Io guardai verso l’altare dalla fessura nella tenda. Un piccolo doccione, alto forse fino al ginocchio, con le orecchie a punta e una buffa coda di lucertola uscì saltellando dall’ombra di una colonna e guardò verso di noi. Io distolsi subito gli occhi. Se si fosse accorto che riuscivo a vederlo, di sicuro si sarebbe messo a fare confusione. Gli spiriti-doccione potevano essere molto fastidiosi, lo sapevo per esperienza.
«Sei davvero sicuro di poterti fidare del conte di Saint Germain?» domandai, mentre lo spirito si avvicinava saltellando.
Gideon fece un profondo respiro. «È un vero genio. Ha scoperto cose che nessuno prima di lui... sì, mi fido di lui. Qualunque cosa pensino Lucy e Paul, si sbagliano.» Sospirò. «Almeno questo era quanto pensavo fino a un attimo fa. Mi sembrava tutto perfettamente logico.»
Il piccolo doccione evidentemente ci trovava noiosi. Si arrampicò su una colonna e scomparve nella galleria dell’organo.
«Adesso non è più così?»
«So solo che prima della tua comparsa avevo la situazione sotto controllo!» disse Gideon.
«Mi ritieni forse responsabile del fatto che per la prima volta in vita tua tutto non va come avevi deciso tu?» Alzai le sopracciglia, come gli avevo visto fare. Era davvero una sensazione fichissima. Ero così soddisfatta di me stessa che mi venne quasi da sorridere.
«No!» Lui scrollò il capo e sbuffò irritato. «Gwendolyn! Si può sapere perché con te è tutto così più complicato che con Charlotte?» Si sporse in avanti con qualcosa nello sguardo che non gli avevo mai visto prima.
«Boh. È di questo che avete parlato oggi nel cortile della scuola?» domandai offesa.
Maledizione. Adesso gli avevo dato un punto di vantaggio. Che errore da principiante!
«Gelosa?» ribatté prontamente lui con un sorriso smagliante.
«Neanche per sogno!»
«Charlotte faceva sempre quello che le dicevo. Tu invece no. E questo è molto scocciante. Però anche divertente. E dolce.» Stavolta non fu solo il suo sguardo a farmi vacillare.
Mi scostai una ciocca di capelli dal viso con un gesto impacciato. La mia stupida acconciatura si era disfatta durante la fuga, le forcine dovevano aver lasciato una scia da Eaton Place al portone della chiesa.
«Perché non torniamo a Temple?»
«Qui si sta meglio. Se tornassimo lì, ricomincerebbero quelle interminabili discussioni. E sinceramente per una volta faccio volentieri a meno di essere comandato a bacchetta da zio Falk.»
Ah! Adesso ero io in vantaggio. «Non è una bella sensazione, vero?»
Lui scrollò il capo. «Decisamente no.»
Udimmo un rumore provenire dalla navata. Sussultai e lanciai un’occhiata oltre la tenda. Era solo una vecchina che aveva acceso una candela. «E se dovessimo tornare indietro subito? Non vorrei finire in braccio a... mmm... un bambino che deve fare la comunione... e immagino che neanche il parroco ne sarebbe troppo contento.»
«Non devi preoccuparti», rispose Gideon ridendo sottovoce. «Alla nostra epoca questo confessionale non è più in uso. È per così dire riservato a noi. Il pastore Jacob lo chiama l’ascensore per gli inferi.
Ovviamente anche lui appartiene alla schiera dei Guardiani.»
«Quanto manca ancora prima del ritorno?»
Gideon guardò l’orologio. «Abbiamo ancora un po’ di tempo.»
«Allora sarebbe meglio utilizzarlo in maniera sensata.» Ridacchiai. «Vuoi confessarti, figliolo?» Mi era uscito così, di getto, e subito mi resi conto dove saremmo andati a parare.
Ero seduta con Mr Gideon-alias-So-tutto-io in un confessionale all’inizio del secolo scorso e non sapevo fare di meglio che flirtare! Cielo! Perché Leslie non mi aveva preparato un faldone di istruzioni al riguardo?
«Solo se anche tu mi confiderai i tuoi peccati.»
«Ti piacerebbe.» Mi affrettai a cambiare argomento. Era decisamente un terreno pericoloso. «Sai, avevi ragione con l’idea della trappola. Ma come facevano Lucy e Paul a sapere che saremmo arrivati proprio oggi?»
«Non ne ho la più pallida idea», rispose Gideon sporgendosi improvvisamente così tanto verso di me che i nostri nasi si sfiorarono. Nella penombra i suoi occhi luccicavano scurissimi. «Forse però tu lo sai.»
Lo fulminai con un’occhiata stizzita (due volte irritata: primo per la domanda, e poi, forse ancora di più, per la sua improvvisa vicinanza). «Chi, io?»
«Potresti essere stata tu a rivelare a Lucy e Paul il luogo e l’ora del nostro appuntamento.»
«Che cosa?» Dovevo avere di sicuro un’aria ebete. «Che scemenze! Quando lo avrei fatto? Non so nemmeno dove è custodito il cronografo. E non permetterei mai che...» mi interruppi, prima di lasciarmi sfuggire qualcos’altro.
«Gwendolyn, tu non hai la minima idea di tutto ciò che farai in futuro.»
Questo dovevo riconoscerlo.
«Avresti potuto farlo benissimo anche tu», ribattei.
«È vero.» Gideon tornò dalla sua parte del confessionale e vidi la sua dentatura bianca baluginare nella penombra. Stava sorridendo. «Credo che in futuro le cose tra noi diventeranno molto eccitanti.»
Queste parole mi provocarono un formicolio allo stomaco. La prospettiva di future avventure avrebbe dovuto spaventarmi, e invece in quel momento mi riempì di una gioia sfrenata.
Già, sarebbe stato tutto molto eccitante.
Per un po’ restammo in silenzio. Poi Gideon disse: «Ti ricordi l’altra volta, in carrozza, quando abbiamo parlato della magia del corvo?»
Me ne ricordavo benissimo. Ricordavo ogni singola parola.
«Hai detto che io non potevo possedere questa magia perché ero una ragazza qualunque. Una ragazza come tante, di quelle che vanno al gabinetto in gruppo e spettegolano di Lisa che...»
Una mano si posò sulle mie labbra. «Ricordo quello che ho detto.» Gideon si era di nuovo sporto dalla mia parte. «E mi dispiace averlo fatto.»
Cosa? Rimasi seduta come fulminata, incapace di muovermi e anche di respirare. Le sue dita mi sfiorarono caute le labbra, mi accarezzarono il mento, poi risalirono sulla guancia fino alla tempia.
«Non sei una ragazza qualunque, Gwendolyn», bisbigliò, mentre mi accarezzava i capelli. «Sei straordinaria. Non hai bisogno della magia del corvo per essere speciale per me.» Il suo viso si avvicinò ancora di più. Quando le sue labbra toccarono la mia bocca, chiusi gli occhi.
Okay. A questo punto potevo svenire.Dagli Annali dei Guardiani
24 giugno 1912
Tempo soleggiato, 23 gradi all’ombra.
Lady Tilney arriva puntuale alle nove per trasmigrare.
Il traffico nella City è stato bloccato da un corteo di protesta di femmine esaltate che chiedono il diritto di voto per le donne. Di sicuro, prima che ciò accada, è più probabile che fonderemo colonie sulla luna.
Per il resto niente da segnalare.
Autore: Frank Mine, cerchia interna