15 - Vivi e morti

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[Revisionato]

La McGonagall uscì dalla Sala Grande insieme ai gemelli. Poi si fermò, estrasse la bacchetta e pronunciò:
-Piertotum Locomotor!-
Tutto intorno a loro le statue iniziarono a prendere vita. Alcune scendevano dai loro piedistalli, altre saltavano giù dalle pareti.
-Hogwarts è in pericolo, presidiate i confini, proteggeteci. Fate il vostro dovere per la nostra scuola!- urlò mentre le statue uscivano.
Harry ed Éméline si avvicinarono a Ron e Hermione.
-Ron ha avuto un'idea per poter distruggere l'Horcrux! È fantastica!- disse Hermione.
-Bene, prendete la mappa e fate quello che dovete fare. Quando avrete finito usatela per trovarci. Dobbiamo correre, sa che stiamo cercando e distruggendo gli Horcrux.- dissero i gemelli prima di andarsene e senza lasciare che i compagni replicassero.
Corsero a perdifiato fiato fino al settimo piano, in tempo per assicurarsi che tutti gli studenti fossero usciti.
Dalle finestre potevano vedere i professori che creavano una barriera magica. Molti studenti si erano messi in posizione, pronti a combattere.
Mentre aspettavamo che tutti uscissero, si abbracciarono. Fu un abbraccio sofferto, desiderato da entrambi. Non erano mai stati quei tipi di fratelli che si abbracciavano e baciavano ad ogni ora del giorno e della notte, sempre propensi al contatto fisico. Ma quella notte, entrambi più o meno consapevoli che la loro possibilità di morire era molto alta, quell'abbraccio scaldò loro il cuore.
Tutte le paure, tutte le insicurezze per un momento scomparvero.
-La prossima volta che mi fai prendere un'infarto come l'ultima volta che Funny mi ha dato due piume, giuro su Silente che ti uccido, Harry Potter.-
-Considerami avvisato. Anche tu mi sei mancata, Éméline.- disse ridendo e stringendo a sé la sorella.
Si sorrisero.
Dieci minuti dopo tutti erano usciti.
Quando entrarono nella stanza, però, si trovarono davanti Tonks e una vecchia signora che riconobbero come la nonna di Neville.
-Signora Longbottom! Tonks! Cosa ci fate qui?!-
-Beh, combattiamo naturalmente!- disse la vecchia.
-Tonks, ma non eri a casa con Teddy?- chiese Harry.
-Teddy? O MIO DIO! Hai partorito!!- urlò Éméline su di giri abbracciando la neo-mamma.
Tonks rise.
-Sì, ma non sopportavo di non sapere. Ora è con mia madre. Remus ha chiesto a Harry di essere il suo padrino.-
-È fantastico!- disse Éméline, sinceramente felice.
-E io voglio chiedere a te di essere la sua madrina. Vedi, se non sopravvivessimo a questa notte, beh... almeno sapremo che vivrà con qualcuno che potrà capirlo.- disse Tonks con un sorrisino triste. Il cuore di Éméline si strinse in una stretta dolora, incapace di immaginare Tonks morta.
-Io? Certo, Tonks! Sarebbe un onore. Ma non ce ne sarà bisogno, te lo assicuro.- disse sorridendo alla donna.
-Ho una foto.- e dirò fuori una piccola foto che ritraeva Tonks e Remus con un piccolo bambino in braccio che agitava i pugnetti. I capelli biondi, diventarono rossi, poi rosa, poi verdi. Era un bimbo paffuto, e Éméline pensò che assomigliasse molto a Remus nonostante fosse un metamorfomagus come la madre.
-È bellissimo, ma ora è meglio per tutti andare. Tonks, se vuoi ho visto Remus e Kingsley andare al quarto piano, lato ovest. Signora Longbottom, se vuole Neville è all'entrata insieme a Seamus Finnegan e alla McGonagall.- disse Éméline abbracciando stretta un'ultima volta la sua amica.
Quando uscirono, le due donne corsero una alle scale per salire e l'altra alle scale per scendere. Harry e Éméline si concentrarono, e davanti a loro apparve una porta scura, la attraversarono e si trovarono nella stanza in cui avevano nascosto il diario del Principe Mezzosangue.
-Io vado a destra, tu a sinistra.- disse Harry.
Éméline andò a sinistra come le era stato detto. Chissà quante persone avevano percorso i suoi stessi passi in tutti quei secoli. Era strano da pensare che prima di lei, decine di migliaia di maghi erano stati formati lì, avevano dormito nei loro letti, seduto sulle stesse sedie e nelle stesse aule, percorso quei corridoi.
Immersa nei suoi pensieri, Éméline urtò un tavolino facendo cadere qualche cosa. Si chinò e raccolse il libro malandato che era finito per terra. Lo riconobbe all'istante.
Pozioni avanzate
Così recitava il titolo. Era il manuale di pozioni di Severus Piton. Decise di tenerlo. Se quello che le aveva scritto il padrino era vero, non avrebbero più potuto parlare faccia a faccia. Sapeva che sarebbe morto, e voleva tenere ancora qualche cosa dell'uomo che aveva garantito a lei e a suo fratello la sopravvivenza per tutti quegli anni. Poco lontano trovò una borsa e lo infilò dentro.
-Émé! L'ho trovato!- urlò Harry da un punto imprecisato alla sua destra. Éméline si mosse verso la voce.
-Dove sei?-
-Di quà!-
Dopo un po' trovò il fratello. In mano stringeva il Diadema di Corvonero. Era esattamente come quello scolpito sulla statua nella Sala Comune.
-È bellissimo...- disse Éméline.
-Lo è... vieni, usciamo di qui.-
-Dove credete di andare, Potter?- disse una voce alle loro spalle. Si girarono di scatto e si trovarono davanti a tre persone. Malfoy avanzava spavaldo verso di loro seguito a ruota dai suoi due leccapiedi.
Alzarono tutti la bacchetta, ma erano in minoranza. Nonostante le ottime abilità di Éméline, non sarebbero riusciti a uscirne tanto facilmente. Per quando odiassero ammetterlo, Malfoy era bravo. Crabbe e Goyle non erano delle cime, ma in sette anni avevano comunque imparato qualcosa.
-Che cosa ci fate qui, Potter?-
-Potremmo farti la stessa domanda!- disse sprezzante Éméline.
-Tuo fratello ha qualcosa che mi appartiene, la rivorrei indietro.-
-Cosa c'è che non va in quella che hai, Malfoy?- chiese Harry.
-È di mia madre. È potente, ma non è la stessa cosa. È come se.. non mi capisse.-
Harry tacque. Poi disse:
-Perché non hai detto nulla? A Bellatrix. Sapevi che ero io. Eppure sei stato zitto.- chiese, ignorando lo sguardo interrogativo della sorella.
Draco non rispose, ma abbassò lo sguardo.
-Coraggio Draco, non fare lo sciocco. Fallo!- disse Crabbe, e a Éméline parve di ritornare indietro di un anno, quando Draco era stato incitato da sua zia.
Ma Goyle fu più veloce.
-Avada Kedavra!- urlò e Harry riuscì al pelo a evitare la maledizione. Prese la sorella per un polso e corse via. Corsero per circa un minuto, poi si fermarono a riprendere fiato. Éméline alzò lo sguardo.
-Ma che roba è?- chiese, osservando un riflesso rosso sulle tante pile di cianfrusaglie.
-Cosa... Corri, Éméline corri!- disse Harry.
-Harry cosa succede?!-
-Fuoco!-
Corsero a perdifiato, più veloce di quando scappavano da Dudley e dalla sua gang, ma il fuoco era ovunque.
Erano circondati. Éméline alzò la bacchetta e urlò -Aguamenti!-
Riuscì a evitare di essere arsa da una fiamma come un maiale arrosto. Harry era caduto.
-Éméline! Scope!!- disse passando una scopa alla sorella. Si librarono in volo e mentre uscivano videro Malfoy e Goyle. Si stavano arrampicando, il terrore dipinto sul volto, sempre più in alto sulle cataste di cianfrusaglie.
-Crabbe!- urlò Malfoy mentre cercava di tendere una mano verso il compagno che, arrampicandosi, aveva perso la presa.
-Ce la faccio, Draco!- gridò l'altro di rimando. Ma non ce la fece. La mano destra si aggrappò disperatamente alla prima sedia che trovò, poco più in alto di dove si trovava, e questa scivolò oltre il bordo della pila, trascinando il ragazzo con sé. Le ultime cose che si avvertirono furono lo straziante urlo di Crabbe mentre veniva avvolto e ucciso dalle sue stesse fiamme e gli inutili richiami dei suoi amici, ben consapevoli che la loro fine non sarebbe stata troppo diversa.
-Non possiamo lasciarli, Harry!- bisbigliò Éméline al ragazzo al suo fianco.
Il fratello annuì. Fecero dietrofront e andarono verso i due.
Il fuoco sfrigolava mentre bruciava pagine di vecchie libri, vestiti abbandonati, scatole, qualche gioiello forse. Éméline allungò la mano verso Malfoy e il fratello verso Goyle.
-Coraggio Malfoy!- gli urlò Éméline allungandosi verso di lui, -Afferra la mia mano!-
Sbilanciandosi più di quando avrebbe mai ritenuto possibile e con un grandissimo sforzo, riuscì a tirare Malfoy dietro di sé e a passarsi un suo braccio intorno alla vita.
Goyle si teneva stretto alla vita di Harry. Volarono rapidamente verso l'uscita.
Quando uscirono, si trovarono davanti Ron e Hermione con le braccia piene di denti di Basilisco.
-Distruggilo Éméline, ora!- la ragazza prese un dente e trafisse il diadema. Lei e Harry cedettero. Éméline non lo aveva mai avvertito. Era una sensazione strana, come una liberazione. Ron tirò un calcio all'oggetto lanciandolo dentro alla Camera che si chiuse appena dopo.
Draco e Goyle si alzarono e corsero via.
Ma prima, Draco guardò Éméline e le sussurrò un veloce "grazie".
I gemelli si guardarono. Sapevano che Voldemort aveva sentito che anche questa parte della sua anima era andata persa.
Fuori dalla finestra videro che nel frattempo la barriera creata dai professori era andata distrutta.
-Guarda... guarda dove si trova Harry. Lascialo entrare.- sussurrò Éméline senza fiato.
Harry chiuse gli occhi e lo vide.
Era su una collina, insieme a gran parte dei suoi fedeli seguaci.
Gli mancava il fiato.
-Vieni Nagini, bisogna tenerti al sicuro.- disse prima di smaterializzarsi alla Stamberga Strillante.
Insieme a lui c'era Lucius Malfoy.
-Mio s-signore.. Non s-sarebbe più
p-p-prudente sospenderò questo attacco, e c-cercare i ragazzi v-voi s-stesso?-
-Vuoi che lo annulli solo per vedere se tuo figlio è vivo, Malfoy. E no, non lo farò. Io non ho bisogno di cercare i ragazzi perché entro la fine di questa notte loro verranno da me. Lo capisci?!-
-S-si m-mio s-signore.-
-Chiamami Severus, Lucius. Ho bisogno di lui ora.-
-S-si mio signore.- sussurrò impaurito prima di uscire.
-Si trova nella Stamberga. Prendiamo il mantello e andiamo.-
Si alzarono, Éméline si tolse il mantello di Corvonero che indossava ancora sopra alla divisa e corse con il fratello e i due amici giù per le scale fini al primo piano senza incontrare ostacoli.
Arrivati qui, un mangiamorte ostacolò la loro discesa.
-Speraci, amico.- disse una voce alle spalle dei quattro ragazzi. George Weasley li osservò con un sorriso divertito in faccia. -Muovetevi!- urlò mentre schiantava l'uomo è faceva loro da scudo.
Per un momento, Éméline aveva pensato che fosse Fred. Ogni fibra del suo corpo aveva desiderato lanciarsi tra le braccia del ragazzo, prima di riconoscere che fosse il gemello sbagliato.
Continuarono a correre nel mezzo della battaglia, difendendosi meglio che riuscivano, fino a giungere nei giardini di Hogwarts.
Arrivati davanti al Platano Picchiatore si fermarono ansanti.
-Come... come facciamo a entrare?- chiese Ron con il respiro affannoso.
-Vedo... il punto... se solo avessimo... Grattastinchi...-
-Grattastinchi?- sibilò Hermione, piegata in due, con le mani al petto. -Sei un mago o cosa?-
-Ah... già... è vero...-
Ron si guardò in giro, poi puntò la bacchetta verso un bastoncino per terra e disse: -Wingardium Leviosa!-
Il rametto volò in alto, roteò nell'aria come se fosse stato colpito da una raffica di vento, poi schizzò contro il tronco attraverso i minacciosi rami rotanti del Platano. Colpì un punto vicino alle radici e subito l'albero cessò di contorcersi.
-Perfetto!- ansimò Hermione.
-Aspettate.-
Per un attimo, nel rumore sordo della battaglia, i gemelli esitarono. Voldemort voleva questo, voleva che loro andassero... stavano portando Ron e Hermione in una trappola?
Ma poi la realtà gli piombò addosso, crudele e banale: l'unica soluzione era uccidere il serpente, il serpente era con Voldemort, e Voldemort era alla fine di quel tunnel...
-Harry, ti seguiamo, dai, entra!- lo esortò Ron, spingendolo avanti.
Harry si infilò nel cunicolo di terra nascosto tra le radici dell'albero seguito subito dopo dalla sorella. Dovettero schiacciarsi molto più dell'ultima volta. Il passaggio aveva il soffitto basso: quattro anni prima l'avevano percorso piegati in due, adesso potevano solo strisciare. Harry avanzò per primo, con la bacchetta illuminata; si aspettava di trovare ostacoli da un momento all'altro, e invece niente. Procedettero in silenzio. Lo sguardo di Harry era fisso sul raggio oscillante della bacchetta che teneva in pugno.
Infine il cunicolo cominciò a salire e Harry vide una lama di luce. Hermione strattonò una caviglia a Éméline che fermò Harry.
-Il Mantello!- sussurrò.
Éméline tastò alle proprie spalle ed Hermione le infilò nella mano libera il fagotto di tessuto scivoloso. Vi si avvolse con difficoltà, poi lo avvolse intorno al fratello, che mormorò -Nox- per spegnere la bacchetta, e avanzarono carponi, più piano che potevano, tutti i sensi all'erta, temendo a ogni secondo che passava di essere scoperti, di sentire una fredda voce chiara, di vedere un lampo di luce verde.
Poi udì delle voci dalla stanza che era proprio davanti a loro, appena soffocate perché lo sbocco del tunnel era stato bloccato da quella che sembrava una vecchia cassa. Trattenendo il respiro, si avvicinarono all'apertura e spiarono dal piccolo spazio rimasto tra la cassa e la parete.
La stanza era poco illuminata, ma videro Nagini muoversi come una biscia sott'acqua, al sicuro in una luminosa bolla incantata, sospesa a mezz'aria. Videro il bordo di un tavolo e una mano bianca dalle lunghe dita che giocherellava con una bacchetta. Poi Piton parlò e il cuore di Harry mancò un colpo: era a pochi centimetri da lui.
-... mio Signore, la resistenza sta crollando...-
-... e il tuo aiuto non serve- ribatté Voldemort con la sua voce nitida e acuta. -Per quanto tu sia un abile mago, Piton, non credo che tu possa fare molta differenza, ormai. Ci siamo quasi... quasi.-
-Lasciatemi cercare i gemelli. Consentitemi di portarvi i Potter. So che posso trovarli, mio Signore. Vi prego.-
Piton passò davanti alla fessura e Harry si ritrasse portandosi dietro la sorella, lo sguardo fisso su Nagini, chiedendosi se esisteva un incantesimo in grado di penetrare la protezione che la circondava, ma non gli venne in mente nulla. Bastava fallire una volta e l'avrebbero scoperto...
Voldemort si alzò. Harry lo vide bene, gli occhi rossi, il volto piatto da serpente, il pallore che riluceva appena nella semioscurità.
-Ho un problema, Severus- mormorò Voldemort.
-Mio Signore?-
Voldemort alzò la Bacchetta di Sambuco, reggendola con delicatezza e precisione, come la bacchetta di un direttore d'orchestra.
-Perché con me non funziona, Severus?-
Nel silenzio, a Éméline parve di sentire il serpente sibilare: o era il sospiro di Voldemort che indugiava nell'aria?
-Mio... mio Signore- rispose Piton, senza espressione. -Non capisco. Voi... voi avete compiuto magie straordinarie con quella bacchetta.-
-No- obiettò Voldemort. -Ho compiuto le mie magie consuete. Io sono straordinario, ma questa bacchetta... no. Non ha mostrato le meraviglie che prometteva. Non avverto alcuna differenza tra questa bacchetta e quella
che mi procurai da Olivander tanti anni fa.-
Il tono di Voldemort era meditabondo, tranquillo, ma le cicatrici cominciarono a pulsare: il dolore gli attraversò la fronte e sentirono quel senso controllato di furia crescere dentro Voldemort.
-Nessuna differenza.- ribadì Voldemort.
Piton non parlò. Harry non lo vedeva in volto: si chiese se percepisse il pericolo, se stesse cercando le parole giuste per rassicurare il suo padrone. Ma Éméline sapeva che Piton aveva capito cosa sarebbe successo. Iniziò a tremare, non voleva assistere. Harry la guardò e le prese la mano.
Voldemort cominciò a muoversi per la stanza: lo persero di vista per qualche secondo, mentre passeggiava avanti e indietro, parlando con la stessa voce misurata, e il dolore e la rabbia crescevano in lui.
-Ho riflettuto a lungo e a fondo, Severus... sai perché ti ho richiamato dalla battaglia?-
Per un attimo Harry vide il profilo di Piton: i suoi occhi erano fissi sul serpente acciambellato nella gabbia incantata.
-No, mio Signore, ma vi supplico di lasciarmi tornare laggiù. Permettetemi di trovare i Potter.-
-Parli come Lucius. Nessuno di voi capisce i Potter quanto me. Non serve cercarli. I Potter verrano da me. Conosco la loro debolezza, vedi, il loro grande difetto. Non sopporteranno di vedere gli altri cadere attorno a loro, sapendo di esserne la causa. Vorranno porvi fine a ogni costo. Verranno.-
-Ma, mio Signore, potrebbero venire uccisi per errore da qualcun altro...-
-Ho dato istruzioni molto precise ai miei Mangiamorte. Catturare i Potter. Uccidere i loro amici, più ne abbattono, meglio è, ma non loro. Non lui.
-Ma è di te che desideravo parlare, Severus, non di Harry e Éméline Potter. Mi sei stato molto prezioso. Molto prezioso.-
-Il mio Signore sa che io desidero solo servirlo. Ma lasciatemi andare a cercare i ragazzi. Lasciate che ve li porti. So che posso...-
-Ho detto di no!- esclamò Voldemort voltandosi di nuovo, e i gemelli scorsero il luccichio rosso nei suoi occhi, e il fruscio del suo mantello fu come quello di un serpente; avvertirono l'impazienza del Signore Oscuro nelle cicatrici ardenti.
-La mia preoccupazione al momento, Severus, è che cosa accadrà quando finalmente incontrerò i due!-
-Mio Signore, non ci può essere questione...-
-... ma una questione c'è, Severus. C'è.-
Voldemort si arrestò e Harry lo vide con chiarezza: faceva scivolare tra le dita la Bacchetta di Sambuco e scrutava Piton.
-Perché entrambe le bacchette che ho usato hanno fallito quando le ho puntate contro i gemelli, o meglio, contro Harry Potter?-
-Io... io non sono in grado di rispondere, mio Signore.-
-Non sei in grado?-
La fitta di rabbia fu come un chiodo piantato nella testa di Harry: s'infilò il pugno in bocca per non urlare dal dolore. Chiuse gli occhi e di colpo fu Voldemort, che fissava il volto pallido di Piton.
Éméline anche stringeva i denti tanto forte da pensare e se li sarebbe rotti.
Mai, mai in tutta la sua vita, la cicatrice le aveva fatto così male. Si ripiegò su se stessa, con il braccio che non stringeva la mano di Harry ripiegato sotto il suo seno. Prese la prima cosa che le capitò tra i denti, probabilmente la manica del suo pullover, e strinse più forte che poté.
-La mia bacchetta di tasso ha sempre fatto tutto quello che le ho chiesto, Severus, tranne uccidere Harry e Éméline Potter. Due volte ha fallito. Sotto tortura, Olivander mi ha parlato dei nuclei gemelli, mi ha detto di cercarne un'altra. Il mio nemico alla fine è solo il ragazzo, la profezia parlava di lui ma c'è finita in mezzo anche quella mezzosangue della sorella. Riesce sempre a trovare una scappatoia. In ogni caso, ho fatto come mi era stato detto. L'ho fatto, ma quando la bacchetta di Lucius ha incrociato quella di Potter, si è spezzata.-
-Io... non so spiegarlo, mio Signore.-
Piton non guardava Voldemort. I suoi occhi scuri erano ancora fissi sul serpente avvolto nella sua bolla protettiva.
-Ho cercato una terza bacchetta, Severus. La Bacchetta di Sambuco, la Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte. L'ho presa al suo precedente proprietario. L'ho presa dalla tomba di Silente.-
E in quel momento, fu in quel preciso istante, che Éméline capì improvvisamente dove voleva arrivare. Si impose di non tremare, inutilmente.
Questa volta Piton guardò Voldemort, e il suo viso era come una maschera mortuaria. Era bianco come il marmo e così immobile che quando parlò fu una sorpresa scoprire che c'era qualcuno di vivo dietro quegli occhi vuoti.
-Mio Signore... lasciatemi andare dai ragazzi...-
-Per tutta questa lunga notte, vicino ormai alla vittoria, sono rimasto qui- proseguì Voldemort, la voce poco più di un sussurro, -a riflettere, a chiedermi perché la Bacchetta di Sambuco si rifiuta di essere ciò che dovrebbe, di comportarsi come la leggenda dice che deve fare nelle mani del suo legittimo proprietario... e credo di avere la risposta.-
Piton non parlò.
-Forse la conosci già? Sei un uomo intelligente, dopotutto, Severus. Sei stato un servitore bravo e fedele, e mi dolgo di ciò che deve accadere.-
-Mio Signore...-
-La Bacchetta di Sambuco non può servirmi in modo adeguato, Severus, perché non sono io il suo vero padrone. La Bacchetta di Sambuco appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario. Tu hai ucciso Albus Silente. Finché tu vivi, Severus, la Bacchetta di Sambuco non può essere davvero mia.-
-Mio Signore!- protestò Piton, alzando la bacchetta.
-Non può essere altrimenti- concluse Voldemort. -Devo dominare la Bacchetta, Severus. Se domino la Bacchetta, finalmente dominerò i Potter e la mia opera sarà portata al termine. Tutti e quattro saranno di nuovo insieme, morti.-
Éméline guardò Piton: era rigido, aveva paura. Smise di stringere i suoi denti e si aggrappò con tutta la sua forza al braccio del fratello, premendo la testa contro la sua spalla.
Voldemort sferzò l'aria con la Bacchetta di Sambuco. Non accadde nulla a Piton, che per un attimo parve pensare di essere stato risparmiato; ma poi le intenzioni di Voldemort divennero chiare. La sfera del serpente rotolò nell'aria, e prima che Piton potesse far altro che urlare, gli aveva racchiuso testa e spalle, e Voldemort parlò in Serpentese.
-Uccidi.-
Si levò un grido terribile. Harry vide il volto di Piton perdere quel poco colore che aveva e gli occhi neri dilatarsi. Le zanne del serpente gli perforavano il collo e lui non riusciva a liberarsi dalla gabbia incantata; le ginocchia gli cedettero e cadde a terra.
Guardò sua sorella. Piangeva, doveva essere terrorizzata.
-Mi spiace.- commentò Voldemort, gelido.
Si voltò; non c'era tristezza in lui, nessun rimorso. Era tempo di lasciare quella stamberga e prendere in mano la situazione, con una bacchetta che ora avrebbe eseguito ogni suo ordine. La puntò verso la gabbia luminosa che teneva il serpente, facendola fluttuare in alto, via da Piton, che cadde disteso su un fianco, con il sangue che gli sgorgava dal collo. Voldemort uscì dalla stanza senza guardarsi indietro e l'enorme serpente lo seguì galleggiando nella sua sfera protettiva.
Nel tunnel, tornato in sé, Harry guardò la sua mano e quella di Éméline: si erano morsi a sangue le nocche per non urlare. Guardò dalla fessura tra la cassa e la parete e vide un piede avvolto in uno stivale nero tremare sul pavimento.
-Harry!- bisbigliò Hermione, ma lui aveva già puntato la bacchetta contro la cassa che gli bloccava la vista. La cassa si sollevò di un centimetro e si spostò silenziosamente di lato. Più piano che poterono, Harry e Éméline entrarono nella stanza. Harry non sapeva perché lo faceva, perché si stava avvicinando a Piton morente: non sapeva che cosa provava quando guardò il suo volto bianco e le dita che cercavano di tamponare la ferita insanguinata nel collo. Harry tolse il Mantello dell'Invisibilità facendone uscire prima se stesso e poi la sorella e guardò l'uomo che odiava: gli occhi neri dilatati si posarono su di lui e Piton cercò di parlare. Harry si chinò. Piton lo afferrò per il bavero e lo tirò a sé.
Un terribile gorgoglio, un rantolo uscì dalla sua gola.
-Prendi... Prendi...-
Qualcosa di diverso dal sangue colava da Piton. Era azzurro-argento, né liquido né gassoso, e usciva dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi; Harry capì che cos'era, ma non sapeva che fare... Hermione gli ficcò tra le mani una fiala, apparsa dal nulla. Con la bacchetta, Harry vi spinse dentro la sostanza argentea. Quando la fiala fu piena fino all'orlo, e in Piton sembrava che non ci fosse più sangue, la sua presa sui vestiti di Harry si allentò. Piton si girò verso Éméline, che nel frattempo si era inginocchiata accanto a lui e stava cercando di asciugarsi le lacrime.
-No..n.. pi...an...gere.- disse alzando la mano tremante e asciugandoli le lacrime
-Ora andrai da lei.- sussurrò piano e Piton annuì piano accennando un sorriso.
-Guar...da...mi.- sussurrò.
Gli occhi verdi incontrarono i neri, ma dopo un attimo qualcosa nel profondo di questi ultimi svanì, lasciandoli fissi e vuoti. La mano sulla guancia di Éméline crollò a terra, sul grembo di lei, e Piton non si mosse più.
Harry guardava la sorella. Ora andrai da lei. Che cosa voleva dire? Da lei chi? Poi si accorse che Éméline era distrutta, non l'aveva mai vista in quello stato. Anche se stava ancora continuando a guardare Piton, riusciva comunque a leggere il dolore che provava. Hermione le si avvicinò cautamente e le mise un braccio intorno alle spalle, poi Éméline disse qualcosa a voce così bassa che Harry non riuscì a capire. Hermione fece una faccia sconvolta e poi la abbracciò stretta, come se avesse paura che se l'avesse lasciata andare lei sarebbe crollata.
Rimasero lì per quelle che sembrarono ore, il silenzio che non veniva più rotto neanche dai singhiozzi di Éméline, le lacrime che scendevano silenziose.
All'improvviso una voce fredda e acuta parlò così vicino da farlo balzare in piedi, la fiala stretta in mano, convinto che Voldemort fosse tornato nella stanza. La sua voce riverberava dalle pareti e dal pavimento, e  capirono che stava parlando a tutta Hogwarts e dintorni, che gli abitanti di Hogsmeade e coloro che ancora combattevano dentro il castello l'avrebbero sentita chiaramente come se fosse stato accanto a loro, il suo respiro sul collo, mortalmente vicino.
-Avete combattuto valorosamente- diceva la voce acuta e fredda. -Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio. Ma avete subito pesanti perdite. Se continuerete a resistermi, morirete tutti, uno per uno. Io non desidero che ciò accada. Ogni goccia di sangue magico versata è una perdita e uno spreco. Lord Voldemort è misericordioso. Ordino alle mie forze di ritirarsi, immediatamente. Avete un'ora. Disponete dei vostri morti con dignità. Curate i vostri feriti. Ora, Potter, mi rivolgo direttamente a voi. Voi avete consentito che i vostri amici morissero per voi piuttosto che affrontarmi di persona. Io vi aspetterò nella Foresta Proibita. Se entro un'ora non vi sarete consegnati a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry e Éméline Potter, e vi troverò e punirò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nascondervi a me. Un'ora.-
Ron e Hermione scossero il capo freneticamente, guardando Harry. Hermione strinse ancora di più l'amica, sussurrandole di stare tranquilla e di non ascoltarlo.
-Non ascoltarlo.- disse Ron.
-Andrà tutto bene- aggiunse Hermione, agitata. -Adesso... adesso torniamo al castello, se è andato nella Foresta dovremo pensare a un altro piano...-
Rivolsero uno sguardo al corpo di Piton, poi corsero verso l'entrata del cunicolo. Harry e Ron andarono per primo mentre Hermione insisteva per rimanere con Éméline. Harry raccolse il Mantello dell'Invisibilità, poi guardò Piton. Non sapeva che cosa provava, se non orrore per il modo in cui era stato ucciso e per il motivo... Tornarono indietro strisciando lungo il tunnel, senza parlare. Chissà se Ron e Hermione sentivano ancora Voldemort risuonare nella testa come lo sentiva lui. Non era sicuro che sua sorella lo avesse neanche sentito, sconvolta com'era.
Voi avete consentito che i vostri amici morissero per voi piuttosto che affrontarmi di persona. Io vi aspetterò nella Foresta Proibita... un'ora...
Piccoli fagotti erano sparsi sul prato davanti al castello. Doveva mancare poco più di un'ora all'alba, ma era ancora buio pesto. I quattro amici corsero verso i gradini di pietra. Il castello era immerso in un silenzio innaturale. Niente lampi, esplosioni, urla o strilli. Le lastre di pietra della Sala d'Ingresso erano macchiate di sangue. Pezzi di statue erano sparpagliati ovunque insieme a pezzi di marmo e schegge di legno. Parte della balconata era stata spazzata via.
-Dove sono tutti?- sussurrò Hermione.
Ron fece strada verso la Sala Grande. Éméline si era ripresa, più o meno. Hermione l'aveva lasciata appena fuori dal Platano Picchiatore e lei si era asciugata le lacrime, anche se si vedeva che stava male.
I tavoli delle Case erano spariti e la Sala era affollata. I sopravvissuti erano a gruppetti e si abbracciavano. Madame Pomfrey e un gruppo di volontari curavano i feriti sulla pedana in fondo. Tra questi c'era Fiorenzo; perdeva sangue dal fianco e tremava, disteso a terra, incapace di alzarsi.
I morti erano disposti in fila al centro della Sala.
-Io vado a vedere questi, Émé. Vieni.- disse Harry.
-Non ce n'è bisogno, io so già tutto. Ora tocca a te. Va', coraggio.-
Harry annuì prima di uscire, Hermione e Ron andarono dai Weasley.
Mentre avanzava, Éméline vide tanti corpi che non riconosceva sdraiati a terra. Vide Kingsley insieme ai Weasley. Tra i tanti capelli rossi vide Fred e George che abbracciavano Ginny. Trasse un sospiro di sollievo: loro almeno erano vivi. Poi vide una figura correrle incontro. Minerva McGonagall arrivò e, vedendo la sua faccia, Éméline capì che non era lì perché voleva accertarsi che stesse bene. La prese per le spalle, come a volerla sostenere da un duro colpo e poi la abbracciò. Éméline ricambiò l'abbraccio della donna. Poi, vide una cosa che non avrebbe mai voluto vedere. Oltre la spalla della McGonagall, capì perché la donna era venuta ad abbracciarla così in fretta da non lasciarle vedere gli altri morti. Remus e Tonks, pallidi e immobili, sembravano tranquilli, addormentati sotto il buio soffitto incantato.
La Sala Grande parve volar via, rimpicciolire, restringersi. Éméline indietreggiò fino a trovarsi con le spalle al muro, sciogliendosi dall'abbraccio della professoressa.
-Éméline...- sussurrò la McGonagall con una voce che esprimeva tutto il dolore, la pietà e la tristezza che provava. Non riusciva a respirare. Non ce la faceva a guardare gli altri cadaveri, a scoprire chi altri era morto per lei e Harry.
Rimase immobile, cercando il respiro che le mancava. Poi vide Hermione arrivare di corsa.
-Professoressa, sono felice che stia bene.- sussurrò mentre Éméline scivolava lentamente a terra.
-Anche io sono felice di vederti, signorina Granger. Credo sia meglio che tu stia con lei...-
-È stata una notte pesante... abbiamo appena visto morire il professor Piton... e lei non l'ha presa affatto bene. Anche Harry ne è rimasto colpito ma lei...-
-...è distrutta. Glielo si legge in faccia.- completò l'altra. Continuavano a sussurrare, come se temessero di interrompere un qualche rituale.
-Era il suo padrino.-
-Cosa?- chiese la McGonagall, la voce più alta di qualche ottava.
-Me lo ha detto prima, appena dopo la sua morte. Non so come lei facesse a saperlo, ma non ho voluto indagare. Non è in sé. E Remus e Tonks... erano come dei genitori e dei fratelli per lei.- disse infine, abbassandosi all'altezza di Éméline che stava piangendo di nuovo, silenziosamente, gli occhi spenti e vuoti come se lei si trovasse lì solo fisicamente.
-Viene Émé, andiamo fuori.- le disse l'amica aiutandola ad alzarsi e conducendola lontano da tutto quel dolore. Si sedettero sui gradini e Hermione guardò Éméline. Voleva distrarla almeno un po'.
-Sai... Ron mi ha baciata prima...-
Éméline girò la testa.
-Davvero??- sussurrò con voce apatica.
-Sì, e poco dopo ha urlato ad un Mangiamorte di stare lontano dalla sua ragazza. La sua ragazza. Ti rendi conto? Dopo sette anni che gli vado dietro, si è deciso a fare il primo passo!- disse, cercando di sembrare felice. Sapeva che Éméline, per come era fatta, sarebbe stata felice per lei. Erano migliori amiche da quando avevano undici anni.
-È sempre stato un'idiota.- disse l'altra ridendo appena.
-Grazie Hermione. Per prima. E per ora. So che cerchi di distrarmi, ti conosco troppo bene.- disse sorridendo.
Hermione ricambiò il sorriso.
-Beh, almeno ci sto riuscendo un po' no?-
-Riuscendo a fare cosa?- chiese Ron sedendosi vicino a Hermione.
-Lascia stare. Sei un completo idiota Ronald Bilius Weasley. Ci hai messo sette anni a capire che eravate innamorati. Idiota.- disse Éméline.
-Harry?- chiese Hermione.
-A vedere i ricordi di Piton.- rispose Éméline.
Poi posò la testa sulla spalla di Hermione.
-Siete i migliori amici che potessimo chiedere.-
Ron le sorrise prima di scompigliarle i capelli facendola protestare indignata. Continuarono a scherzare come dei bambini di cinque anni, e Éméline non si lasciò sopraffare dalla tristezza che le avvolgeva il cuore. Voleva godersi gli ultimi attimi di felicità prima della fine.

Éméline PotterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora