Your Name -Iwazumi Hajime-

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"Oh, to see without my eyes
The first time that you kissed me"

[T/n] stava suonando il suo ukulele: stante sul letto accordava lo strumento e lo provava cantando un motivetto che le era entrato in testa. La camera era immacolata, sembrava pronta ad un'esposizione; tutto eccetto il letto suo: le lenzuola erano ammucchiate da una parte e i cuscini all'angolo del muro; il materasso era sommerso da scartoffie, quaderni, spartiti e matite varie. Il sole riscaldava la stanza e si posava sulla sua pelle rendendola lucida e calda; le persiane erano aperte facendo sì che ogni rumore esterno le arrivasse chiaro. Ma alle 3 di pomeriggio nessuno avrebbe avuto il coraggio di uscire e fare baccano.
Iniziò a suonare.
Le note di quella canzone riempivano le strade e entravano nelle case: sapeva che qualcuno avrebbe imprecato sentendole, ma era certa che qualcun altro le avrebbe ascoltate e capite.

Quel qualcuno era sotto la residenza della ragazza: stava camminando senza una precisa meta e all'udire della musica si fermò, cercò di vedere oltre il balcone, di entrare con lo sguardo nella stanza, di riuscire a udire meglio le note, ma si rassegnò. Si appoggiò al muro limitandosi ad ascoltare lo strumento e la voce della melodia misteriosa.
Il ragazzo aveva la pelle olivastra, che risplendeva sotto i raggi, occhi piccoli e provocatori, reti nel quale si rimaneva catturati; le labbra sottili e gli zigomi alti, le sopracciglia spesse e i capelli color castagno. Insomma un quadro ritraente l'autunno.
Aveva chiuso gli occhi e si era lasciato coccolare dal calore dell'aria e della canzone; teneva le sopracciglia aggrottate e le estremità dei labbri verso il basso; era imbronciato, ma più i secondi passavano, più la pessima atmosfera della sua psiche svaniva. Passò minuti seduto ad ascoltare, cadendo in una specie di dormi-veglia.

La canzone si interruppe e le note smisero di arrivare all'orecchio del ragazzo, lasciando spazio allo scricchiolio delle assi di legno, ai passi lenti dei piedi nudi di lei e ai respiri suoi.
La ragazza si appoggiò alla ringhiera del balcone e trattenne il respiro, le sue guance si infervorarono e i suoi labbri si staccarono
-che immagine stupenda- quella figura non aveva imperfezioni; i tratti insoliti e perfetti lo rendevano piacevole anche solo al primo sguardo.
[T/n] prese le scarpe e scese verso l'ingresso, non capiva cosa stesse facendo quello lì, era morto? Si era addormentato o era una sua allucinazione?
Aprì la porta di casa e lentamente lo avvicinò: si abbassò al suo livello e gli bussò la spalla. Un suo occhio si aprì all'improvviso facendo sobbalzare la [c/c] che indietreggiò: "Scusami, ti ho svegliato." Balbettò guardando verso il basso: "Stai bene? Ti sei perso?" Il ragazzo non spiccicò parola e continuò a guardarla, anche se la controluce oscurava il suo volto: "Se vuoi ti posso dare una mano, devo solo prendere il telefono. Salgo un attimo a casa e torno. È proprio quella lì." Gli indicò l'abitazione e lui arrossì: "Allora era tua la canzone?" Il ragazzo parlò, lasciandola di sasso: "Sì.." lui abbassò gli occhi e si alzò: " Era molto bella" si mise la mani in tasca e si guardò attorno: "Grazie." Lui sorrise leggermente: "Beh allora io vado." Cominciò a camminare, ma lei lo fermò: "Aspetta, non hai risposto nemmeno alla metà delle domande che ti ho fatto, sicuro che stai bene?" si girò indietro e rimase sopraffatto dalla vista di [T/n]; ora la sua figura gli era più chiara: i suoi tratti, le sue gambe, i suoi occhi magnetici [c/o].
Le si avvicinò e la guardò dall'alto verso il basso: "Sto bene, grazie per esserti preoccupata."
Nuovamente cominciò ad avviarsi verso non si sa dove e lei lo chiamò: "Aspetta" infastidito: "cosa?" La ragazza incrocio le sue dita e guardò dritto nelle sue iridi: "Come ti chiami?" Il ragazzo sorrise: "Iwazumi Hajime" Poi si voltò: "Non vuoi sapere il mio?" Gridò lei ormai distante: "No, so dove trovarti.."

-Che strano tipo-

Il giorno seguente allo stesso orario, le persiane di [T/n] erano aperte, la sua voce rimbombava nella stradina e il suo ukulele suonava note ancora più dolci delle precedenti.
Un sassolino arrivo ai piedi del suo letto e la ragazza di fretta si sporse dal balcone per vedere chi lo avesse tirato. Era lui: "Che ci fai qui?" La salutò con la mano: "Volevo avere la conferma che non fossi un'illusione." [T/n] strinse fra le mani il bordo della ringhiera, arrossendo; in fondo anche lei aveva bisogno di una conferma: "Lo sono?" Si sporse di più dal balcone: "Non ne sono certo." Ci fu silenzio, poi lei corse dentro: "Dove vai?" Il ragazzo saltò per vedere se fosse ancora lì; poi la porta della casa scricchiolò e mostrò la [c/c]. Si diresse verso Iwazumi che arrossì evidentemente: "Come ti sembro?" Lui espose un dito alla luce e lo punto verso la sua guancia, scostò di poco dei capelli e lei smise di respirare per un secondo: "Un sogno." Le loro gote diventarono dello stesso colore e Iwazumi si mise una mano davanti alla bocca mentre [T/n] abbassò lo sguardo e si accarezzo la parte di volto sfiorata da lui: "Scusami, ci conosciamo a malapena.." indietreggiò bruscamente.
"Allora parlami."
Quelle parole rimbombarono per tutta la strada e entrambi si persero tra i loro sguardi.

Per più di un mese si incontrarono allo stesso orario sempre sotto il balcone di lei, erano diventati molto intimi verbalmente, ma lui non volle mai sapere il suo nome e lei non volle mai il suo numero.
Però un giorno di maggio, Hajime non si presentò, la ragazza non ci diede troppo peso, era stato un giorno solo, ma quell'uno si tramutò in una settimana.

[T/n] non sapeva che fare, era preoccupata e amareggiata, non sapeva il suo numero, né i suoi social, l'unica cosa che conosceva erano le sue passioni e la sua identità.
Ma era inutile cercarlo su Internet, di Iwazumi Hajime ce ne erano a milioni; ma lui era l'autunno in estate e il sole in inverno, era la cioccolata calda, ma allo stesso tempo il té freddo; non era mai una sola cosa, ma un mix di mille, mille sfumature si intravedevano nei suoi occhi e mille emozioni le sue parole le suscitavano.
[T/n] non riusciva a starsene con le mani in mano, sapeva dove fosse la sua scuola e lo avrebbe raggiunto a tutti i costi. Ma se non lo avesse incontrato fra quei corridoi, come avrebbe fatto a fargli sapere che lo aveva cercato?
Guardò il suo letto e un foglio pieno di scarabocchi e parole rilegate in strofe spiccava fra la cima; lo prese senza leggere, non importava cosa ci fosse scritto, bastava solamente che quel foglio gli ricordasse lei. Doveva infilarlo in un posto in cui l'avrebbe di sicuro trovato, doveva sapere che lei lo aveva pensato e che magari era tempo di chiamarla con il suo vero nome, e non più 'ragazza del balcone'.

Corse tra le strade, quel giorno non c'erano più le sue note a risuonare in città, ma i suoi passi, veloci e scaltri; sapevano perfettamente dove andare, dove scovarlo.
Arrivata davanti l'entrata si immerse nei corridoi, perdendosi nell'accademia e perdendo la sua opportunità.
Cercò ovunque, ma niente, Hajime non era da nessuna parte.
Affranta andò verso gli armadietti e cercò impaziente il suo nome fra quelli; passò l'indice sulle etichette e alla terza fila trovò il suo.

"Che stai facendo?"
Schizzò in aria per lo spavento e si girò lentamente verso la figura, era lui.
Lui con indosso una maglia stretta azzurrina, dei pantaloni della tuta e la borsa a tracolla in mano.
[T/n] inghiottì un grosso pezzo di saliva e lo guardò atterrita: "Cosa tieni in mano?" Indicò la lettera e lei la mise dietro la schiena arrossendo -Che cazzata ho fatto-.
Lui cercò di toglierla fra le mani, ma [T/n] resistette, per un millesimo di secondo, poi le venne rubata.
Lo osservava attentamente mentre leggeva le sue parole, mentre muoveva le labbra e sorrideva leggermente. Non aveva letto ciò che aveva scritto, ma pian piano, mentre lui scendeva giù nei righi, se ne ricordò e il suo cuore si fermò: parole d'amore, di bisogno vi erano incise, con l'inchiostro e indelebili.

Iwazumi smise di leggere e lentamente poggiò lo sguardo verso di lei che  indietreggiò: cercava una via di fuga, dalla sua vista, da quel posto, da quel momento di imbarazzo; ma prima che potesse dileguarsi la prese per il polso e la tirò a sé.
In un sol colpo unì le loro labbra, trasmettendole tutto il suo amore: formato da sguardi fugaci, noleggiato sulle note di quello strumento, schiarito dal sole.

"Qual'è il tuo nome?"

-Mag

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