Capitolo 2 - Rinascita parte 1

22 5 0
                                    

// Iris' POV //

Era una giornata come le altre. Avevo appena finito il mio turno in hotel e mi ero data appuntamento con Logan a casa di sua madre. Elena non era la solita suocera che chiede di andarla a trovare ogni weekend, ma oggi in particolare era una giornata in cui aveva sicuramente bisogno di compagnia. Ancora non era riuscita a superare la morte di Thomas. Quella sera aveva temuto di perdere anche Logan, mi aveva raccontato, ed ora era la persona a cui più teneva al mondo. Tuttavia era rimasta solare e divertente; ricordo ancora quel pomeriggio in cui l'avevo conosciuta, molto tempo prima... "L'unica persona che supererà i miei figli nella lista delle mie persone preferite sarà mio nipote" e mi aveva fatto un occhiolino. Logan era scoppiato a ridere e anch'io l'avevo seguito a ruota.

Il cielo era azzurro e luminoso, macchiato da nuvole di panna. Molti alberi erano già fioriti e le persone, forse per la prima volta da mesi, sembravano essere felici. Più tardi avremmo potuto portare Elena a fare un pic-nic a Central Park, che con i colori del tramonto si trasformava in un'oasi dorata.
Non avevo voglia di prendere i mezzi, così per semplificarmi la vita chiamai un taxi.
«7th Avenue Street, per favore»
«Subito, señorita.»
«Hey Rodrigo, ma sei tu! Scusami ero sovrappensiero.» Così sovrappensiero da non aver notato i baffi più vistosi di tutta New York, pensai.
«Todavía en ritardo, Iris?»
«No, se ti muovi, no.»
«Parece una respuesta da Logan, eheh.»
Il traffico non era mai dalla mia parte, così, anche se ero partita in anticipo, ora stavo facendo tardi. Scesi dal taxi, salutai Rodrigo, arrivai al portone, presi un respiro profondo e citofonai.
«Chi è?»
«Sono io, Iris.»
Chissà se Logan era già arrivato... mi avrebbe di sicuro presa in giro perché ero in ritardo. Salii in casa, abbracciai Elena e lei iniziò a singhiozzare. Non nego che qualche lacrima la versai anch'io. Stupidamente pensai al mascara che colava. Dalla porta della sala fece capolino il bel viso di Marika, aveva gli stessi occhi verdi di suo fratello. Ci sedemmo sul divano, solo allora mi accorsi che Logan non era ancora arrivato... finalmente potevo avere la mia vendetta e sfotterlo un po'. Ad ogni modo non era da lui fare tardi e più il tempo passava, più la mia preoccupazione saliva.

Erano passate due ore, l'orologio segnava ormai le 17.30 e Logan non rispondeva al telefono. Poteva essersi scaricato, ma non credo che al bar non avesse trovato nessun caricabatterie. Fuori dalla finestra il paesaggio era cambiato: le dolci nuvole del primo pomeriggio si erano incupite e ora montagne di piombo incombevano su una New York che, accecata dalla primavera, non si era accorta dell'imminente pioggia. Io e Marika decidemmo di andare a cercare Logan, che come sempre era senza ombrello.
Salimmo in macchina, una stupenda Cabriolet rosso scarlatto -non sono un'esperta, ma ne so abbastanza per capire che quella era davvero una bella auto. Tra una chiacchiera e l'altra arrivammo al bivio di Madison Street. All'andata Rodrigo aveva preso la parallela, imprecando in spagnolo a causa del traffico che stava intasando l'altra strada. All'imbocco della via notai le luci lampeggianti di alcune sirene... prima non ci avevo fatto caso, in una città come New York gli incidenti solo all'ordine del giorno, ma ora... una fila di auto ridotte a rottami aveva attirato la mia attenzione. C'era molta confusione: i mezzi di soccorso, una folla di curiosi e i camion dei militari occupavano la maggior parte della carreggiata, tanto che un vigile stava facendo incanalare le auto in un marciapiede che dava sulla parallela. Non era la prima volta che vedevo una scena simile, ma non ero mai stata così preoccupata. Dentro di me pregai che non fosse come immaginavo.
Eravamo bloccate nel traffico, così decisi di scendere dalla macchina e mi feci largo tra la folla. Aveva iniziato a piovere. Era una pioggia leggera, ma in lontananza si sentivano alcuni tuoni. Delle transenne delimitavano un'area piena di macerie e detriti, tra cui qualche auto accartocciata. Ma la folla era rivolta in un'altra direzione e degli uomini in divisa la tenevano a bada. Mentre affrettavo il passo verso quel punto vidi una signora abbracciare un bambino. Qualsiasi cosa avesse visto, era terrorizzata e sospirava rumorosamente. Suo figlio era impassibile invece, aveva gli occhi arrossati e lo sguardo inchiodato oltre la folla. Corsi in quella direzione. Appena lo vidi caddi sulle ginocchia, iniziai a piangere e avrei voluto urlare ma dalla mia gola uscì solo un gemito strozzato. Non poteva essere vero.
Sentì una portiera aprirsi, sbattere e capì che Marika mi stava raggiungendo. Doveva avermi seguita con lo sguardo. Si fermò qualche passo dietro di me e crollò anche lei in un pianto sconsolato.
Sentì dei passi alle mie spalle. Forse era un poliziotto, o forse un passante. Forse mi stava anche parlando. Ma non sentivo nulla.
Ogni suono attorno a me era ovattato. Sentivo solo un lungo, insistente sibilio. Mi fischiavano le orecchie, credo. Lasciai che la pioggia mi scorresse addosso e un freddo intenso mi bloccò le ossa. Ero lì pietrificata da qualche minuto ormai. Lui era a pochi metri da me. Volevo raggiungerlo, ma non sarei mai riuscita a rialzarmi. Muscolo dopo muscolo, mi mossi verso di lui, a carponi. Aveva gli occhi chiusi, un rivolo di sangue gli sporcava la guancia e la bocca. Lo accarezzai. «Sono arrivata tardi...» sussurrai. Avrei voluto sdraiarmi affianco a lui, addormentarmi e aspettare di svegliarmi da quell'orribile incubo. Mi chinai su di lui, gli spostai il ciuffo biondo dalla fronte e gli diedi un bacio; poi alzai il lenzuolo che gli era stato posato sul corpo, e con un immenso sforzo, guardai per un ultima volta il suo bellissimo viso.

The Legend of ShadowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora