Cielo sopra, legge dentro

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Esco per la mia solita passeggiata.

Le tre del pomeriggio.

Cielo e mare. Königsberg me ne regala in abbondanza. Per questo non mi sono mai spostato da qui. Nonostante qualche proposta di insegnamento accademico, che avrebbe cambiato la mia vita. Di molto. Nel prestigio e nello stipendio.

Mi chiamo Immanuel Kant e sono nato in una cittadina affascinante della Prussia orientale. Due grandi lagune e uno sbocco sul mar Baltico la rendono internazionale. È il 1724. Sono il quarto di nove figli. Mio padre, Johan Georg, è un sellaio.

Mia madre, Regina Reuter, è una donna di grande fede e rigore morale. Mi avvia subito al pietismo e agli studi. Franz Albert Schultz sarà il mio punto di riferimento. È stato nominato direttore al momento del mio ingresso nel Collegium Fridericianum. Mi farà rigare dritto. Grazie a lui e a mia madre sono una persona ligia al dovere.

Tengo molto alla serietà e alla puntualità. La mia routine è precisa: tutti i giorni, alle quattro e tre quarti, il mio domestico mi sveglia; un quarto d'ora per riorganizzare le idee e mi trovo a consumare una sobria colazione; alle sette in punto esco, svolgo la mia lezione quotidiana all'università, rientro alle undici e quarantacinque per poter essere a tavola a mezzogiorno. Il mio pranzo dura il tempo esatto per arrivare all'orario preciso del mio giretto pomeridiano.

Non ci sono deroghe: alle 16.27 in punto devo essere nella mia stanza. Studio due ore e diciannove minuti primi. Fumo la pipa, bevo un bicchiere di vino. Alle venti e zero minuti la cena è in tavola. Alle ventidue in punto sono a letto.

La mia famiglia non se la passa molto bene. Regina Reuter muore che ho solo tredici anni. È stata il mio faro, la mia guida. Immaginate cosa voglia dire perdere una persona così importante! Ero solo un adolescente. Mi sono potuto permettere l'università grazie all'aiuto dei parenti. Christian Wolff, un leibniziano, è il mio maestro: mi guida alla scoperta della matematica, della fisica e della metafisica.

Sono anni difficili. Devo guadagnarmi da vivere, svolgendo il lavoro di precettore nelle case dei nobili della mia città. Nel 1755 divento dottore in filosofia.

Quattordici anni dopo, la "grande luce". Ho un'intuizione. Trovare uno sbocco per superare filosofia leibniziana e fisica newtoniana. Comincio a elaborare un nuovo orientamento intellettuale: il criticismo. Metto per iscritto le mie idee in una dissertazione, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principii. Ho quarantasei anni. Mi si schiudono le porte dell'università. Professore ordinario di logica e metafisica. Ci metto undici anni, però, per pubblicare la prima delle mie opere più importanti.

La Critica della Ragion pura esce nel 1781. Nei dieci anni successivi medito, insegno, pubblico saggi e brevi trattati.

Mi confronto.

Ricevo osservazioni alla mia prima opera. Le riformulo e pubblico la seconda edizione nel 1787. L'anno dopo uscirà la Critica della Ragion pratica e, nel 1790, la Critica del Giudizio.

Mi occupo un po' di tutto lo scibile umano: gnoseologia, logica ed epistemologia, etica, diritto, fisica, geografia, pedagogia, antropologia e arte pirotecnica. Tanto per ricordare qualche mio interesse di ricerca...

Non insegno filosofia, pratico il filosofare. La mia missione è insegnare agli studenti a pensare in modo autonomo. Liberi. Obbedienti, ma critici.

Federico II mi ha voluto bene. Il barone von Zedlitz mi ha offerto una cattedra ad Halle. Tre volte lo stipendio di Königsberg. In modo cortese, ma deciso, rifiuto.

Mi va meno bene con Federico Guglielmo II e con Wöllner. La religione nei limiti della semplice ragione entra nel loro mirino. Il ministro-teologo ha spinto il re a emanare un editto per addomesticare le coscienze e impedire la libertà religiosa. Mi invitano a non scrivere più su questo argomento.

Sogni nel cassetto? No, grazie. Nel cassetto conservo solo le mie mutande.

Vita da filosofiWhere stories live. Discover now