Prologo

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In questo giorno della Rimembranza la neve cade abbondantemente coprendo le strade di un manto soffice e bianco, segnato dalle ruote delle carrozze. Mentre la vettura che trasporta me e Julian ondeggia al passo ritmato dei cavalli, lui mi guarda stringendo l'elsa della spada.

– Sei nervosa? – mi chiede.

– Sì, naturalmente – rispondo, puntando lo sguardo fuori dal finestrino e affondando il viso nel pesante mantello da viaggio, bordato di ermellino.

– Vedrai che andrà tutto bene. – La sua voce è così rassicurante che mi fa socchiudere gli occhi. – Da oggi in poi sarai ufficialmente un Obolo. Il migliore di tutti.

 Io sospiro.

Un Obolo...

Già, è questo che sarò: una guida per i defunti. Colei che li accompagnerà nel loro viaggio estremo verso l'Ade.

Quando raggiungiamo la cattedrale di Kraven, ci accoglie il suono delle campane che oscillano sulla torre, in mezzo a raffiche di vento nevoso.

All'interno la luce che proviene dalle vetrate dell'abside è fioca, ma basta a illuminare le tre giovani donne ferme davanti all'altare.

Dopo aver rivolto uno sguardo incerto al mio accompagnatore, lui mi fa un cenno con la testa, spingendomi ad avanzare. Io mi tolgo il mantello e rabbrividendo glielo porgo, restando con le spalle scoperte e il petto, messo in risalto dall'ampia scollatura del vestito, che vibra per il freddo.

Mentre mi sistemo al fianco di una delle fanciulle davanti all'altare, mi tocco nervosamente la maschera che mi copre la metà superiore del viso. A differenza di quelle scure e semplici delle mie compagne, la mia è bianca, riccamente decorata da bordature dorate e perle autentiche.

La mia maschera protettiva.

Davanti al piccolo pubblico silenzioso che ci osserva, quasi tutte donne in abiti sfarzosi, acconciature gonfie sulla sommità del capo e maschere di pizzo nero sul volto, una figura ammantata di rosso e dalle mani guantate si porta un dito alle labbra. Ci invita a fare silenzio, anche se nessuna di noi sta parlando.

– In questo giorno dedicato alla memoria dei nostri cari scomparsi – esordisce, con voce alta e squillante, femminile – siamo qui riuniti per la prima traversata nell'Ade di tre giovani Oboli.

 Io deglutisco, in preda all'ansia, ma cerco di non asciugarmi le mani bagnate di sudore nervoso sulle ricche balze del mio abito.

– Andate, inoltratevi nei luoghi misteriosi della vita eterna e delle anime perdute. Generate i vostri archi e poi tornate da noi.

 Io e le altre tre ragazze ci disponiamo a formare un quadrilatero, ponendoci a una certa distanza le une dalle altre, e alziamo il braccio destro, tracciando nell'aria un arco sopra la nostra testa.

Abbasso lo sguardo per non concentrarmi sui fiori che sbocciano e subito dopo avvizziscono sugli archi generati dalle mie tre compagne: sono crisantemi, gerbere, papaveri...

Il mio arco, invece, resta sterile. Nessun fiore spunta tra le foglie di un verde scuro.

Il mio dono è un dono solo per metà...

Cercando di non scoraggiarmi, lancio un ultimo sguardo a Julian, che mi osserva con un sorriso d'incoraggiamento sulle labbra. Prima di farmi prendere dalla paura e dai dubbi, chiudo gli occhi, avanzando oltre la soglia marcata dal mio arco.

Un vento tiepido, che in molti chiamano "alito dell'Ade", mi spira sul viso quasi subito. Nel sollevare le palpebre, mi ritrovo in un'ampia radura illuminata da lampi perenni.

Requiem d'invernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora