Capitolo 4 - Un conto in sospeso

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Il pomeriggio volò come al solito tra risate e birre, il dolore dentro di me si affievoliva... Non c'era nulla da fare, aveva un potere su di me quel demente; mi tirava su l'umore a suon di stronzate apocalittiche... E da brillo era anche meglio.
Purtroppo però, la calma prima della tempesta non dura mai abbastanza, e come un fulmine a ciel sereno sulla mia "vista-cyborg" (così la chiamava Jacob) comparve una sottospecie di pop-up con annesso allarme che segnalava un attacco a circa due kilometri da me.
Neanche il tempo di chiedermi cosa cazzo stesse succedendo, mi chiamò Scott, ovviamente non sul telefono.
Misi indice e medio sull'orecchio. Mi sentivo un cretino.
«Mercer, è ora. Un mostro sta creando scompiglio ad Harlem.»
«Ok ma...»
«Sto mandando i miei uomini a contenere la situazione e, se sarà necessario, ad aiutarti... MUOVITI!»
Il cuore iniziò a battermi più velocemente.
«Cosa suciedeee» Disse sbiascicando Chris.
«Devo andare...»
«Siiiiii vai a fare l'eroeeee» Rispose singhiozzando poco prima di accasciarsi sul bracciolo del divano.
Okay, forse avrei dovuto dirglielo che grazie al mio metabolismo super veloce e data la mia impossibilità di ubriacarmi mi potevo permettere tutta quella birra... beh però era stato lui a seguirmi...
Mi diressi verso la porta ma l'ultima frase del mio compagno di bevute mi fermò: "vai a fare l'eroe". Eroe... Io non ero un eroe, ero un arma, o almeno così mi sentivo... Guardai il borsone che mi aveva dato Scott; per quanto non impazzivo all'idea del costume dovevo solo indossare un cappuccio ed essere rapido, come un'ombra.
Mi cambiai facendo attenzione a nascondere il distintivo dentro la giacca, salii in moto e a tutta velocità mi diressi ad Harlem.
In lontananza vidi la creatura, poi davanti agli occhi mi si parò una scritta "missili pronti", guardai il manubrio della mia moto e dopo averlo scannerizzato i miei occhi mi evidenziarono un pulsante che per istinto premetti.
Dalla mia moto uscirono due missili che colpirono in pieno il bersaglio.
«Ecco cosa intendeva Scott, quando mi regalò la moto, con la frase "una moto speciale per una persona speciale"» pensai. Dopo di che frenai e scesi.
Intorno a me non c'era nessuno, i civili erano abbastanza distanti, al sicuro, protetti dai militari e troppo lontani per riuscire a vedermi in faccia.
Guardai il mostro, riconobbi subito la sua faccia di merda, era lo stesso che mi aveva ucciso.
«Tu...» Esclamai a bassa voce.
«BESTIONE, TI RICORDI DI ME?! ABBIAMO UN CONTO IN SOSPESO!»
Urlai, lui grugnì e mi caricò ed io balzai in alto... Troppo in alto.
Feci una capriola e atterrai dietro di lui, mi girai velocemente, la mia "vista-cyborg" mirò in automatico quel brutto muso verde che si ritrovava e, grazie a un propulsore che appariva a comando sulla mia mano, gli sparai, troppo forte, infatti il tartarugone finì dentro un palazzo. La sua spessa corazza aveva distrutto parte della facciata e a fatica si rialzò dalle macerie. Mi caricò di nuovo correndo, però, su quattro zampe. Fece un balzo di una decina di metri e mi atterrò addosso, cercò di azzannarmi la testa tre volte ma riuscii a sposarla in tempo. Subito dopo lo scaraventai lontano con un calcio nello stomaco e un sonoro "vaffanculo".
Mi tirai su, mi assicurai che il cappuccio fosse al suo posto e iniziai a correre verso il mio avversario che però prese una macchina vicino a lui e me la scagliò contro; schivai in tempo, presi al volo il veicolo e glielo rimandai indietro facendoglielo esplodere addosso.
Dopodiché lo raggiunsi, ci scambiammo qualche colpo finché lui non mi prese per la gamba e iniziò a sbattermi a terra, come un bambino farebbe con un giocattolo quando è arrabbiato, e mi lanciò contro la vetrina di un negozio.
Mi tirai su nuovamente, i vetri infranti mi avevano graffiato in diversi punti, ma la cosa non mi dava problemi: la mia resistenza era aumentata notevolmente e ferite di questo tipo ormai non erano un ostacolo. Il mio braccio divenne una specie di cannone che il mio database chiamava "cannone nano repulsore" e gli sparai addosso tre colpi che accusò.
Corsi verso di lui nuovamente e con un pugno lo scaraventai dentro un palazzo. Lo raggiunsi e gli saltai addosso, ad ogni colpo arretrava di un passo ma era impossibile metterlo alle strette perché ogni volta la sua corazza sfondava il muro alle sue spalle e dopo una lotta furiosa ci trovammo sul lato opposto dell'edificio.
Sfoderai una lama dal braccio destro e gli sfregiai il volto, poi con il pugno sinistro lo colpii sotto il muso e lo feci volare al terzo piano del palazzo. Non controllavo la mia forza per colpa dell'adrenalina... Dovevo calmarmi, dovevo prendere il controllo del mio corpo.
Il mostro si scagliò su di me ma mi scostai e atterrando creò un profondo solco nel terreno. Con una zampa cercò di afferrarmi, schivai e lo colpii con la forza sufficiente e buttarlo giù. Dopodiché feci un balzo e gli atterrai pesantemente sullo stomaco. Emise uno strano gorgoglio e capii che iniziava ad essere stanco, così cominciai a colpirlo ripetutamente sul muso fino a stordirlo.
Sempre col braccio destro, sfoderai la lama. Ce l'avevo in pugno, eppure, la parte più difficile sembrava proprio questa. Qualunque cosa fosse quella creatura, non meritava di vivere.
Infilzai la lama nel suo collo. La sua pelle spessa e rugosa si tagliò di netto come carta e ben presto il mio braccio si macchiò di un liquido scuro, nero come la morte. Rimasi qualche secondo a fissare il mio braccio che uccideva quel mostro... Poi pulii la lama e la rinfoderai; e in tempo due secondi ero sparito.

Tornai alla base, mi portarono in infermeria per controllare le ferite... Nulla di grave, come detto prima il mio corpo è molto più resistente; a malapena le avevo notate.
«Allora doc? Com'è?» Chiesi al dottore, o meccanico, che si stava occupando di me.
«Qualche taglio un po' profondo ma niente di grave, qualche giorno e sarai come nuovo.»
«Davvero?» Chiesi visivamente incredulo.
In quel momento entrò nella stanza Jacob.
«E si stupisce? La componente robotica ha reso quella umana molto più forte oltre che resistente, in sostanza lei ha un fattore di guarigione leggermente più rapido e potente di quello umano e una resistenza senza pari.»
«Com'è possibile?»
«La tecnologia di cui è composto è sconosciuta... Non sappiamo come, ma crea una simbiosi con la parte umana che la potenzia.»
«In che senso sconosciuta?»
«L'abbiamo studiata al meglio per poterla utilizzare, ma abbiamo scoperto solo che è superiore a quella in nostro possesso, che è la più potente al mondo... nient'altro.»
Qualcosa non mi tornava. «Come avete fatto a crearla ed utilizzarla se non avete idea di che cosa sia?»
«È una storia lunga. Circa un anno fa, durante una missione, siamo incappati in un laboratorio dismesso, o almeno così ci sembrava. Al suo interno abbiamo trovato macchinari e materiali. Magari un giorno gliela racconterò in maniera più approfondita.
Ora immagino che lei voglia tornare a casa. La sua ragazza è venuta al corrente della battaglia ed è in pensiero per lei. Io ero passato solo per accertarmi che tutto fosse sotto controllo, porto i rapporti al generale McFayer.»
Già. Pensai a quanto Iris potesse essere preoccupata in quel momento; sicuramente tanto. Era la mia prima volta sul campo di battaglia.
Mi rivestii e corsi da lei, arrivato a casa mi saltò addosso con le lacrime agli occhi.
«DIO SANTO AMORE CHE È SUCCESSO? COM'È ANDATA? TI HA FATTO TANTO MALE? SEI FERITO?»
«Hey piccola... sto bene, ok?»
Mi strinse sempre più forte.
«Guarda che hai deciso tu di riportarmi in vita per menare i cattivoni eh» ridacchiai.
Mi guardò con gli occhi lucidi.
«Sto bene, davvero... È stata una passeggiata.»
«Menomale...»
«Su dai, ora ci guardiamo un bel film e ci mangiamo qualche schifezza.»
«Si, col metabolismo che hai ora va a finire che ti mangi tutto tu.»
Sorrise, cazzo quanto è bella. La baciai. Ogni volta era una sensazione nuova, sembrava di stare in una bolla, uno spazio solo nostro. Il suo sguardo carico di attesa non si scollava dal mio, ad ogni battito di ciglia il suo profumo era sempre più vicino. Le nostre labbra s'incontrarono di nuovo, ma questo bacio aveva un sapore tutto diverso.
«Hai bisogno di rilassarti» mi sussurrò con malizia.
Mi tenne per mano e la seguii in camera, dove mi spinse verso il letto e io mi lasciai cadere tra i cuscini. Mi fu subito addosso.
«Ti ho preso» ridacchiò afferrandomi i polsi, «non hai scampo.»
Scoppiammo a ridere entrambi, ma poco dopo un'ombra attraversò il suo volto. Le sue dita sottili accarezzarono le mie guance e il profilo del mio viso, soffermandosi sulle ferite che si stavano lentamente rimarginando. Forse aveva scosso la testa, ma sul momento ero distratto da una visione paradisiaca.
Si chinò nuovamente a baciarmi, i suoi capelli mi sfioravano il petto. I nostri cuori erano a una spanna di distanza e il mio respiro si univa al suo.
Mi bloccai. «...no... Non ce la faccio»
«Amore... Andiamo.»
«Iris, lo faresti con una macchina, sentiresti il freddo del metallo delle mie braccia, delle mie mani... Sarebbe orribile... E poi... Oggi per l'adrenalina non ho dosato la mia forza fin da subito... E se succedesse ora per l'eccitazione? E se ti facessi male?»
«Non succederà, mi ami... E non lo farei con una macchina, perché sei umano, forse fuori solo in parte... Ma resti umano.»
La guardai, lei si avvicinò un po'.
«Non mi interessa quanto siano fredde le tue braccia, io sentirò il calore del tuo amore.»
Mi baciò e mi lasciai andare. Fu come rivivere la prima volta; emozionante, un po' difficile, ma bellissima. Nulla avrebbe potuto più ostacolare la nostra relazione. Forse non hanno tutti i torti quando dicono che l'amore, sempre, supera ogni problema.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 08, 2021 ⏰

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