"Sei giovane, sei già stato per alcuni anni in teatro, oppure sei figlio di gente di teatro; o hai fatto il pittore per qualche tempo, ma poi hai sentito il desiderio del movimento; oppure sei un operaio. Forse hai bisticciato coi genitori a diciott'anni, perché volevi darti al teatro ed essi erano contrari. Forse ti hanno chiesto perché volevi darti al teatro, e tu non hai potuto fornire una risposta ragionevole, poiché ciò che volevi fare nessuna risposta ragionevole può spiegarlo: volevi volare. Forse avresti fatto meglio a dire "Voglio volare", anziché pronunciare quelle parole spaventose: "Voglio darmi al teatro".- Edward Gordon Craig
Ma come potevo desiderare di diventare altro con dei genitori come i miei?
Non che stia dando la colpa a loro, col tempo ho capito che sono ciò che sono perché ci sono nato, ma loro mi hanno fatto vedere cose che un ragazzo della mia generazione non sarebbe riuscito a vedere da solo.
Sono nato nel maggio del 1994, primo figlio di una coppia qualunque. Mia madre casalinga, mio padre operaio. Si arriva a fine mese senza troppi sforzi e siamo felici. E per fortuna sorridono sempre, anche quando le cose non vanno tanto bene. Forse perché non dedicano tutta la loro vita nel fare soldi o nel tenere la casa in ordine, ed è qui che inizia la mia storia.
Mio padre è un appassionato di teatro e dei film, come dice lui, "di una volta"; gli piacciono tanto soprattutto la commedia napoletana e Charlie Chaplin. Mia madre invece dev'essere stata una ballerina mancata perché non fa altro che ascoltare canzoni degli anni '80, e non sa farlo senza ballare. Le piace anche (e forse troppo) la televisione di quell'epoca, dove oltre a sfornare canzoni immemorabili, si ballava sul serio. Heather Parisi. Brian & Garrison, Raffaele Paganini. Ecco come mi chiamo, Raffaele. Vi devo spiegare il perché?
Quando trascorrevo i giorni a casa con lei non c'era mai silenzio, musica a palla.
"Gira gira, sotto sotto, ti trovi sempre qua, tra i piatti e il rubinetto con la musica che va. Muoviti crilù, che il tuo tempo vola via, diventa star nel tuo video!" cantava Heather, e mia madre in cucina ballava gli stessi passi che vedevo fare ai ballerini.
"Ancora con questa Heather Parisi? Ma lo sai che se continui così a questo bambino lo farai diventare..." seguito dal gesto del dito che tocca l'orecchio, diceva mia nonna.
"So bene cosa faccio. Cose così non le vedrà mai più. Ed è meglio un figlio come dici tu piuttosto che ritrovarmi con un criminale in casa" rispose a tono mia madre.
Mia nonna era assai più razionale dei miei genitori, e infatti probabilmente era quella che ci teneva coi piedi fermi sulla Terra, o almeno dava il giusto equilibrio. Ma ancora non capivo quel suo gesto, cosa intendeva? Quando glielo chiedevo mi rispondeva "eeeh, lo scoprirai da grande, ma non è una cosa brutta, stai tranquillo a nonna!" con il suo intercalare da fiera donna del Sud. E allora se non c'era nulla di male, perché preoccuparsi? Saltellavo verso mia madre, fingendomi uno di quei ballerini, per abbracciarla forte. Mi stava regalando gioielli ed io così piccolo non potevo e non riuscivo a capirlo, ma sapevo che c'era qualcosa di speciale in tutto quello che faceva. Lei forse immaginava un certo tipo di futuro per me, senza immaginare quanto duro lavoro e quanti sacrifici si sarebbero dovuti fare e quanti 'no' avrei dovuto ascoltare.
Nel 2000 nasce la mia sorellina Cristina, come Cristina D'Avena. Ma perché mio padre assecondava ogni scelta di mia madre? Ne doveva avere di pazienza con una pazza come lei!
Ero contento di avere una sorellina, mi piaceva l'idea di essere il fratello maggiore e sapere che avrei dovuto proteggerla e prendermi cura di lei; difenderla dai bulli e dai ragazzini che ci avrebbero provato. Però era solo un'idea, perché non sapevo nemmeno proteggere me stesso. A scuola mi prendevano in giro, mi dicevano che ero 'diverso': ma diverso da cosa, e da chi? "Sei diverso perché non canti mai le canzoni che cantiamo noi, perché sei sempre con le bambine invece che giocare con noi maschi, e poi... niente, sei diverso!". E allora? Non ci vedevo assolutamente niente di male in tutto quello che facevo, lo facevo e basta. Facevo ciò che sentivo, ma a volte ammetto che mi immischiavo nel gruppo dei maschietti di classe mia giusto per non sentirmi le risatine dietro. Non sempre riuscivo a lasciarle dov'erano, cioè dietro alle mie spalle; volevo o non volevo, mi importava di ciò che dicevano gli altri di me. Siamo tutti attori, e agli attori fa piacere sentire cosa ne pensa il pubblico, per loro è importante. E forse anche per questo ero diverso, perché alla solita domanda delle maestre "cosa vuoi fare da grande?" rispondevo "voglio fare l'attore"; e quando volevo sentirmi meno diverso rispondevo "voglio fare il veterinario".
Mio padre lavorava tutti i giorni tranne la domenica. Potevo stare con lui soltanto a colazione e alla sera. Di solito non guardavamo mai la televisione durante la cena, ci dedicavamo a parlare di tutto e di più, ma con l'arrivo di mia sorella cambiarono varie abitudini. E un'abitudine che avevamo prima che arrivasse lei era quella di guardare una commedia dopo cena, mentre mamma lavava i piatti. Mi faceva vedere Eduardo De Filippo, Totò e altri film. Ma Eduardo De Filippo era l'unico che, almeno per ciò che vedevo, recitava in teatro. "E' perché hanno ripreso proprio gli spettacoli in teatro. Figlio mio, il teatro è tutta un'altra cosa rispetto alla televisione che ti fa vedere mamma. E' tutta un'altra magia. E' una passione bellissima che potrebbe toglierti tutto ma darti tanto altro. Sai, da ragazzo mi sarebbe piaciuto fare l'attore di teatro, ma purtroppo c'erano altre esigenze, cose più importanti a cui pensare. Si deve mangiare, e per mangiare bisogna avere soldi, e per avere soldi bisogna lavorare, e il teatro purtroppo non ti assicura dei soldi". Era malinconico quando lo diceva, e quando lo sentivo raccontare dentro di me avevo una voglia irrefrenabile di renderlo fiero, volevo diventare io l'attore che lui non era riuscito a diventare. Volevo sacrificarmi io al posto suo per rendere reale un sogno ormai andato. Ma non sapevo ancora quanto effettivamente sarebbe costato tutto questo.Il sabato sera mamma preparava sempre una cena diversa dalle altre, diceva "per festeggiare l'ultimo giorno di lavoro della settimana di papà". Ed ovviamente si doveva accendere la televisione. Io la notavo la differenza della televisione che mi faceva vedere mia madre da piccolo con quella che vedevo alla sera, e la notava anche lei.
"Signore e signori, siamo convinti che se Fred Astaire fosse ancora vivo lo applaudirebbe!". Parte una canzone che somigliava a quelle dei film che mi faceva vedere mio padre, e in mezzo al palcoscenico c'era un uomo solo, dietro di lui penso fosse uno schermo con tanti suoi cloni. Era... piccolo, cioè non somigliava al resto degli uomini che vedevo in televisione, quelli erano alti, un po' muscolosi. Lui era... diverso. Indossava un cappello e aveva un bastone molto simile a quello che di solito vedevo a Charlie Chaplin. Ballava, cantava e faceva un tipo di ballo che solo tramite papà avevo visto qualche volta. Una danza che ti fa far rumore coi piedi al ritmo della musica, non sapevo come si chiamasse ma mi faceva venir sempre qualche brivido dentro.
"Dai bambini, è ora di andare a letto" disse mamma.
"No mamma aspetta, vediamo questo e ci andiamo!"
"Tesoro è tardi, vogliamo o non vogliamo svegliarci presto domattina per andare a fare una bella passeggiata con papà? E poi non potete stare sempre davanti alla televisione"
"Ah, adesso non possono stare davanti alla televisione?" chiese mio padre ironico.
Mia madre con una frecciatina rispose "almeno non fino a tardi! Dai, andiamo!"
La seguimmo e provai a non far rumore per continuare ad ascoltare quel ticchettio che faceva con le scarpe, ma una volta arrivati in camera non potevo più sentir niente.
Quella sera faticavo a prendere sonno, fantasticavo su come fosse stato essere come quel ballerino così diverso da tutti ma così simile a me. Ad un tratto sentii i miei discutere sulla questione economica della nostra famiglia: l'arrivo dell'euro diede una svolta ad ogni singola cosa, e non nel senso giusto. Se prima avevano certezze sul futuro mio e di quello di mia sorella, ora tutto svaniva o diventava più difficile. Ma sapevano davvero cosa fosse la cosa giusta per me? Mi avevano mai chiesto cosa davvero volessi? La risposta ad entrambe le domande era no, non lo sapevano, e soprattutto non sembravano mai interessati su come immaginassi il mio futuro. Dottore? Avvocato? Ingegnere? Oppure avrebbero voluto vedermi seguire le orme di mio padre? No. Anche se avevo circa otto anni sapevo che la risposta era no. Io non mi sarei mai accontentato così facilmente.
Infilai la testa sotto al cuscino per evitare di sentirli e chiusi gli occhi con la speranza che un giorno, magari, avrebbero capito quello che davvero volevo essere: un attore.
Mi addormentai facendomi cullare da quel ticchettio di scarpe che tanto mi faceva sognare.
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Uomini con le ali
De TodoTi diranno ciò che devi fare e ciò che in futuro dovrai essere, con la presunzione di conoscerti e di sapere tutto di te. Ma non è mai così. Accontentarsi? Non mi basta. Io voglio essere ciò che desidero perché dentro di me so che non c'è nulla di m...