Il mio sguardo si spostò pigramente tra una macchia di sporcizia e l'altra nei muri di quell'altrimenti bianca stanza. Non pulivano molto spesso.
Sbadigliai e voltandomi sulla mia branda feci cadere il libro che fino a poco tempo prima stavo leggendo. Imprecando mi misi seduto e mi chinai per raccogliere il libro.
- Te l'ho detto mille volte di non essere scurrile! - una vocina tanto bella all'udito quanto fastidiosa all'animo mi accarezzò le orecchie. Mi limitai a ignorarla.
- Non ignorarmi! Ti potrei trasformare in un rospo! - un leggero battito di ali precedette la figura esile e minuta di una fata un poco più grande della mia mano. Quattro ali di libellula dai bagliori arcobaleno, dalla sua schiena frenetiche si agitavano, per stare sospesa non molto lontana dalla mia faccia. Un vestito di foglie autunnali minuscole e magistralmente intessute fra di loro, gli dava un aspetto talmente fiabesco da non essere credibile.
- Primo punto non hai alcun potere magico, dato che ti manca qualcosa di fondamentale: l'esistenza. Secondo punto quante volte ti ho detto di lasciarmi stare mentre leggo? - seccata si allontanò da me volteggiando.
- Non stai leggendo mi pare -
Scossi la testa - Come al solito sei superficiale, non vedi che sto leggendo le note intessute dalla quiete e dalla sporcizia della mia cella? -
Sbuffò - Come al solito sei bravissimo a fare lo stronzo - la guardai sorpreso: doveva essere proprio arrabbiata per usare simili espressioni.
Fece un respiro profondo - Tranquillo ho capito il tuo gioco: fai l'acido perché sei l'unica persona con cui puoi sfogare la tua frustrazione e rabbia. Ti capisco caro il mio ragazzo, puoi sempre contare su di me! -
Ora aveva un'espressione di compassione e mi accarezzava la guancia. Mi alzai e stizzito la allontanai.
Era impossibile dire se fosse seria o mi stesse prendendo in giro: la seconda mi sembrava la più probabile. In entrambi i casi comunque il problema di fondo restava: mi stavo facendo consolare, o prendere in giro, da me stesso. Parlare con lei non avrebbe fatto altro che peggiorare la mia situazione.
Ero rinchiuso in un manicomio e se fossi stato fortunato ci sarei rimasto ancora per molto.
D'altronde la fuori era molto peggio. Lì mi davano: cibo, libri e un alloggio. Prima mi erano sempre stato difficile reperire tutti e tre nello stesso momento.
Quella fata era stata il mio biglietto di ingresso ma comportarmi troppo da pazzo era controproducente. C'era un livello oltre al quale il Governo Unito rinunciava alla possibilità che tu fossi uno psichico e ti facesse sparire senza lasciare traccia.
Era da anni che stavo rinchiuso lì, ma non era così male: due ore di aria al giorno, un'ora per mangiare insieme agli altri nella mensa, tre ore di test psichici e moltissimi libri con cui svagarmi.
La porta si aprii bruscamente e entrò una guardia armata: divisa blu, una massa muscolare non indifferente e imbracciava un fucile d'assalto.
- Ora dei test? - lui annuii. Così uscii, precedendolo.
- Cosa succede la fuori? -
Sospirò tristemente - Nessun cambiamento, i nostri grandi leader mantengono la pace - lui era Aubin Martin, una delle tante guardie armate che giravano per l'edificio.
Lavorava qui da così tanti anni che per forza di cose ci eravamo conosciuti, anche se non ci avrei certi definito amici.
- Preoccupato per la tua famiglia? -
Scosse la testa - Affatto. Servire come militare il mio paese da i suoi frutti: nella zona interna della città è tutto tranquillo - mentre parlava il suo sguardo si spostava sulle telecamere presenti in ogni angolo.
Non si poteva certo dire che conoscessi a fondo Aubin ma mi ero fatto un'idea generale su di lui in base ad alcuni elementi: ero stato spostato in vari manicomi e ognuno era più controllato dell'altro, quindi non era difficile capire che non ero un normale psichico.
Un'unica guardia mi era sempre stata assegnata, Aubin. Quindi non era un soldato comune e sprazzi di intelligenza colmavano i suoi dialoghi quando raggiungevamo gli angoli morti delle telecamere.
- Ci sono state ribellioni di recente? - si guardò intorno e rallentò il passo. A quanto pare voleva allungare la nostra chiacchierata, cosa che apprezzai moltissimo data la mia curiosità dirompente sul mondo esterno.
- No, nessuna. Solo attentati terroristici del Partito Democratico, ma niente che riesca a minare la stabilità del nostro grande paese - manteneva un tono impassibile, ma sapevo di stargli simpatico o non mi avrebbe nemmeno rivolto la parola.
- E i nemici, mosse strane? -
Scosse la testa - Da quel che si dice stanno avendo seri problemi con la criminalità psichica, ma le poche notizie che passano dall'isolamento vengono dirottate dai nostri leader per la nostra sicurezza e non si può sapere nulla con precisione - la risposta non mi convinceva ma anche insistendo non ne ricavai nulla. Rinunciai con un sospiro e iniziai a chiacchierare con lui di argomenti più gioiosi.
Non avevo molte occasioni di parlare: a quanto pare l'isolamento era una parte fondamentale per poter sviluppare dei poteri psichici. Per questo tenevano tutti separati maggior parte del tempo: nei miei anni di permanenza ero riuscito a scambiare pochissime parole con le altre persone che lì vivevano. Non era stato per niente divertente.
C'erano persone di ogni età, dai cinque ai settanta anni, tutti pazzi. Chi meno, chi molto: in ogni caso mi facevano sentire ancora più solo parlare con loro.
Per questo Aubin si divertiva genuinamente a parlare nonostante i dieci anni di età che ci separavano: ero l'unico in uno stato che si poteva avvicinare abbastanza alla normalità.
Come al solito nei corridoi non così bianchi, che si incrociavano gli uni con gli altri, non c'era nessuno. Le onnipresenti telecamere incessanti compivano un mezzo giro fisse sul loro supporto.
Ormai sapevo la strada per la sala dei test a memoria: ci ero andato moltissime volte.
- Sei inquietante, smettila - mi fermai guardandolo perplesso, poi capii a cosa si riferisse.
- Ci sono pazzie peggiori non pensi? -
Scosse la testa - Ovviamente, ma tu sei l'unico qua che salverei se esplodesse una bomba chimica. Quindi cerca di non farti trasformare in un vero pazzo - ridacchiai, riprendendo a camminare.
Si riferiva al mio portamento: ogni passo badavo bene che avesse la stessa identica distanza dal precedente e lì contavo a bassa voce. Come il numero delle telecamere, il numero delle persone che avevo visto, il numero di quelle che consideravo affidabili, il numero degli scienziati...
Dovevo farlo. Era talmente naturale che non ci pensavo: mi deliziavo solo con quei numeri che mi frullavano in testa.
Era da 37 giorni che non mi sottoponevano ad alcun test e la cosa era anormale tenendo conto che solitamente mi chiamavano due volte a settimana.
Giungemmo davanti ad una porta blindata, il mio accompagnatore passò il suo tesserino su una cella di riconoscimento che stava al posto della maniglia. Una serie di scatti e la porta si aprii; la spinsi e entrai.
Appena entrato mi ritrovai in una stanza spoglia con due porte blindate, una da una parte opposta rispetto a l'altra: presi quella di destra e la trovai già aperta.
Giunsi nella stanzetta degli spogliatoi, mi misi l'attillatissima tuta di fibra ottica e premetti il pulsante che stava sul muro; questo sì illumino e non passo molto prima che gli altoparlanti mi dicessero di entrare. Così aprii l'ennesima porta blindata.
La stanza era molto grande: cavi e macchinari si collegavano ad una struttura centrale che prendeva la forma di una grande mezzaluna metallica saldata su una base. Quel macchinario prima non c'era.
- Buongiorno Alberto! Il mio soggetto preferito è arrivato! - un uomo sulla sessantina, mi venne incontro staccandosi da dei cavi che stava osservando intensamente: aveva ben pochi capelli e per niente curati, come i suoi vestiti che altro non erano sempre lo stesso camice stropicciato e i pantaloni bianchi di tela.
- Buongiorno Alphonse. Vedo che i nostri leader si sono sbizzarriti - dissi guardano il centro della stanza.
- Non i Tre, ma io! Purtroppo sono informazioni segrete, se no ti direi di più -
Scossi la testa - Tranquillo non insisto. Come al solito tu sei l'unico che mi parla e si degna di scendere qui - si era già disinteressato alla mia conversazione e stava aggiustando vari parametri nei computer presenti nella base della struttura; alzò le spalle.
- Pensano che voi psichici siate pericolosi così preferiscono starvi lontano - nella sua voce c'era come una sorta di dispiacere nei miei confronti. Ma io me ne guardavo bene a credergli.
Io contavo i numeri per deliziarmi, loro contavano le persone per creare numeri. Ed era esattamente quello che ero: un numero.
Avevo delle potenzialità come psichico e al governo unito servivano psichici: questo rendeva la mia opinione a riguardo ininfluente.
Inoltre ero vissuto abbastanza per sapere cosa la gente pensava degli psichici: pericolosi e infidi. Coloro che stavano al governo facevano un'eccezione: loro in teoria erano educati al controllo, temperanza e laboriosità sociale.
- Ennesimo test in solitaria? - aspettai pazientemente che si accorgesse che io gli stessi ancora parlando.
- Eh? No, stavolta sarai in compagnia - non mi aspettavo una risposta del genere: lo guardai stupito. Non mi volle dire nient'altro, credendo che fosse uno scherzo divertente stimolare le mie aspettative.
Repressi l'enorme fastidio che mi provocava la cosa e mi spostai sui soliti argomenti.
Quante erano le mie domande, pochissime erano le sue risposte e anche vaghe; ma negli anni ero comunque riuscito ad unire insieme i pezzi costruendo una solida conoscenza di base sugli psichici.
Dopo la distruzione totale della Germania e del Giappone grazie a un massiccio bombardamento nucleare il livello medio di radiazioni dell'atmosfera si era alzato di molto e, insieme all'impoverimento di risorse alimentari a livello mondiale portò anche alla nascita di certe persone dotate di potenziale psichico.
Il dopo guerra per l'Europa fu un periodo difficilissimo: la guerra aveva portato devastazione e ne la Russia ne l'America offrirono aiuto: uscendo potenti e trionfanti dal conflitto, preferirono estendere la loro sfera di influenza sfruttando i territori Europei.
In contemporanea un crimine potente formato da persone dagli strani poteri e spesso mentalmente instabili imperversò dappertutto. Così ci fu il periodo della "paura viola" e tutti gli stati, a livello mondiale, subirono un durissimo colpo all'economia.
Il crimine schizzò alle stelle e non si trovarono contromisure data la difficoltà di capire il funzionamento dei poteri mentali; questo aggiungendo la difficoltà di coltivare cibo diede inizio ad un periodo dove la vita era terrificante. Gli unici stati a non finire in ginocchio furono l'America e la Russia.
La situazione in Europa cambiò con l'arrivo di tre individui: primo, secondo, terzo.
Come salvatori si ersero in Francia a sostegno di una società Europea unita e con una fulminante campagna politica divennero presto partito unico del governo Francese.
Con il pugno di ferro repressero con efficacia la prorompente criminalità psichica: così gli altri stati Europei, a pezzi e sfruttati dalle potenze cercarono alleanza e protezione.
Con i "Grandi Patti di Parigi" si riunirono i governi di tutte Europa e vennero eletti unanimemente leader del Governo Unito i Tre.
All'inizio era sottomesso docilmente alla America e alla Russia, ma nel giro di trent'anni, grazie alle misure adottate dai Tre, si comprese molto sugli psichici e la criminalità venne spazzata via quasi completamente.
Le potenze rimasero impotenti in quanto i problemi interni erano troppo gravi per permettere di fermare l'indipendenza del Governo Unito.
Nacque così il nel giro di trent'anni un forte stato che si ergeva su una montagna di cadaveri: dalla fine della guerra a oggi erano morte 5 milioni di persone. 2456783 per le violente epidemie che si scatenarono, 1231654 uccise dal governo per presunti o effettivi crimini, 1311563 morte per le radiazioni provenienti dalla Germania. Senza aggiungere il numero mostruoso di vite che erano state rubate dalla fame.
Ora nel mondo c'erano tre schieramenti e qualunque stato era per forza di cose schierato con uno di questi: America, Governo Unito o Russia. La pace danzava su un filo del rasoio.
Non mi disse nulla di utile così, con l'ultima domanda, aumentai di uno il contatore delle domande totali che gli avevo fatto: 1289.
- La tua fata ti da problemi? -
Alzai le spalle - Ti riferisci alla sua fastidiosa tendenza di avere sempre ragione? A parte quello nessun problema -
Trasognate guardò un tablet che teneva in mano ignorandomi - Ti servirà questa volta - non feci in tempo ad esprimere i miei dubbi che la porta blindata si aprii.
Era una ragazza, cosa che attirò immediatamente la mia attenzione.
Aveva dei capelli rossi riccioluti e degli occhi verdi che incenerivano tutto ciò che vedevano, me compreso.
Quando riuscii a distogliere lo sguardo, dal suo volto incupito, capii moltissime cose su quella ragazza dal passo malfermo.
Dietro di lei la seguiva una guardia dall'aspetto notevole nella sua anormalità: magro impiccato, con una divisa nera e inquieto. I suoi capelli neri gli cadevano sugli occhi e spesso, non senza una certa dose di compulsione, se li toglieva dagli occhi.
Non avevo mai visto nessun altro in quella sala oltre a me e gli scienziati: il fatto che entrasse un'altra persona, seguita da una guardia atipica che non avevo mai visto mi diceva molte cose.
- Dottor Alphonse, buongiorno. Immagino che abbia già letto le istruzioni Dipartimento Psichico? - aveva una voce tremolante e il suo nervosismo era lampante.
- Certo, quindi è lei la ragazza? - rimasi sorpreso quando Alphonse chinò la testa mostrando rispetto: era senza dubbio una persona importante.
La ragazza non mi riservò molto del suo sguardo: era troppo impegnata a disprezzare il suo accompagnatore.
- E lui è quel ragazzo. Me lo aspettavo diverso... - si avvicinò a me squadrandomi, io rimasi impassibile.
- Signore, posso sapere qual è il suo lavoro -
Storse la bocca, infastidito - Mi avevano detto che l'educazione delle cavie era impeccabile, dovrò fare rapporto - Alphonse, si precipitò affianco a me scusandosi al mio posto: poi mi intimò di parlare solo se interpellato. Mi irrigidii trattenendo quello che volevo sputare in faccia a entrambi.
- Soprassiederò, forza inizi il test - annuii, con accondiscendenza.
Anche la ragazza aveva la mia stessa tuta e ed era deliziosamente aderente, ma non ebbi molto tempo per concentrarmi su di lei. Quando Alphonse iniziava a spiegare, fargli ripetere qualcosa avrebbe significato saltare un pasto.
Fece accomodare su una sedia di legno appoggiata vicino all'ingresso l'uomo in nero e ci chiese di metterci in riga davanti a lui. Io lo feci subito ma lei esitò, ancora si guardava intorno e sembrava molto refrattaria agli ordini.
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L'isola della mente
Science FictionUn mondo devastato dalla guerra, dove nuovi particolari essere umani iniziano a nascere. I governi si sono adattati a questo mondo, ognuno a suo modo. Ma una cosa è chiara a tutti: gli psichici sono una risorsa preziosa quanto rara. Vanno studiati...