Si guardò intorno osservando lo stesso e identico paesaggio che aveva osservato per anni; odiava le sue terre, specialmente la loro freddezza e invariabilità, odiava la sua famiglia e odiava tutte le persone che popolavano quello stupido e freddo posto; avrebbe preferito di gran lunga vivere nelle Terre della Giungla, e questo era tutto dire, si diceva che queste fossero nelle mani di uno sbruffone selvaggio che non faceva altro che bere e far festa. Le Terre Fredde di distinguevano dalle altre per essere principalmente governate dal ghiaccio e da persone che sopravvalutavano sé stessi nell'arte del crimine, e questo diceva tutto sul tipo di vita che conduceva.
Arrivò alla Porta, quella che separava le Terre Fredde da tutte le altre ed iniziò a fischiettare l'inno del regno (cosa che difficilmente si sentiva da quelle parti) aspettando che Zack, una delle guardie del posto capisse che quello era il momento di ricambiare almeno uno dei tanti favori che gli doveva; e lo fece, Zack gli aprì le Porte e gli fece un cenno di saluto. Rimase fermo, paralizzato dalla vastità di bianco che si ritrovò davanti; aveva aspettato così tanto per poter uscire, e non pensava ci sarebbe mai riuscito; per un secondo provò compassione per il ragazzo che gli aveva aperto le Porte, e gli aveva offerto la possibilità di scappare, sapeva che se avessero scoperto che era stato lui a farlo uscire gli avrebbero tagliato la testa e lo avrebbero buttato nel Vuoto; ma si ritrovò ad eliminare qualsiasi forma di sentimento provata nei suoi confronti, in fondo non esistevano amici in quel posto, esistevano solo favori, e lui amava fare favori, tanto quanto amava riscuoterli, proprio come in quel momento.
Varcò quell'immensa soglia nella speranza che tutto filasse per il verso giusto, o per meglio dire secondo i suoi piani; si ritrovò anche a sperare che i suoi genitori fossero troppo impegnati nelle loro stupide idee complottiste per accorgersi di quello che stava facendo. Ci ripensò e quasi li volle lì, a vedere fin dove era arrivato, in modo da poter sbattere in faccia a quei due idioti che lui era riuscito dove loro avevano fallito, due volte. La fuga.
Si ritrovò nel bel mezzo del nulla, davanti a se si presentava solo una grande distesa di ghiaccio, iniziò a camminare, a pensare che forse quel posto non era poi così male, il freddo gli piaceva, non che avesse mai conosciuto il caldo, ma glielo avevano raccontato e non sembrava fatto per lui. Pensò a molte cose che si trovavano in quel posto e che per lui erano completamente inutili. Le guardie ad esempio, qual era il loro scopo? Non servivano a molto visto che anche loro erano criminali o loro figli; certo, con il passare del tempo si era capito che si doveva creare un gruppo che almeno facesse finta di fermare le risse all'interno delle mura, e che frenasse gli idioti dal fuggire di lì, e questo portava al loro compito più importante: quello di tenere lontano dalle Porte chiunque provasse ad uscire. Le vide per la prima volta quando aveva sei anni, si avvicinò quando ne aveva tredici e adesso le aveva anche oltrepassate. Non aveva mai visto nulla al di fuori delle sue terre, era nato lì, come molti altri ragazzi e bambini pronti a marcire con coloro che erano stati così stupidi da farsi catturare e gettare lì.
Non odiava i suoi genitori, in fondo non poteva dar loro la colpa di essere stupidi ed avventati; insomma chi avrebbe mai osato ideare un complotto contro la maggiore istituzione senza avere un piano alternativo? Purtroppo conosceva benissimo la risposta. Provava compassione per loro, e in più si divertiva un mondo quando un loro piano di fuga falliva.
Tornò a guardarsi intorno, il paesaggio era spoglio e candido, ad eccezione per quei piccoli fiori, quegli unici e piccoli fiori, che crescevano lì; la Xibrya era una piantina che cresceva solo nei luoghi più freddi del loro mondo, solo se sotto di essa erano presenti all'incirca venti centimetri di ghiaccio, non di più, non di meno; aveva dei piccoli petali di un viola molto scuro che la rendevano facilmente individuabile in tutto quel bianco. Si abbassò, e iniziò ad accarezzare quei piccoli petali di quel piccolo fiore in mezzo a quell'immensa distesa di ghiaccio; erano soffici e si ricordò della prima volta che li toccò. Li strappò via con un gesto veloce, riscuotendosi dai suoi pensieri, e li lasciò volare via, si rese conto di star trattenendo il respiro, e ricacciò tutta l'aria fuori, era una cosa che gli capitava spesso, soprattutto quando entrava in contatto con qualcosa che provava troppo.
Camminò a lungo, senza affrettarsi troppo ma senza mai fermarsi, fin quando non senti un leggero formicolio lungo la schiena e prolungarsi fino la punta delle dita e in quel momento vide la sua skiá'ten, ed accennò un sorriso, perchè lo faceva sentire così vivo e forte, morto e debole, allo stesso tempo e la ringraziò per questo; il piccolo esserino, la sua piccola ombra di drakzmeya si accontentò del tacito ringraziamento e risalì la pelle del suo padrone miscelandosi ad essa in un tutt'uno.
Non sapeva quanto tempo fosse passato semplicemente era impossibile capirlo da quelle parti, ma gli sembrò essere passata un'eternità da quando era partito e il luogo intorno a lui inziava a cambiare, il ghiaccio diventava neve, un alto e soffice strato di neve, che gli faceva affondare i piedi, e che ricopriva gli alberi che iniziavano ad apparire ed avvenne tutto in un secondo, venne travolto e buttato a terra. Non ebbe modo di pensare a nessuna reale conclusione di ciò che era appena successo, era troppo lontano dalle Terre Fredde per essere raggiunto così velocemente, e si ritrovò ad alzare il suo sgaudo freddo. Per un secondo pensò di avere davanti a se un folletto, ma poi si ricordò che questi non cadevano dal cielo ed erano decisamente più piccoli; così il suo sguardo scorse un volto incorniciato da fili candidi che sembravano dissolversi tra il bianco della neve, dei grandi occhi a gatta, dello stesso argento del cielo sopra di loro, e la sua pelle nivea e morbida gli ricordò i petali della Xibrya; infine si ritrovò a guardare le labbra della piuma caduta dal cielo, erano così rosse da entrare in contrasto cin tutto ciò che aveva visto prima, le vide muoversi, e si risvegliò dal suo stato di incoscienza sentendo una voce sottile, quasi dolce, chiedergli scusa. Odiò subito la piuma caduta dal cielo, la odiò perchè si era perso ad analizzarla, e più di ogni altra cosa odiò la sua voce, così calda e confortevole, eppure capì subito che c'era qualcosa di diverso, non era lo stesso odio che provava per i suoi genitori o per le altre persone che aveva conosciuto fino quel momento, no era un odio diverso, le avrebbe tagliato la gola pur di non sentire più quella voce, eppure allo stesso tempo l'avrebbe pregata di continuare a parlare; e le avrebbe dato fastidio, tremendamente fastidio, come era bravo fare, solo per odiarla di più. Si schiarì la voce incrociando gli occhi della ragazza che era improvvisamente e letteralmente caduta dal cielo.
-Non so come funziona dalle Mura ma mi era sembrato di capire che le persone non cadessero dal cielo.-
- Oh per tutte le Asterie! Perdonami i venti manipolati dai ragazzini sono imprevedibili- lo disse borbottando, e per un istante, gli parve quasi che la voce della piccola piuma caduta dal cielo potesse confondersi con il leggero fruscio del vento. -Chi diamine lascia controllare i veni a dei ragazzini, ma in che diamine di posto vivi Piuma?-e in quel istante poté notare il cipiglio che era apparso sul suo volto candido facendolo quasi sembrare più buffo -Il mio nome non è Piuma, ma Revil, e poi che vuol dire in che razza di mondo vivo, insomma tutti sanno che a controllare i venti sono i piccoli del Regno, per creare stabilità, insomma non puoi mettere un intellettuale a governarli- non ci capì nulla, neanche una parola di quello che aveva detto, ma era riuscito a capire che la sua voce ricordava il vento, tutto nel suo modo di fare ricordava una certa leggiadria e freschezza e solo in quel momento comprese da dove fosse caduta. -Quindi, Piuma, tu ti occupi di controllare le correnti non sembri molto preparata- si rabbuiò, sembrò quasi offesa, forse lo era davvero, ma gli importava poco, ogni volta che lei apriva bocca si stupiva di tutte le cose contrastanti che riusciva a provare, e sorprendentemente la cosa non gli dispiaceva
- Io non mi occupo di questo, insomma non sono una ragazzina, e per la cornaca mi occupo della sistemazione astrale dipendente dalle correnti nordiche- anche quella volta lui non ci capì niente, come poteva il vento spostare le stelle, quelle grandi entità che si veneravano ogni sette cicli lunari, eppure capì un'altra cosa lei non aveva la minima idea di quellk che aveva detto, si certo, forse quel mestiere esisteva davvero lissù da dove veniva lei, ma lei non era di certo una del capo, e lui lo capì guardandola, da come le punte delle orecchie si erano colorate di rosso, eppure la lasciò fare, proprio come non aveva accennato alla loro vicinanza. Solo allora, quando le sue guance presero lo stesso colore delle orecchie lei si scostò, forse pensò, l'ho pensato troppo intensamente, eppure ristrasse quella folle idea dalla sua mente.
-Perdonami, ancora, non volevo spiaccicarti al suolo; ma tu cosa diamine ci fai qui? Da queste parti non c'è nulla- ed in quel momento lei parce capire tutto, e se prima si era scostata per farlo alzare adesso lo aveva fatto per disgusto no forse era paura.
-Non ti ucciderò per essermi caduta addosso se è questa la tua paura; ma potrei farlo per un qualsiasi altro motivo- non lo pensava davvero eppure lo disse e lei si accigliò; forse non gli credeva, o forse cercava di apparire forte, ma in quel momento si alzò e lo sorpassò, e questo scatenò in lui tante emozioni, voleva davvero ucciderla, adesso, ma allo stesso tempo voleva alzarsi e seguirla, e lo fece; si alzò e la seguì, lei sapeva che lui la stava seguendo e lui lo aveva capito. Camminarono a lungo, in silenzio, senza mai parlarsi e guardarsi, intorno a loro alberi innevati ricoprivano lo scenario e costeggiavano il sentiero, la nebbia era scesa, ed era fitta, cosí fitta che per lui era quasi impossibile vedere lei, che sembrava mimettizzarsi alla perfezionetra essa; la ragazza si fermò e lui fece lo stesso a qualche passo di distanza, la vide soffiar via tutta la nebbia, e lo scenario cambiò di nuovo, adesso un muro si stagliava davanti a loro e i piccoli occhi a gatta si posarono finalmente su di lui, e lei fu la prima a rompere qual tacito accordo
-Non mi hai detto il tuo nome; hai detto che potresti uccidermi, ma non mi hai detto chi sarà a farlo, qual è il nome della persona che mi ucciderà-
Lui si fermò e pensò se dirle il suo nome avrebbe cambiato qualcosa, ma la sua lingua si mosse prima del previsto e si ritrovò a dire il suo nome alla piuma caduta dal cielo, dallo stesso cielo da cui cadevano le divine stelle
-Blake, il mio nome è Blake-.
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Hidden World
FantasyRicordo I; frammento. Un tempo, i mondi vivevano insieme, ogni stella caduta era sacra a tutti i popoli, l'equilibrio del tempo era stabilito, e ad ogni ciclo di luna, quando lo scorrere del tempo concordava, era concesso vedersi. Una notte qualcosa...