1. Tutto in fiamme

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Per la prima volta guardandolo negli occhi ho visto paura, temevo che sarebbe scappato e che mi avrebbe lasciata là, in fondo a mala pena ci conoscevamo e non c'era nessun motivo.
Non riuscii a dire una parola, anche se ormai al sicuro sentivo il calore che mi bruciava il viso.
Avrei voluto chiedergli di andare via, di non
preoccuparsi per me, che me la sarei cavata.
«Ormai ci siamo dentro insieme, Eleonora», mi sussurrò e mi strinse il braccio. Nonostante fosse un totale estraneo per me, riuscì a darmi sicurezza, riuscì a farmi sentire per un attimo serena.
«C-come faremo adesso?» domandai con una voce quasi non udibile.
«Torna da tua madre. Non raccontare nulla. Penseremo a tutto con calma».
D'un tratto era di nuovo tranquillo, i suoi occhi erano di nuovo freddi, non trasmettevano alcuna emozione.
Avevo la mia casa di fronte che cadeva a pezzi, che andava a fuoco e non provavo niente. Forse ero felice che tutto fosse finito, in una notte, che le fiamme si fossero portate con loro ogni sofferenza, ogni violenza. Potevo adesso ricominciare.
«Adesso andiamo, tra un po' arriveranno i vigili e la polizia e quando ti chiederanno tu dovrai dire di non sapere nulla, hai capito?» mi chiese Edoardo ma non riuscii a rispondere, non avevo mai mentito in vita mia e ora dovevo farlo con la polizia. Non ero sicura di riuscirci.
«Eleonora, devi rispondere. Hai capito?»
Annuii e all'improvviso scoppiai in un pianto di panico.
Mi prese con forza la spalla e mi portò via, erano le tre di notte e per strada non c'era nessuno. Camminavo con un passo appesantito da quello che era appena successo, dalla rabbia di una vita che in qualche minuto andò in cenere. Sapevo benissimo la strada da prendere per andare da mia madre ma notavo che a qualche metro di distanza lui mi seguiva quasi per assicurarsi che io non facessi qualche sciocchezza.
Non avevo mai avuto bisogno di nessuno nella mia vita, le uniche volte in cui avevo avuto un contatto con Edoardo erano delle discussioni tra i corridoi quando per chissà quale complesso di inferiorità si metteva a prendere in giro qualche mio compagno. Mi sembrava quasi paradossale avere combinato tutto questo disastro e trovarmi proprio lui come appoggio, come supporto. Avrei voluto urlare, avrei voluto essere sola e avere il diritto di crollare senza che ci fosse lui a dirmi di continuare a camminare, di non fermarmi. Erano contrastanti le emozioni che provavo: la paura di avere distrutto tutto e la consapevolezza di essere libera.
«E domani a scuola come ti comporterai?» chiesi.
«Eleonora, saremo degli estranei come siamo sempre stati. Non mi devi rivolgere parola. Non dobbiamo destare sospetti»
«Non c'è pericolo che ti rivolga parola, per me rimarrai il solito idiota megalomane» affermai con una risata finale.
Non rispose e mi pentii di questa risposta, forse non era il caso di offenderlo dopo tutto quello che aveva fatto per me questa notte.
«Non so perché», interruppe questo silenzio, «ho sempre avuto la sensazione che tu fossi così stronza perché eri tanto incasinata. Ma non sapevo così tanto». Mi voltai verso di lui e gli sorrisi, non pensavo avesse mai "avuto sensazioni" su di me, e chissà perché io dovevo apparire come quella stronza se lui "Edoardo" era il nome più pronunciato in tutta la scuola e di certo non in frasi positive e felici.
Eravamo arrivati di fronte casa di mia madre, ancora ignara di quello che era successo.
«Mi raccomando, non dirle nulla, la metteresti solo in una brutta situazione» mi ripetè circa per la ventunesima volta.
«Cosa cavolo dovrei dirle? Sono stata fuori tutto questo tempo.»
«Dille che sei uscita con me, no?» e risi spontaneamente.
«Io e te abbiamo solo una cosa in comune, ed è questo segreto. Nient'altro.» dissi poi di scatto.
Lui tornò serio e senza neanche salutare si girò e se ne andò via. Lo guardai allontanarsi fino a quando non era che un piccolo punto tra le luci dei lampioni.
La mia vita era cambiata e adesso dovevo fare i conti con le conseguenze delle mie azioni.
Niente sarebbe stato lo stesso, neanche io sarei più stata la stessa.

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