Prologo

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Ero disteso, ormai da qualche ora, sul prato di quella casa perfetta, pensando alla complessità ma allo stesso tempo alla semplicità di quel cielo così azzurro interrotto a tratti da nuvole candide come la neve. Mi affacciai alla finestra della casa e guardai, ancora una volta, quella bellissima opera d'arte, la mia opera; da lì riuscii a vedere il tavolo, qualche mobile sgangherato e le sedie, disposte in cerchio intorno al grande divano che occupava la maggior parte dello spazio, sul quale avevo disposto cinque cadaveri già in via di decomposizione: due elfi occupavano l'estremità destra e sinistra del divano, tre idrozéi erano stati disposti nella parte centrale. Alle mie preferite, le
fate, avevo lasciato un posto d'onore, tre sedie disposte ai lati del divano. Anche dalla finestra potei notare i particolari: Avevano tutti gli occhi spalancati per la paura, la mia emozione preferita, la bocca dischiusa, la testa leggermente inclinata indietro, braccia e gambe che sembravano rilassate nonostante la morte e, per rendere il tutto più perfetto, avevo aggiunto due tagli molto profondi sulle braccia di ognuno, che avevano prodotto una quantità infinita di sangue, proprio
nel mio stile. Una volta passato il divertimento, però, dovetti avere molta pazienza nell'accumulare ogni minima goccia di sangue sgorgata dai tagli e usarla per dipingere le sedie.
Tutto ciò per dare un tocco di colore a quella casa così noiosa e silenziosa. Una cosa che forse mi rallentava e rendeva il completamento delle mie opere più complesso, ma era proprio la mia mania della perfezione; perdevo sempre molto tempo a pensare ai diversi modi possibili di organizzare e strutturare i miei capolavori e, a volte, ero stato anche scoperto da qualcuno (che non era più tra noi per poterlo raccontare, anche se ripensandoci mi sarebbe piaciuto vederlo provarci). Rendere le mie opere perfette mi costava molta fatica e pazienza, e non potevo fare a meno di lasciare un segno significativo del mio passaggio: un rombo, con due cerchi all'interno, il secondo di grandezza minore.
Esso simboleggiava un occhio, io li osservavo, sempre.
Contribuiva, inoltre, a rendermi diverso dagli altri esseri che abitano questo mondo, inutili esseri che meriterebbero di passare quello che ho passato io, di sentirsi come mi sentivo e come mi sento io tutt'ora, nonostante gli anni passati. Ho provato molte volte a smettere, ma se io non facessi più del male a nessuno, morirei e, in più, vedere i loro visi mi divertiva un mondo.
Non mi piaceva uccidere la gente e non ho mai avuto paura di morire. Se avessi avuto la possibilità di uccidermi, non avrei esitato
neanche un attimo a farlo, tuttavia era impossibile che ciò accadesse. Sono nato così, non ho scelto di essere uno psicopatico assassino che ha bisogno
di uccidere la gente per sfamarsi... in effetti, non mi dispiaceva per niente, se lo meritavano tutti quanti.
Quando i miei genitori scoprirono di cosa fossi capace, mia madre mi ripudiò ed io fui costretto a vivere nell'ombra ed a nutrirmi il meno possibile per paura di essere scoperto e rinchiuso nelle Terre Fredde; ora, però, finalmente potrò uscire allo scoperto e tutti si dovranno inchinare al mio cospetto senza poter darmi ordini e senza poter rinchiudermi solo per quello che ho fatto per sopravvivere, non potranno più giudicarmi. Il mio obbiettivo più grande stava per avverarsi e niente
e nessuno sarebbe stato capace di impedirmelo, neanche me stesso. Avevo progettato il mio pianoper anni ed anni nella mia testa; decisi che l'ora di abbandonare la bellissima casa, presto mia, era
arrivata.

Ero sempre stato un bambino buono, affettuoso, ed ho sempre voluto bene ai miei genitori, fin tanto da farmi considerare uno da evitare, un pazzo. Non era facile vivere nelle nostre Terre, la Corte ci odiava, ci ritieneva inutili, e tutt'ora è così, ma nessuno sarebbe così stupido da dichiarare guerra a persone che, per la maggior parte, non hanno nulla da perdere. Si limitava ad escluderci sempre da qualsiasi cosa ed a
tenerci a distanza dagli altri bambini.
Nel parco comune a tutte le Terre, nella Corte, ricordo, che ci era concesso andare solo ed esclusivamente ad un orario
preciso, in modo da non imbatterci nelle altre terre.
Ogni giorno ci incamminavamo tutti insieme fino al portale che conduceva al parco e, semmai fosse capitato che qualche bambino stesse ancora giocando, ci sarebbe toccato aspettare che se ne
andasse. Non avevo nessun amico tra la mia gente, tutti mi odiavano e riuscivano a mala pena a starmi vicino. Un giorno la mia vita cambiò per sempre, non mi dimenticherò mai cosa successe.
Eravamo arrivati al parco, un enorme spazio ricoperto di verde e circondato da alberi. Stavamo pazientemente aspettando che tutti se ne andassero quando dei bambini, giocando, si
imbatterono in noi. Subito chiamarono le loro mamme che accorsero e, alla nostra vista, assunsero un'espressione di disgusto e odio. Poco dopo ci ritrovammo circondati da tutti, i bambini ci fissavano con timore, mentre le madri si preparavano frettolosamente ad andarsene. Io
mi ero fatto piccolo piccolo, i loro sguardi puntati su di me mi mettevano in soggezione. Il mio sguardo girava in continuazione finché non si imbatté in una bambina. Non mi ricordo bene il
suo volto ma mi ricordo che era vestita di grigio ed era accompagnata da due guardie con vesti dello stesso colore, dalla carnagione chiara, e dalle facce serie. Una guardia si era piazzata davanti a lei, come per proteggerla, e l'altra le intimava di tornare a palazzo. Scansò la guardia di fronte a lei, con molta sorpresa di quest'ultima, e si diresse con passo spedito da un'altra bambina con la pelle scura pronta ad andarsene. Litigarono e io non riuscii a capire bene il perché. Mi ricordo che l'unica che rimase fu proprio lei, la principessina, e mi sorpresi quando lei si
avvicinò a me e le guardie rimasero al loro posto, forse gli aveva ordinato di non reagire. Mi sembra che il suo nome fosse Cheryl. Diventammo migliori amici, ogni giorno aspettava me per giocare, non
sembrava importarle che venissi dalle Terre del Fuoco, e neanche che fosse l'unica proveniente dalle sue terre, l'importante, per lei, era che ci fossi io. Non sapevo molto della sua vita, solo che aveva un fratello più grande.
Giocavamo sempre e non c'era quasi mai un momento in cui stessimo fermi a parlare; inoltre, non le piaceva molto parlare della sua famiglia, quando le chiedevo qualcosa s'incupiva sempre ed io, di conseguenza, cambiavo argomento. Una volta arrivai prima del solito, quando succedeva significava che la mia famiglia ne aveva bisogno. Ero così impegnato
che non mi accorsi che il tempo era passato in fretta, e che avrei già dovuto trovarmi nel nostro punto di incontro, l'albero più grande di tutto il parco. Cheryl mi venne a cercare, preoccupata che mi fosse successo qualcosa e mi colse sul fatto.
Avevo in mano il corpo di un animale appena morto e, quando la vidi, pensai che sarebbe scappata o avrebbe assunto un'espressione terrorizzata, come tutti gli altri. Invece, si avvicinò e, con aria comprensiva, mi abbracciò. Non so come, ma lei aveva capito ed in quel momento mi
sentii rilassato e tutte le mie preoccupazioni svanirono.
Ma nulla dura per sempre. Anno dopo
anno, iniziai a vederla sempre di meno e, le rare volte in cui si presentava al parco, era
accompagnata sempre da più guardie. Una
mattina mi disse che non sarebbe potuta più venire, mi circondò con un ultimo abbraccio e se ne andò. Avevo solo dieci anni e quando mi lasciò mi sentii completamente perso.
Sentii l'acqua fredda scorrere sul mio viso e
portare via con sé ogni minimo particolare di quanto accaduto poche ore prima, mi guardai allo specchio del bagno di quella casa perfetta.
I miei occhi rossi come il sangue, i miei capelli castano scuro ultimamente erano cresciuti molto ed erano quasi di una lunghezza normale, le labbra erano
distorte in un ghigno compiaciuto dal risultato della mia opera, ed i vestiti erano fradici del loro sangue, al solo pensiero mi venne quasi da vomitare; non ci feci caso, la mia mente era concentrata nel controllare che tutto nella casa fosse al suo posto e, una volta che ne ebbi la certezza, uscii e mi preparai ad essere, ancora una
volta, il solito buono, gentile ed altruista Jake. Mi ero lasciato tutto il tempo necessario per studiare le emozioni, i gesti, il modo in cui, diversamente da me, il vero me, quegli esseri riuscivano a rapportarsi con gli altri. Io sapevo di essere diverso, speciale e quando ritenni che il momento
fu arrivato, infatti, sacrificai gli otto corpi che in quel momento si trovavano nella casa, per una causa che finalmente si stava avverando: la mia.

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