Headshot.
Letteralmente, stendere qualcuno tramite un solo colpo. E non è facile: devi essere allenato, conoscere l'avversario, studiare una mossa e subito dopo prepararne un'altra; è una combinazione di maestria, saggezza ma, soprattutto, tempistica. E' questione di un minuto, durante il quale tu non vedi nient'altro che lui, e tutto il resto del mondo si ferma; è un secondo, dove tu dici "impossibile", e lui, invece, dice "forse". E' l'attimo in cui Kurt sorrise di fronte alla cioccolata regalatagli da Blaine. Fatale. Perchè è opera del destino, quella. Non si scherza con un headshot, non è un colpo che si riceve per caso. Non è uno sguardo, un sorriso, un'emozione: è la fusione di tutte le cose messe insieme. E' la sensazione di sapere esattamente cosa ne è rimasto del tuo cuore, sparso in mille pezzi un po' dappertutto, sulle mani tremanti, sul respiro irregolare, sugli occhi raggianti e sulla bocca semichiusa. Perchè, contrariamente a tutto quello che si era concesso di immaginare, Kurt l'aveva presa. E Blaine quel pomeriggio non aveva pensato molto a come incartarla, di che tipo comprarla o quando gliel'avrebbe offerta; l'aveva vista lì, sopra ad una mensola del negozio di dolci sulla strada di casa sua, e aveva pensato che sarebbe stata una cosa carina, così, senza troppe fantasie o aspettative. Mercedes gli aveva detto che odiava la cioccolata bianca; gli aveva detto "perchè gli piaci".
E poi, incastonato tra un'espressione timida e degli occhi cangianti, ci fu un suono dolce, come una nota pura e cristallina.
"Grazie."
Credeva che sarebbe morto lì, in quel secondo, nel bel mezzo del Lima Bean. E invece con grande stupore, Blaine si accorse di essere vivo nel momento in cui sentì il suo cuore pulsare freneticamente. Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l'intensità di una minuscola scossa elettrica.
Il resto del tempo passò in fretta, si accordarono su come e quando vedersi per poi andare insieme al Lan Party; Kurt era felice, non passava una serata tranquilla da giorni, e sentiva proprio il bisogno di staccare la spina. Quando si salutarono, fuori dalla caffetteria, fu con un sorriso: quello di Kurt leggero e calmo, quello di Blaine vivo ed emozionato. Non fecero altro; non c'era molto altro da fare, di fronte a centinaia di persone e in mezzo ad una strada. Tuttavia, Blaine s'incamminò con passo calcolato e veloce, quasi muovendosi per volontà di qualcun altro piuttosto che per la sua. Kurt lo osservò un'altra volta, inclinando leggermente il viso, prima di ricordarsi che gli toccava tornare a scuola a riprendere la macchina. Sfruttando un autobus di passaggio – sperò vivamente che il controllore non lo beccasse nell'unico giorno in cui non disponeva di biglietto – arrivò al McKinley in poco tempo, trovandolo praticamente vuoto e spogliato dei sue millecinquecento studenti. Arrivando vicino alla macchina si accorse di un gran vociare proveniente dalla palestra poco distante, annessa ai campi di football, unito a delle grandi e profonde risate.
"Avreste dovuto vederlo!" Stava dicendo un ragazzo, che Kurt identificò immediatamente come Azimio. Abbassò lentamente le chiavi della macchina e si sporse quel poco che bastava per ascoltare meglio, il perchè, non lo sapeva nemmeno lui.
"Era tutto felice e sognante e poi...BAM! Una granita dritta in mezzo alla faccia! Che colpo ragazzi!"
"Hai fatto bene –intervenne un altro – stavo quasi pensando che quell'Hudson fosse diventato una checca come il suo fratellino superstar, ma vederlo con Rachel Berry è anche peggio!"
Di nuovo, ci furono risate che tagliarono l'aria. E Kurt esitò soltanto un secondo prima di infilare con forza le chiavi nella tasca dell'impermeabile e correre verso i bagni della scuola.
Non fu difficile trovare Finn: dei gridolini e delle risate grottesche si spargevano lungo i corridoi, direzionandolo verso il bagno del secondo piano. Correva talmente forte da non badare agli sguardi lampanti dei compagni, così come ai commenti di qualche cheerleader che bisbigliava "Ma ti rendi conto?! Da Fabray alla Berry", "Oh mio Dio non ci posso credere che abbia lasciato Quinn per mettersi con quella racchia!", "Mi fa quasi pena...", "Secondo me quella ragazza lo ha stregato".
Era il quaterback. Era un bravo ragazzo, ed era appena stato freddato, per colpa della sua nuova fidanzata non popolare. Giunto in prossimità del bagno sentì il commento da lontano del giocatore di hockey, che calciava divertito il bicchiere sporco di granita: "Sfigato!"
E faceva male. Suo fratello non meritava tutto quello, nessuno lo meritava; faceva male pensare che, in un modo o nell'altro, chiamavano in quel modo anche lui.
Kurt prese un profondo respiro, prima di aprire la porta. La trovò chiusa; era ovvio, nella sua situazione l'avrebbe chiusa anche lui. E poi socchiuse gli occhi: perchè mai e poi mai avrebbe voluto essere nella sua situazione, non un'altra volta.
"Finn sono io, apri."
Più che una richiesta, sembrò quasi un ordine. Ci fu un lungo silenzio prima di udire il chiavistello scattare permettendogli così di entrare nella stanza: suo fratello, Finn, si stava sciacquando la faccia cercando di riacquistare un minimo la vista annebbiata. La sua maglietta era appallottolata sotto al lavandino, completamente sporca e non più utilizzabile. Finn, semplicemente, lo guardò, con la sua espressione dolce adesso rigata dai rimasugli di granita: "Mi hanno colto di sorpresa."
Non c'era ombra di rimorso, nella sua voce. Kurt si chiese perchè.
"Vado a prendere degli asciugamani e una maglietta, aspettami qui."
Finn annuì riconoscente, per poi tornare con il viso sul lavandino e gli occhi brucianti al contatto dell'acqua fredda. Pochi minuti dopo sentì la porta aprirsi e Kurt avvicinarsi con qualche asciugamano dei cheerios ed una maglietta del McKinley che sicuramente apparteneva a qualche coreografo.
Di fronte allo sguardo perplesso di Finn, Kurt si discolpò mormorando: "Non ho trovato altro. Non è che tengo magliette di ricambio e asciugamani nell'armadietto. Non più, insomma."
"Beh, grazie." Cominciò a tamponarsi con cura, aiutato da Kurt che, nel frattempo, aveva bagnato delle salviette con il sapone tentando di lavar via quell'odore dolceamaro di fragola.
Finn ridacchiò: "Almeno la fragola mi piace."
E no, non poteva continuare a essere allegro in quel modo. Si allontanò da lui, abbandonando le braccia lungo i fianchi, e gli rivolse un'occhiata lunga e scettica.
"Ti hanno ricoperto di fragola ghiacciata e tu dici che è buona?"
Finn si guardò intorno, quasi non capendo le sue parole: "...no?"
"Sì invece! Si può sapere che problema hai?"
"A parte il fatto che sono troppo alto per questi lavandini?"
"Finn! Ti hanno gettato questa granita perchè esci con Rachel Berry?"
Abbassò lo sguardo, stringendosi un poco nelle spalle.
"In parte è per quello. In parte è perchè sono entrato nel Glee Club."
"Che cosa?"
Era incredulo. Finn era come lui, il ruolo di quarterback era tutto il suo mondo; sapeva benissimo che cose come il Glee Club, o frequentare persone non prettamente popolari, avrebbero intaccato pericolosamente la sua immagine pubblica. Ed eccolo lì: tremante per i brividi di freddo, ma con un timido sorriso stampato sul volto.
"Come fai?"
"Che cosa?"
"Come fai a sorridere così. Quello che ti hanno fatto è orribile, Finn."
"Lo so che è orribile, Kurt. Pensi che non abbia dato pugni contro la parete prima che tu venissi qui? Pensi che non fossi arrabbiato?"
Adesso era rimasto in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire. Appena provò a sussurrare uno "Scusa" il fratello parlò di nuovo, stavolta, più ammorbidito: "Questa granita...era per Rachel. Mi sono messo in mezzo io. Voglio dire, meglio a me che a lei."
Non ebbe il coraggio di controbattere. Non ebbe il coraggio di dirgli che non avrebbe dovuto farlo, oppure, che non doveva stare con Rachel se quelli erano i risultati. Non ne ebbe il coraggio, perchè in quel preciso istante una voce dentro alla sua testa si domandò che cosa avesse fatto se al posto di Rachel ci fosse stato Blaine, e la risposta arrivò con talmente tanta rapidità che per qualche momento rimase senza fiato.
E rabbrividì. Perchè le parole sentite da quando aveva messo piede a scuola adesso stavano prendendo sempre più consistenza, assumendo la forma di una lama tagliente in grado di ferirlo.
"Non... –dovette deglutire più volte, prima di riuscire a formulare una frase - non ti secca essere trattato così, per via di Rachel?"
Una domanda silenziosa si levò gridando: non hai paura? E Finn annuì.
"Beh...sì. Forse. Ma, insomma, è Rachel."
E' Blaine.
"Ha continuato a scusarsi per ore, e poi mi ha baciato, e insomma, con lei è come se mi sentissi..."
"Giusto."
"Sì."
"Perfetto."
"Esatto!"
"Intoccabile."
"Nonostante le granite, e tutto il resto."
Era così, allora. Dopotutto, Finn sembrava felice. Ma se trattavano in quel modo Finn, cosa avrebbero fatto a lui? Sarebbe riuscito a sopportarlo, adesso che per lungo tempo ne era stato immune?
Ancora assorto nei suoi pensieri, non si accorse della voce di suo fratello, intenta a chiedergli chissà cosa.
"Kurt?" Lo chiamò, e solo allora il suo corpo trasalì guardandolo con occhi ancora scossi dal terrore: non aveva ancora dimenticato le immagini di armadietti freddi e cassonetti bui. Il fratellastro lo stava guardando come un bambino a cui manca un pezzo del puzzle.
"Ma tu come fai a sapere come mi sento io?"
E la risposta era chiara: perchè provava le stesse cose.
Non disse niente, però. Non seppe dire se per codardia, o perchè il suo intero corpo era rimasto paralizzato di fronte a quella rivelazione.
Una volta tornati a casa Finn impiegò più tempo a spiegare a Burt e Carole l'accaduto che a farsi una doccia e togliersi il resto della granita appiccicata sul corpo. Kurt era seduto sul divano, senza alcuna voglia di fare altro a parte il fissare un punto inesistente sul soffitto. Non aveva nemmeno voglia di pensare: pensare implicava ragionare, e ragionare gli provocava un enorme mal di testa. Burt Hummel attese lo scoccare del quattordicesimo minuto per chiedergli che diavolo avesse e perchè se ne era stato in quella posizione per un abbondante quarto d'ora.
"E' successo qualcosa anche a te?" Chiese alla fine, con aria allarmata e il tono da padre protettivo; Kurt lo guardò, rassicurandolo e garantendogli che stava bene; per il momento. Ecco, di nuovo tanti pensieri. Emise un lungo sospiro e si abbandonò di nuovo alle comodità del divano, fino a quando la suoneria robotizzata del cellulare attirò la sua attenzione: non appena lesse il nome trasalì. Perchè era Blaine, perchè gli aveva detto che sarebbero andati al Lan Party insieme, e perchè con tutte le cose successe lui se n'era completamente dimenticato. Lanciò il telefono il più lontano possibile, come se in quel modo riuscisse ad allontanarsi da lui, ma subito dopo si immaginò il suo volto triste attendere invano una risposta e in un battito di ciglia era dall'altra parte del divano, con il fiato corto e il telefono fra le mani.
"S-sì?"
Doveva stare calmo. Doveva riflettere su tutto quello che era successo quel pomeriggio; no, voleva vedere Blaine. Lo capì nell'istante in cui la sua voce calda e gentile dichiarò: "Sono sotto casa tua."
"Dammi un secondo", e l'amico, prima di riattaccare, disse "va bene" senza troppi problemi. Ormai sapeva che nel mondo di Kurt "un secondo" equivaleva ad un abbondante quarto d'ora, così si sistemò meglio contro il sedile della macchina ed ascoltò della musica alla radio, attendendo con un piccolo sorriso.
All'interno della casa Burt fece appena in tempo a fermare suo figlio prima che salisse le scale due gradini alla volta: "Hei, hei, dove stai andando?"
"Esco." Tagliò corto lui cercando di divincolarsi, ma senza fare troppa pressione. Burt lo lasciò andare e lo seguì fino in camera sua, guardandolo setacciare il suo armadio ingolfato dai vestiti e disperarsi perchè, secondo lui, "aveva sempre le stesse cose".
"Con chi esci?" Lo chiese con tono calmo, così, come se fosse curiosità. Kurt si fermò appena in tempo dal dire "con Blaine", perchè l'ultima cosa che voleva quel giorno era un padre isterico e pieno di domande inquisitorie su chi fosse Blaine, cosa facesse, quale fosse il suo indirizzo e codice fiscale, quindi, si limitò a borbottare "con amici" rimanendo nel vago. Ma no, il suo atteggiamento era sin troppo eccentrico perfino per uno come lui, e finì per non risultare affatto convincente.
"Sai... –si azzardò a dire il padre, con occhi bassi e fare impacciato- voglio dire, ultimamente sei un po' strano, e mi chiedevo se...insomma, sappi che, ecco, non ci sarebbe niente di male. A patto che non esageriate, ovvio."
Riepilogò il discorso appena sentito nella sua mente e beh, era ancora più strano. Si fermò con le mani a mezz'aria che squadravano un maglione ed inarcando un sopracciglio borbottò: "Che vuoi dire?"
Prese un grande respiro, perchè non era mai stato uomo dalle grandi parole. Approfittando della concentrazione di Kurt rivolta interamente verso i vestiti si voltò appena, e alle sue spalle, fuori dalla porta semichiusa, c'era Carole che gli faceva cenno di andare avanti. E insomma, lui era uno che parlava chiaro e tondo; se doveva chiedere una cosa a suo figlio, allora, la chiedeva e basta.
"Esci con qualcuno?"
Non c'era modo di fraintendere quella domanda. Non con quello sguardo da "papà dell'anno" e la mascella serrata a metà tra l'imbarazzato e l'ansioso.
"Non esco con nessuno, pà, non ti preoccupare." Non si sentì in colpa a rispondere in quel modo, dal momento che era la verità. Certo, una verità piena di spigoli, ma pur sempre verità.
"Non mi preoccupo –intervenne lui – o meglio, basta che sia un bravo ragazzo ed educato, e che non esageriate."
Il figlio gli fece notare che aveva già detto quell'ultima parte e in tutta risposta Burt alzò la testa con fare autoritario, sostenendo che non c'era niente di male nel ripeterla, doveva essere un concetto impresso nella sua mente.
"Perfetto allora", ma non appena fece per voltarsi Carole lo fulminò con lo sguardo obbligandolo a rimanere. Tornò indietro con uno scatto e per poco non spaventò a morte Kurt.
"E quindi –seguitò il padre, come se riprendesse un discorso iniziato da ore- non ti piace nessuno?"
Ecco, Kurt non aveva esattamente detto quello. E ci provò con tutto il cuore a dirgli di no, che poteva stare tranquillo, e quella conversazione era diventata altamente imbarazzante; tuttavia, qualcosa dentro di sè si bloccò a metà tra la gola ed il cuore, provocando una serie di balbettii sconnessi e agitati, con le guance che si coloravano velocemente di un rosa scuro.
Il padre non ebbe una reazione molto diversa. Soltanto che, in aggiunta, riuscì a pronunciare un "ok".
"Ok?"
"Ok -ripeté, sconvolto quanto il figlio – voglio dire, non c'è niente di male. Se non esagerate. Sono felice per te."
Non si aspettava che sarebbe stato tutto così facile. Non si aspettava nemmeno di rimanere così profondamente toccato da quelle parole, nè, tantomeno, di desiderarle con tutto il cuore. Perchè voleva sentirsi dire che non c'era niente di male; voleva sentirsi dire che era libero di innamorarsi di chi volesse.
Da dietro la porta Carole sprofondò in un sospiro romantico, e Burt si sentì un poco più tranquillo: perchè, chiunque fosse il ragazzo che faceva battere il cuore a Kurt, doveva essere assolutamente una brava persona, se faceva sorridere suo figlio in quel modo. Lo lasciò andare, a patto che venisse a riprenderlo per le dieci in punto.
Esattamente cinque canzoni dopo, Blaine vide arrivare Kurt correndo trafilato ed infilandosi il cappotto nel tragitto, con un completo nuovo e decisamente ben fatto, a giudicare dalla maglietta aderente e dal pantalone scuro ed attillato. E pensò che non fosse giusto, che Kurt dovesse smettere di indossare quelle cose, visto che lui si sentiva ad un passo dal fare una grandissima cazzata. Lo guardò entrare in macchina e si sforzò di assumere un atteggiamento vago e sereno mentre lo salutava con un cenno della mano. Mentre si allacciava la cintura, chiudeva la portiera, si sistemava il cappotto e appoggiava la tracolla contro il cruscotto Kurt cominciò a dire un'infinità di scuse intavolando un monologo che sembrava non aver fine, almeno, fino a quando si voltò e i suoi occhi caddero inconsciamente su di Blaine.
"Ti sei messo i vestiti che abbiamo comprato insieme."
L'altro, felice che se ne fosse accorto, annuì, aggiustandosi per finta le maniche già perfettamente sistemate. Durante il viaggio era troppo concentrato sulla guida per badare ad ogni gesto nascosto di Kurt, così quest'ultimo poté fissarlo a lungo analizzando centimetro per centimetro: i suoi capelli non erano riccioli, ma fermati con del gel e allisciati, risaltando i lineamenti mascolini e gli occhi color d'ambra. E Kurt non avrebbe mai pensato di amare quel gel, se non fosse che il viso di Blaine, nella sua interezza, gli sembrò assolutamente stupendo. Perfino la fronte era attraente. No, parola sbagliata: Blaine non era attraente. O meglio, lo era, diavolo se lo era, specialmente in quei jeans, ma Kurt non poteva permettersi di pensare quelle cose. Pensieri, di nuovo troppi pensieri.
E, di nuovo, qualcun altro fu costretto a portarlo nel mondo della realtà.
"Kurt? Guarda che siamo arrivati." Gli fece notare l'amico, passandogli una mano davanti agli occhi persi chissà dove; si destò immediatamente uscendo dall'automobile e ignorando la risata cristallina di Blaine, che alle orecchie del ragazzo sembrò miele caldo; scrollò con forza la testa come per scacciare quelle fantasie e trattenne a stento un sospiro di sollievo quando vide che Wes, Nick e Jeff li stavano aspettando all'entrata; dopo aver salutato tutti con i loro modi strani –parole in codice, lingue elfiche e qualcos'altro che Kurt non riuscì a tradurre- entrarono dentro al locale cominciando a scegliere i giochi da provare quella sera. Greg li salutò uno ad uno, soffermandosi su Kurt con soddisfazione, perché, secondo lui, ormai era fino al collo in quello strano mondo dei nerd e la prova era che non si spaventava nemmeno vedendo ragazzi perdere il senno lanciando joystick a terra o ragazze strillare leggendo il loro manga preferito. Blaine, quella sera, sembrava più felice del solito: era sempre contento quando si trovava al Lan Party, ma se prima sorrideva, adesso scoppiava in adorabili risate; se prima rispondeva gentilmente alle domande di qualche ragazzo che osservava il suo modo di giocare, adesso gli spiegava per filo e per segno ogni dettaglio, rivelandogli anche trucchi che aveva sperimentato lui stesso. E in tutto quello non si allontanò mai da Kurt, così come Kurt non voleva staccarsi da Blaine: erano come calamitati l'uno all'altro, vicini, ma rispettando sempre quei limiti fisici dettati dalle loro coscienze, eppure, incapaci di allontanarsi o di rivolgere attenzione altrove. Quella sera Kurt aveva preferito guardare, piuttosto che cimentarsi in nuove avventure virtuali, e così si era seduto accanto a Blaine mentre lui iniziava una partita a Call of Duty, e parlò di qualsiasi cosa, ma di niente in particolare; l'altro, semplicemente, lo ascoltava, intervenendo di tanto in tanto e voltandosi verso di lui tra un caricamento e l'altro, scambiandosi sorrisi complici ed intimiditi. Perchè quando Blaine osservava Kurt, tutto ciò che vedeva era il rossore delle sue guance ogni qual volta riceveva un complimento velato, il sorriso raggiante che esultava per una partita vinta, gli occhi limpidi che si incatenavano ai suoi mentre il suo respiro si fermava. Ogni singola espressione assumeva una sfumatura diversa, ora che sapeva. L'immagine di quel pomeriggio era ancora fissa nella sua mente, come un bel sogno dal quale non si era ancora svegliato; non riusciva ancora a capacitarsene, per quello per tutta la sera aveva cercato qualche segno che smentisse tutte le sue speranze, ma non ne trovò. Al contrario, adesso, gli sembrava quasi ridicolo che non se ne fosse accorto prima.
Ma se i sentimenti di Kurt, che era sempre stato bravo a camuffare le sue espressioni, adesso risultavano così evidenti, Blaine aveva quasi paura a chiedersi quanto fossero palesi i suoi; perché lo erano: ogni parte di sé sembrava dimostrare il suo affetto per Kurt.
Nick e gli altri ragazzi, a pochi metri da loro, continuavano ad osservarli indecisi se essere più inteneriti o frustrati. Alla fine fu Wes a prendere una decisione battendo nervosamente il martelletto contro il tavolo, commentando: "Decisamente frustrante."
"Sprizzano arcobaleni da tutti i pori – aggiunse Nick, roteando un D-20 senza convinzione - e stanno parlando di Mufasa. Mi spiegate come hanno fatto ad arrivare a Mufasa?"
Jeff si sporse da oltre il suo computer, senza preoccuparsi di essere notato dai diretti interessati: "Penso che abbiano iniziato parlando di film, per poi arrivare alla Disney, per poi arrivare al Re Leone e alla fine decantare le lodi del re...ma sì, è frustrante. La cosa più bella è che tutto il Lan Party sta attendendo il momento in cui si decideranno ad usare quella bocca per fare altro, e nemmeno se ne accorgono."
Era vero: le ragazze Otaku stavano applicando dei fori ai loro manga per poterli guardare, i giocatori di magic si nascondevano dietro alle carte, i ragazzi dei giochi da tavolo parlavano a bassa voce per non perdersi nemmeno un secondo della loro conversazione; perfino Greg continuava a far finta di registrare qualche conto al computer per non essere disturbato da clienti, aveva messo il cartello "Away-From-Keyboard" davanti al bancone ricevendo sguardi perplessi da tutti i presenti.
E loro due parlavano, sorridevano e ridacchiavano, come se nulla fosse; come se non ci fossero miliardi di questioni in sospeso, che scalpitavano per uscire; come se non ci fosse nessuna tensione, nella quale il minimo gesto sarebbe stato decisivo.
"Master, ti prego. Fai qualcosa; mi sento come Marcus e Blank di fronte a Bellatrix e Steirner di Final Fantasy IX." (*)
Wes si voltò verso Jeff e Nick, rivolgendo loro un'occhiata acida. I due ragazzi sfoggiarono un ghigno ed esclamarono all'unisono: "Meglio del teatren!"
"Ragazzi, Kurt e Blaine sono nostri amici, dobbiamo lasciare loro il tempo di metabolizzare i loro sentimenti, dichiararsi amore eterno e poi forse potranno..."
"Al diavolo – sbottò Jeff – io gli invio uno screen."
"Ammettilo Kurt: non c'è posto più bello del Lan Party."
Kurt scrollò la testa, divertito da tutto quel tentativo disperato di Greg di convincerlo a mettere le tende lì e passarci il resto della propria vita. Blaine li stava ascoltando chiacchierare amabilmente fino a quando non un messaggio da parte di un altro computer non gli apparve in mezzo allo schermo, interrompendo tutto il gioco. Il testo: ricordati la regola numero uno della gilda.
La regola numero uno era: mai arrabbiarsi con un compagno di gilda, qualsiasi cazzata egli facesse.
Non aveva mai considerato così tanto l'idea di infrangerla completamente fino a quando non aprì il link riportato nel messaggio e gli comparve un fermo immagine di DotA, con in mezzo una scritta fatta di oggetti e armi:
KISS HIM. (*)
Li avrebbe uccisi tutti. Sarebbero morti, defunti, sepolti e spappolati. Fece appena in tempo a spegnere lo schermo del pc che Kurt lo guardò stranito, non riuscendo a capire il perché del suo volto paonazzo e della sua gola improvvisamente secca.
"Perché hai spento il pc?"
Si sporse in avanti per accenderlo, ma Blaine lo fermò di colpo bloccandogli un braccio e urlando "NO!" così forte che mezzo Lan Party si voltò a guardarlo. Doveva distrarlo, in qualsiasi modo. Doveva distruggere quel computer il prima possibile.
"Sono quasi le dieci. Non dovremmo uscire ad aspettare tuo padre?" Bofonchiò tra un colpo di tosse e l'altro, lanciando un'occhiata ai suoi adorati amici che facevano il verso del lucidalabbra, dello spray per l'alito e del cuore con le mani. Regola numero uno un bel cavolo. Kurt controllò l'orologio e, in effetti, erano le dieci meno un quarto, così afferrarono il cappotto salutando tutti i presenti e si diressero fuori dal locale.
Faceva piuttosto freddo per essere in primavera, così Kurt fu costretto a coprirsi con il suo cardigan e Blaine a mettere le mani in tasca, con aria apparentemente tranquilla.
"Fa...fa freddo eh?"
Kurt gli rivolse un sorriso timido, facendo di sì con un cenno impercettibile della testa.
"Speriamo che arrivi il caldo al più presto."
"Già."
Di nuovo, un lungo silenzio. Da dentro il locale si udiva qualche urlo di Jeff, intento a discutere su chissà che cosa con gli altri compagni; quella situazione stava diventando assurda: Blaine voleva parlare a tutti i costi con Kurt, ma non aveva il coraggio di iniziare un discorso troppo importante, troppo serio e sì, anche troppo pericoloso.
Tutto quanto divenne più facile quando Kurt alzò gli occhi verso il parcheggio di fronte a sé e mormorò: "oggi Finn ha ricevuto una granita in pieno viso. Ha protetto Rachel."
Rimase qualche secondo fermo, immobile, gli occhi nocciola che diventavano sempre più increduli e pietrificati man mano che Kurt raccontava l'accaduto, descrivendo soltanto la situazione e ciò che avevano detto i giocatori di football. Non fece menzione della conversazione avuta trai due, era troppo concentrato a non soffrire ripetendo le parole che erano state indirizzate a suo fratello e, in parte, anche a lui.
Blaine fece un passo verso di lui, finalmente, infrangendo quella piccola barriera che si era formata in quelle ore: lo afferrò delicatamente per un polso, e poi lo abbracciò. Kurt si beò di quel calore a contatto con la sua pelle come se fosse ossigeno puro, prese dei profondi respiri cercando di memorizzare il profumo di Blaine, che era delicato, fresco e buono. E poi, contro l'incavo del suo collo, Blaine sussurrò qualcosa che lo spiazzò completamente: "spero davvero che tu passi quel compito di matematica."
Attese qualche secondo, in profondo silenzio; dopodiché si staccò da lui guardandolo dritto negli occhi, perché se da un lato era felice e riconoscente nei suoi confronti, dall'altro era arrabbiato; furioso.
"Se rimango nei Cheerios continuerò ad essere lo stronzo cinico di sempre." Sentenziò, come se stesse evidenziando l'ovvio. Blaine si strinse nelle spalle parlando con tono del tutto diverso: "non devi per forza mentire. Puoi ricevere l'appoggio dalla Sylvester anche essendo te stesso."
"Io sono me stesso." Replicò, stizzito. Blaine socchiuse gli occhi, facendo una piccola smorfia: "lo sei fuori dalla scuola; lo sei con me. Dentro quelle mura sei soltanto il capitano dei Cheerios."
"Ma-"
"E lo capisco." E Kurt inarcò un sopracciglio: come faceva a capirlo? Come faceva ad accettare quella cosa?! Non capiva. Blaine continuava a fissarlo con quello sguardo pieno di affetto e comprensione.
"Kurt, non vorrei mai che una cosa del genere capitasse a te."
Perché Kurt era così forte, ma ancora non lo sapeva, e subire di nuovo cose del genere lo avrebbe spezzato. Perché quella divisa era il suo scudo e la sua forza. Perché Blaine preferiva rimanere un ottimo amico, piuttosto che vederlo soffrire. E poi Kurt, tutto ad un tratto, ricordò. Ma certo, Blaine era soltanto un amico, dal momento che adesso usciva con quel ragazzo del GAP. Improvvisamente tutta la tensione, il nervosismo, l'ansia e l'agitazione accumulate durante la giornata arrivarono ad un punto di non ritorno, e Kurt strinse i pugni, voltando lo sguardo da un'altra parte.
"Non ti preoccupare – commentò – non lascerò mai i Cheerios."
E Blaine per un momento non capì il perché di quel tono risentito, così come di quella vena di delusione che percepì nella sua smorfia, ma tutto divenne più chiaro quando gli domandò con indifferenza come stava il commesso del negozio.
E ci mancò poco che lo afferrasse per le spalle, lo scuotesse più e più volte e ammettesse al mondo intero che era pazzo di lui, e lui soltanto, perfino in momenti come quelli dove faceva il cocciuto e non sembrava volesse sentire ragioni. Tuttavia, con tono convinto, gli rivelò che non lo sapeva.
"Ma come – fece allora Kurt – credevo che usciste insieme. Mi avevi detto che ci saresti uscito."
"Kurt, io-"
"Bacia bene?"
Oh no. Non lo aveva detto sul serio. Ma le parole erano uscite di bocca prima che potesse fermarle: la sola idea che ci fosse qualcun altro a contemplare quelle morbide e splendide labbra gli provocava una fitta lancinante al petto, che gli impediva di respirare. Blaine lo fissò immobile, gli occhi che non accennavano a staccarsi dai suoi: "...Non lo so, Kurt. Io non ho mai baciato nessuno. Non sono mai uscito con quel ragazzo."
Oh. Ad un tratto si sentì molto, molto stupido. Per un secondo percepirono distintamente la voce di Nick urlare "Jeff, sei un idiota, lascia stare!", seguita a ruota da molte altre; probabilmente dentro al Lan Party si stava scatenando l'ennesimo litigio, ma a loro non importava.
"Sono uscito con un mio amico, una volta – seguitò Blaine, avvicinandosi un poco - ma abbiamo finito per giocare al pc per tutto il tempo. Come ho già detto, era un amico."
Kurt continuava a chiedersi perché gli stesse dando tutte quelle informazioni. Greg si unì al coro di urla e la situazione stava decisamente degenerando, visto il gran vociare e il rumore di sedie spostate. Ma loro continuavano a fissarsi, l'uno di fronte all'altro, e non volevano essere da nessun altra parte in tutto il mondo.
"E poi –disse infine Blaine, serio, i suoi occhi nocciola non erano mai stati così profondi – sono uscito con un altro ragazzo. Un ragazzo che è cocciuto, orgoglioso, impertinente e a volte anche irritante. E mi ha fatto passare il mese più bello della mia vita."
Kurt sentì il suo cuore farsi sempre più piccolo. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo: la ruota aveva cominciato a girare, ormai, non essendo più in grado di fermarsi. Con una fortuita mandata di fiato riuscì a dire: "dovresti uscire con qualcuno che non ti dia tutti questi problemi."
E si odiò profondamente, perché lo aveva fatto di nuovo. Possibile che non riuscisse mai a dire quello che voleva, né, tantomeno, a evitare di ferirsi più del necessario? Ma gli stava bene: era soltanto un idiota. Gli stava proprio bene. Ma proprio in quello stesso istante vide il volto di Blaine cambiare espressione, avvicinandosi con lentezza, riuscendo a sentire il respiro affannato sulla pelle fresca e le sue ciglia scure sfioragli le guance rosee.
"Kurt."
Non aveva mai pronunciato il suo nome in modo così intenso e disarmante.
"Voglio uscire con te. Voglio stare con te."
Le urla del Lan Party continuavano, i suoni dei giochi sparatutto e dei level-up si alternavano con frenesia e confusione.
"Ma devi sceglierlo tu."
Percepirono chiaramente il suono di una macchina nelle vicinanze, così Blaine guardò un'ultima volta le sue labbra, per poi allontanarsi lentamente. Burt Hummel arrivò qualche secondo dopo con la sua auto, lampeggiando il figlio con i fari abbaglianti.
Prima di rientrare dentro al locale e lasciarlo a suo padre, gli rivolse un sorriso molto dolce, e gli augurò la buonanotte.
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Come un HEADSHOT al cuore
Fiksi Penggemar"Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l'intensità di una minuscola scossa elettrica." Cheerio!Kurt/Nerd!Blaine. C'è bisogno di aggiungere altro? Liberamente ispirata da un sacco di gifset che in questo periodo...