𝐈𝐕

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| 𝗟'𝗔𝗥𝗖𝗔𝗡𝗢 |

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| 𝗟'𝗔𝗥𝗖𝗔𝗡𝗢 |




















𝑫𝒐𝒑𝒐, 𝒏𝒆𝒔𝒔𝒖𝒏 𝒂𝒍𝒕𝒓𝒐 𝒂𝒕𝒕𝒊𝒎𝒐 𝒅𝒊 𝒈𝒊𝒐𝒊𝒂 𝒆𝒈𝒖𝒂𝒈𝒍𝒊𝒆𝒓𝒂̀ 𝒒𝒖𝒆𝒍𝒍'𝒂𝒕𝒕𝒊𝒎𝒐.



















Sotto il grigio torpore che la società politica odierna emana molte belle cose e tante altre rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella classe di antica nobiltà italiana, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte.

La mia casata di origini fiorentine lontana si è sempre tenuta dietro quelle fantomatiche antiche nobiltà.
Per tale ragione le testate giornalistiche hanno sempre esposto il loro interesse nella nostra famiglia.
Siam sempre stati gli zimbelli della plebe, la famiglia da condannare quando gli affari vanno male, siam sempre considerati nullità.

Hanno sempre favorito la mia vita mondana. Le mie donne, la mia parlantina ammiccante, il mio sorriso giudicante. Hanno sempre screditato la mia persona, una volta cresciuto però, poco mi importò e da allora faccio ciò che più di arreca piacere, ciò che spegne il fuoco che alimenta la mia mente.

L'incontro piacevole con quella donna altolocata ha riacceso dentro di me la passione verso la vita nobile che il mio generoso padre aveva spento.
Per tale motivo mi ritrovo a specchiarmi, a sistemarmi per questa prima festa mondana della stagione.
Non so esattamente per quanto tempo alloggerò in questa casa, tutto il tempo che mi servirà per assaporare la dolcezza e freschezza di Aura, Aura Bentivegna.

Arrivare in ritardo non è mai stato un mio piacere, preferisco arrivare in orario, stupire gli ospiti con le virtù insegnate fin da piccoli. Preferisco stupire con l'educazione.

Entro in questa maestosa Villa. Il dorato degli accessori brilla in contrasto con il bianco delle pareti, alzo involontariamente gli occhi e il soffitto sui colori del giallo m'abbagliano dato che fin da quel momento ero abituato alla luce della notte.
Gli ospiti sembrano non fare caso alle decorazioni storiche che questa casa conserva. Quadri dipinti per gli antenati della famiglia Bentivegna, poltrone rosse porpora usate e sfregiate dalle care damigiane dell'epoca rigogliosa di questa città toscana.
I libri maneggiati dalle menti più brillanti e il pianoforte. Oh quel pianoforte! Accarezzato da mani esperte, dal talento.

Desterò incredulità negli occhi di chi mi osserva, eppur lascio che essa giova i loro animi. Sono sempre stato abituato al lusso, alla cultura maneggiata dagli antenati, penso di aver persino toccato un libro studiato dal maestoso Dante Alighieri, ma mai nella mia vita avevo visto così tanta storia in un'unica stanza.
Ma nella mia vita, ho desiderato di rinchiudermi in una casa che non fosse la mia.

"Il fascino è più nella sua fama che nella sua persona." Mi accoglie il signore Bentivegna.

"Papà." Sgrida, ridendo la figlia. Ritorno nella realtà e mi unisco alla risata.

"Non mi poteva presentare meglio, signore."

"Signore?" Ride senza freni, marcando l'inadeguatezza della parola. "Leonardo, ma quando mai mi hai chiamato signore."

"Hai ragione, Dante. Ma la bellezza di tua figlia mi ha, per un attimo, scosso." La guardo e nuoto nella sua sensualità. L'abito non è provocante, non desta l'immaginazione, non penetra negli organi maschili. Ti lascia solo la bocca aperta.


Ritornare nella vita nobile mi ha fatto ricordare le telecamere puntate su di me, i flash accecanti, i complimenti lusinghieri e bugiardi, i sorrisi falsi.
Mi volto verso Aura. Mi sorride ancora. Non riesco a comprendere come ho fatto a perdere una tale bellezza per tutti questi anni. Se solo ti avessi incontrato prima di Ginevra. Se solo mi avessi salvato prima.

"Signor Cervo." Una signora con un taccuino in mano mi chiama. Mi volto in segno di noncuranza, non voglio rispondere a nessun tipo di domanda inaccettabile. Voglio solo ballare.

Questo mio atteggiamento non sembra fermare, però, la signora. Mi strattona e mi allontana dalla pista. Tanta forza, per poca informazione.

"È vero che Ginevra Cordavia è sua sorella?" E così l'arcano è svelato. Il male ha superato i fiori, l'incesto ha perforato le vostri iridi e nessun altro penserà a me e a Ginevra come una coppia inseparabile, come un amore storico.

Corro via da qualsiasi verità, lascio con il sorriso spavaldo una donna a me sconosciuta, che non ho voglia di sedurre, che cambia i miei piani perché ebbene sì, io mi contraddico.
L'unica volta che ho amato è stato un amore incestuoso.
L'unica volta che ho baciato con verità è stato con mia sorella.
Per tal motivo quell'incontro alle quattro mi procurava così tanta vergogna, ansia poiché stavo incontrando l'unica donna che poteva dominarmi, l'unica donna di cui voglio le labbra.

La corsa è giunta al termine, mi ritrovo tra le braccia di Aura nella speranza di scrivere un altro capitolo, un altro racconto. E di spegnere questo fuoco che arde ferocemente, poiché tu, Ginevra, hai dato vita ad un fuoco immortale.

E nell'attimo in cui durò un altro suo sorriso, io mi son sentito solo con lei, in mezzo alla moltitudine - che son io, che son gli altri -.
Un orgoglio enorme mi gonfia il cuore.
















*

*

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Eccomiii

Allora questo capitolo appena l'ho finito mi ha sconvolto, ho avuto un'illuminazione e ho detto perché no.
Spero vi piaccia l'idea che ho avuto per Ginevra e Leonardo.
Spero che tutto vi sia piaciuto.

Inoltre volevo chiedervi,
come sta andando la vostra quarantena e soprattutto i vostri prof vi fanno uscire pazzi come stanno facendo con me.
Inizio a odiarli profondamente.

𝐈𝐋 𝐅𝐔𝐎𝐂𝐎  | f. coleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora