Continuazione dei ricordi del dottor John Watson
La furiosa resistenza opposta dal prigioniero non sembrava indicare alcuna animosità nei nostri confronti, poiché non appena egli si vide sopraffatto, sorrise in modo affabile ed espresse la speranza di non aver fatto male a nessuno di noi, nella colluttazione. - Immagino che lei voglia portarmi alla sezione di polizia - disse rivolgendosi a Sherlock Holmes. - Giú da basso c'è la mia carrozza. Se mi slega le caviglie, posso scendere coi miei mezzi. Sono diventato un po' troppo grosso perché mi si possa trasportare di peso.
Gregson e Lestrade si scambiarono un'occhiata come se giudicassero alquanto ardita quella proposta. Holmes prese subito in parola il prigioniero e slegò l'asciugamano col quale gli aveva immobilizzato le caviglie. Hope si alzò stiracchiandosi le gambe come per assicurarsi che erano proprio libere. Ricordo d'aver pensato, osservandolo, che raramente avevo visto un uomo con una corporatura tanto poderosa; il suo viso, letteralmente cotto dal sole, denotava una tenacia e un'energia formidabili quanto la sua forza fisica. - Se la polizia avesse bisogno di un capo, credo che lei sarebbe l'uomo adatto - dichiarò guardando il mio coabitante con sincera ammirazione. - Ha seguito la mia pista con un'abilità straordinaria. - Sarà meglio che veniate con noi - disse Holmes ai due investigatori. - Io posso guidare la carrozza - fece Lestrade. - Benissimo! Gregson verrà dentro con me. E anche lei, dottore. Ha seguito la faccenda fin dal principio, e tanto vale che assista all'epilogo. Assentii soddisfatto, e scendemmo tutti insieme. Il nostro prigioniero non fece il minimo tentativo di fuga ma entrò con calma nella carrozza che era stata sua, e noi lo seguimmo. Lestrade salí a cassetta, frustò il cavallo, e in breve ci portò a destinazione. Fummo introdotti in una stanzetta dove un ispettore di polizia prese nota delle generalità dell'arrestato e di quelle dei due uomini che era accusato d'aver ucciso. Il funzionario era un uomo pallido dall'aria indifferente; assolveva le proprie mansioni come un automa. - L'imputato sarà condotto davanti ai magistrati nel corso della settimana - annunciò. Frattanto, Jefferson Hope, desidera fare qualche dichiarazione? L'avverto che le sue parole saranno messe a verbale e potranno essere utilizzate a suo carico. - Ho parecchie cose da dire - rispose il prigioniero lentamente. - Desidero raccontarvi tutta la storia... perché forse non sarò processato... Oh, non vi allarmate. Non medito il suicidio. Lei è medico?
E volse gli occhi scintillanti verso di me, nel formulare quest'ultima domanda. - Sì, sono medico - dissi. - Allora, metta una mano qui - soggiunse sorridendo e indicando il proprio petto coi polsi ammanettati. Obbedii, e subito, premendo una mano sulla regione cardiaca, percepii uno straordinario tumulto all'interno. Il petto sembrava vibrare come un fragile edificio entro cui funzioni una poderosa macchina. Nel silenzio della stanza, mi sembrava persino di udire un palpito irregolare proveniente dalla medesima fonte. - Perdiana! - esclamai. - Lei ha un aneurisma aortico. - So che lo chiamano cosí - rispose lui placidamente. - Sono stato da un medico, la settimana scorsa, e mi ha dato pochi giorni di vita. In questi ultimi anni sono andato sempre di male in peggio. Mi sono buscato questo malanno vivendo come un animale selvatico sulle montagne di Salt Lake. Ma ora la mia opera è compiuta e non m'importa di andarmene presto. D'altra parte, desidero lasciare un racconto della vicenda. Non voglio che ci si ricordi di me come di un volgare assassino. I due investigatori e l'ispettore si consultarono frettolosamente sull'opportunità di consentire che Hope rendesse la propria deposizione, seduta stante. - Dottore, ritiene che vi sia un pericolo immediato? - volle sapere il funzionario. - Senza dubbio - risposi. - In tal caso, è nostro dovere, nell'interesse della giustizia, raccogliere le sue dichiarazioni. È autorizzato a darci il resoconto dei fatti, Hope, ma le ripeto che le sue parole saranno messe a verbale. - Col vostro permesso, mi siedo - disse il prigioniero, facendo seguire l'azione alle parole. Con questo aneurisma mi stanco facilmente, e la colluttazione di mezz'ora fa non ha migliorato le cose. Sono sull'orlo della tomba, quindi potete stare sicuri che non vi racconto bugie. Vi dirò la sacrosanta verità, e non mi riguarda l'uso che poi ne farete. Con quelle parole, Jefferson Hope si appoggiò all'indietro contro lo schienale della sedia e iniziò il suo singolare racconto. Parlava in modo calmo e metodico, quasiché gli eventi che narrava rientrassero nella normalità. Posso garantire l'esattezza di quanto disse, poiché ho avuto nelle mani il taccuino di Lestrade dove le parole del prigioniero sono state annotate a mano a mano che egli le pronunciava. - A voi può non interessare molto il motivo per cui odiavo quei due uomini - cominciò Hope. – Vi dirò solo che erano colpevoli della morte di due esseri umani... un padre e una figlia... e che, quindi, si erano meritati la condanna a morte. Dato il lungo lasso di tempo trascorso dal loro delitto, mi era impossibile far sí che un tribunale li riconoscesse colpevoli. Io, però, sapevo che lo erano e avevo deciso di assumermi, al tempo stesso, la parte del giudice, della giuria e del carnefice. Al posto mio, se siete uomini, avreste fatto altrettanto. "La fanciulla di cui parlo avrebbe dovuto diventare mia moglie vent'anni or sono. Fu costretta a sposare Drebber e ne ebbe il cuore spezzato. Quando morí, le tolsi dal dito la fede nuziale e giurai che, prima di spegnersi, gli occhi di Drebber si sarebbero posati su quell'anello. I suoi ultimi pensieri sarebbero stati rivolti al delitto per cui veniva punito. Ho sempre portato con me quell'anello e ho seguito Drebber e il suo complice attraverso due continenti, finché sono riuscito a raggiungerli. Credevano di stancarmi, ma non potevano farlo. Se muoio domani, com'è probabile, muoio con la sicurezza di aver assolto il mio compito su questa terra e di averlo assolto bene. Gli assassini sono morti per mano mia. Non mi resta piú nulla da desiderare. "Essi erano ricchi e io povero, cosicché non mi è stato facile braccarli. Al mio arrivo a Londra, avevo le tasche quasi vuote e ho dovuto tromarvi un mezzo per guadagnarmi da vivere. Guidare i cavalli mi riesce naturale come camminare; perciò mi sono rivolto a un proprietario di vetture da piazza, e ben presto sono stato assunto. Ogni mattina dovevo portare una determinata somma al padrone e avevo la facoltà di trattenere per me il resto.
Raramente quel resto era abbondante, ma sono riuscito lo stesso a cavarmela. Il piú difficile, per me, è stato 1'orientarmi per le vie di Londra poiché fra tutti i labirinti che mai sono stati costruiti, quello della vostra città è il piú esasperante. Però, mi sono munito di una carta topografica e, una volta individuati i principali alberghi e le stazioni, ho tirato avanti abbastanza bene. "Mi è occorso parecchio tempo prima di scoprire dove abitavano quei due galantuomini, ma a furia di assumere informazioni a destra e a sinistra li ho rintracciati. Erano in una pensione di Camberwell, al di là del fiume. Scoperto questo, ho avuto la certezza che erano alla mia mercé. Mi ero fatto crescere la barba e non c'era pericolo che mi riconoscessero. Li avrei seguiti e sorvegliati fino a quando non mi si fosse presentata l'occasione buona. Ero deciso a non farmeli piú sfuggire. "Ciò nonostante c'è mancato poco che non ci riuscissero. Dovunque andassero, a Londra, ero sempre alle loro calcagna. Qualche volta li seguivo con la carrozza, altre volte a piedi, ma il primo sistema era il migliore perché cosí non potevano sfuggirmi.
Ormai riuscivo a guadagnare qualcosa soltanto a tarda sera o di buon mattino, e spesso restavo in arretrato nei pagamenti al principale. Ma non me ne preoccupavo, fintantoché avevo la certezza di poter mettere le mani su quelle due canaglie. "Tuttavia, erano astutissimi. Dovevano avere sempre presente il pericolo che io li seguissi, poiché non uscivano
mai soli, e quasi mai dopo il calar del sole. Per due settimane li ho seguiti ogni giorno e non li ho mai visti separarsi.
Drebber era ubriaco molto spesso, ma Stangerson non era uomo da farsi cogliere alla sprovvista. Continuavo a sorvegliarli a tutte le ore, ma senza che mi si presentasse la sospirata occasione. Non per questo mi scoraggiavo. Sentivo che l'ora stava per scoccare. Avevo paura soltanto che questo male che ho nel petto mi stroncasse la vita costringendomi a lasciare l'opera incompiuta. "Finalmente, una sera, andavo su e giú per Torquay Terrace, la via dove i due abitavano, quando ho visto una carrozza fermarsi alla loro porta. Di lí a poco è stato portato fuori del bagaglio, poi sono apparsi Drebber e Stangerson.
Li ho visti partire in carrozza. Ho frustato il mio cavallo e li ho seguiti, senza perderli d'occhio, molto preoccupato perché avevo paura che mi scappassero. Alla stazione di Euston sono scesi. Ho lasciato il cavallo in custodia a un ragazzo e li ho seguiti nell'atrio. Ho sentito che chiedevano notizie del treno di Liverpocl. Un inserviente rispose che ne era appena partito uno e che non ce ne sarebbe stato un altro per qualche ora. Stangerson è apparso deluso. Drebber, invece, sembrava contentissimo. Nella confusione avevo potuto avvicinarmi abbastanza per ascoltare i loro discorsi. "Drebber diceva di avere una commissione da sbrigare per proprio conto, e pregava l'altro di aspettarlo alla stazione. "Stangerson protestava facendogli presente che avevano deciso di rimanere sempre insieme. Drebber insisteva che si trattava di una cosa delicata e che era costretto ad andare solo. Non sono riuscito a sentire la risposta di Stangerson, ma so che l'altro ha cominciato a imprecare rammentandogli che lui era al suo servizio e che non doveva permettersi di dargli ordini. Il segretario ha finito per rassegnarsi e ha proposto a Drebber di raggiungerlo all'Albergo Halliday, nel caso che non fosse arrivato in tempo nemmeno per l'ultimo treno. Al che, Drebber ha dichiarato che prima delle undici si sarebbe trovato sulla banchinadi Euston, ed è uscito dalla stazione. "Il momento che avevo atteso tanto a lungo era giunto, finalmente. Avevo in pugno i miei nemici. Insieme, potevano difendersi, ma isolati erano alla mia mercé. Tuttavia, non ho agito con precipitazione. I miei piani erano già formati. Non vi è gioia nella vendetta, se il nemico non ha il tempo di capire chi lo colpisce e perché è scoccata la sua ultima ora. Avevo già escogitato un piano per far sí che il mio nemico si accorgesse che stava pagando il suo sanguinoso peccato. Pochi giorni prima, per combinazione, un signore in cerca d'alloggio era andato a visitare una casa della Brixton Road e ne aveva smarrito la chiave nella mia carrozza. La sera stessa, si era presentato a reclamarla e io gliela avevo restituita, ma, nel frattempo, ne avevo rilevato l'impronta per fabbricarne un duplicato. Per mezzo di quella chiave ero in grado di accedere almeno in un luogo, in questa grande città, dove potevo agire liberamente al sicuro da occhi indiscreti. Ma come avrei fatto a trascinare Drebber in quella casa? Ecco il problema che dovevo risolvere. "Drebber si era incamminato a piedi. Ogni tanto sostava per entrare in un bar. Nell'ultimo, si è fermato quasi mezz'ora. Quando è uscito, barcollava ed era evidentemente brillo. C'era un'altra carrozza pubblica proprio davanti a me, ed egli l'ha fermata. Ho continuato a seguirlo cosí da vicino che il naso del mio cavallo era sempre a meno di un metro dalla sua vettura. Abbiamo percorso il ponte di Waterloo, poi miglia e miglia di strade, finché, con mio stupore, ci siamo ritrovati davanti alla pensione dove Drebber e Stangerson avevano abitato. Non riuscivo a capire a che scopo Drebber ci fosse ritornato, ma mi sono collocato a un centinaio di metri dalla casa. Lui è entrato e la carrozza si è allontanata. Mi dia un bicchier d'acqua, per favore. Mi si secca la bocca, parlando. "
Gli porsi il bicchiere ed egli lo bevve con avidità. - Cosí va meglio - soggiunse. - Ebbene, ho aspettato circa un quarto d'ora, poi, all'improvviso, ho sentito un tafferuglio, all'interno della casa. Un attimo dopo, la porta si è spalancata e sono apparsi due uomini: uno era Drebber, l'altro un giovanotto che non avevo mai visto. Teneva Drebber per il bavero e, quando sono arrivati in cima alla scalinata, gli ha dato un urtone e un calcio, scaraventandolo sino in mezzo alla via.
"Carogna" gli ha gridato agitando il bastone verso di lui "t'insegnerò io a insultare una ragazza onesta!" Era tanto furibondo che l'avrebbe accoppato a randellate, credo, se quel furfante non fosse scappato con la lestezza di cui le sue gambe erano capaci. E, arrivato sino alla prima cantonata, poi ha visto la mia carrozza, mi ha fatto un cenno ed è balzato dentro. "Portatemi all'Halliday Hotel" ha detto. "Il cuore mi ha dato letteralmente un balzo dalla gioia, e ho persino temuto che, proprio all'ultimo momento, mi scoppiasse l'aneurisma. Mi sono avviato pian piano, riflettendo sulla tattica che dovevo seguire. Avrei potuto condurlo direttamente in aperta campagna e là, in qualche viale deserto, si sarebbe svolto il mio ultimo colloquio con Drebber.
Avevo quasi deciso di agire cosí, quando lui ha risolto il problema per me. Ripreso dalla smania di bere, mi ha ordinato di fermarmi davanti a un'osteria. È entrato, raccomandandomi di aspettarlo. É rimasto nelI'osteria fino alla chiusura, e quando è uscito era talmente ubriaco che ho capito subito di avere doppiamente le redini in pugno. "Non crediate che io volessi ucciderlo a sangue freddo. Sarebbe stata giustizia sacrosanta se l'avessi fatto, ma era piú forte di me. Avevo deciso da lungo tempo che il nostro incontro avrebbe avuto luogo come una specie di duello... un duello fuori del comune. Tra i molti mestieri che ho fatto in America, durante i miei vagabondaggi, sono stato anche usciere del laboratorio delI'Università di York. Un giorno, il professore faceva una lezione sui veleni e ha mostrato agli studenti certi alcaloidi, come li chiamava lui, estratti da non so quale pianta sud-americana. Erano veleni cosí potenti che la minima dose bastava a provocare la morte istantanea. Avevo osservato i recipienti nei quali erano conservate quelle sostanze, e, non appena rimasi solo, ne ho prelevato una piccola dose. Mi arrangiavo abbastanza bene a fare il preparatore e non mi è stato difficile confezionare con l'alcaloide due pillolette solubili nell'acqua. Ho messo poi ognuna di quelle pillolette in una scatolina assieme a una pillola che aveva lo stesso aspetto, ma non conteneva veleno. Fin d'allora avevo deciso che, quando mi fosse capitata l'occasione, ognuno dei miei nemici avrebbe prelevato una delle pillole da una delle scatolette, mentre io avrei inghiottito la pillola rimanente. Era un mezzo altrettanto micidiale e assai meno rumoroso che non una pistola. Da quel giorno avevo sempre tenuto le scatolette con me, e ormai era giunto il momento di servirmene. "Era quasi l'una di notte. Il vento soffiava e la pioggia cadeva a torrenti. Ero felice... tanto felice che mi veniva voglia di gridare la mia esultanza. Se vi fosse capitato, signori miei, di struggervi dal desiderio di una cosa per venti lunghi anni e poi, all'improvviso, ve la foste trovata a portata di mano, potreste capire i miei sentimenti. Ho dovuto accendere un sigaro per calmarmi i nervi, ma mi tremavano le mani e mi battevano le tempie per l'agitazione. Mentre procedevo, mi sembrava di vedere il vecchio John Ferrier e la dolce Lucy che mi sorridevano... mi sembrava di vederli chiaramente come vedo voi in questa stanza. Per tutto il tragitto, li ho avuti dinanzi, uno da una parte, uno dall'altra del cavallo, finché mi sono fermato davanti alla casa di Lauriston Gardens. "Non c'era anima viva in vista e non si udiva il piú piccolo rumore, all'infuori dello sgocciolio della pioggia.
Quando ho guardato dentro dal finestrino, ho visto che Drebber era tutto raggomitolato e dormiva. L'ho scosso per un braccio. "È ora di scendere" gli ho detto. ""Va bene, cocchiere" mi ha risposto. "Certamente, credeva di essere arrivato all'albergo. Infatti, è sceso senza una parola e mi ha seguito sul sentiero del giardino. Ho dovuto sorreggerlo perché non perdesse l'equilibrio, tanto era sbronzo. Quando siamo arrivati alla porta, l'ho aperta con la chiave, poi ho condotto Drebber nella prima stanza. Vi giuro che durante tutto il tragitto, il padre e la figlia camminavano dinanzi a noi. ""Che buio!" ha brontolato Drebber, trascinando i piedi. ""Ora le faccio luce" ho risposto io, poi ho acceso un fiammifero e l'ho avvicinato a una candela di cera che avevo con me. "E adesso, Enoch Drebber" ho soggiunto voltandomi e rischiarandomi la faccia "chi sono?" "Mi ha guardato con quei suoi occhi spenti da ubriaco, poi un'espressione di terrore gli ha sconvolto la faccia.
Allora, ho capito che mi aveva riconosciuto. Ha cominciato a retrocedere col viso livido e con la fronte imperlata di sudore, mentre gli battevano i denti. A quella vista, mi sono appoggiato all'uscio e ho riso a lungo. Avevo sempre saputo che la vendetta sarebbe stata dolce, ma non avevo osato sperare nella gioia completa e travolgente che ora m'invadeva. ""Cane maledetto!" ho continuato. "Ti ho dato la caccia da Salt Lake a Pietroburgo, e mi sei sempre sfuggito.
Adesso, finalmente, le tue peregrinazioni sono finite, e uno di noi due non vedrà sorgere l'alba di domani." Mentre parlavo, lui continuava a retrocedere. Gli leggevo in faccia che mi credeva pazzo. Del resto, lo ero in quel momento. Le tempie mi martellavano furiosamente, e forse mi sarebbe venuta una congestione se tutt'a un tratto non avessi avuto un'emorragia dal naso. ""Che ne pensi, ora, di Lucy Ferrier?" ho gridato chiudendo l'uscio e agitandogli la chiave sotto il naso. "È stata lenta a raggiungerti la punizione, ma finalmente ti ha raggiunto." Gli tremavano le labbra, e probabilmente avrebbe cominciato subito a implorare pietà, ma deve aver capito che era inutile. ""Vorresti... vorresti assassinarmi?" ha balbettato. ""Non è un assassinio" ho risposto. "Chi parla di assassinare un cane idrofobo? Hai forse avuto pietà, tu, della mia povera Lucy, quando l'hai trascinata via dai resti straziati di suo padre per rinchiuderla nel tuo sporco harem?" ""Non sono stato io a uccidere il padre" ha gridato Drebber. ""Ma sei stato tu a spezzarle il povero cuore innocente" ho urlato a mia volta, traendo di tasca la scatoletta. "Sarà il Signore a giudicare fra noi due. Guarda queste due pillole: una contiene la morte, l'altra la vita. Ognuno di noi ne ingoierà una. Vediamo se c'è giustizia sulla terra, o se siamo dominati soltanto dal caos." "Drebber ha tentato di sottrarsi e ha cominciato a chieder pietà, ma io ho sfoderato il coltello e gliel'ho puntato alla gola fino a quando non mi ha obbedito. Poi ho inghiottito la seconda pillola, e siamo rimasti l'uno di fronte all'altro, in silenzio, per un minuto e forse piú, aspettando di vedere chi doveva vivere e chi sarebbe morto. Dovessi campare cent'anni, non dimenticherò mai la faccia di Drebber quando i primi dolori gli hanno annunciato la fine imminente.
Allora sono scoppiato a ridere e gli ho messo sotto gli occhi la fede nuziale di Lucy. É stata questione di un attimo, poiché l'azione di quell'alcaloide è rapida. Una contrazione spasmodica lo ha trasfigurato di colpo; ha teso le mani, barcollando, poi, con un grido rauco, è stramazzato al suolo. L'ho voltato col piede, poi gli ho messo una mano sul cuore. Era morto! "Il sangue aveva continuato a colarmi dal naso, ma non ci avevo badato. Non so nemmeno io come mi è venuto in mente di servirmene per scrivere su quel muro. Forse è stata la maliziosa tentazione di mettere la polizia fuori strada, poiché ero di umore giulivo. Mi sono ricordato il caso di un tedesco che era stato trovato morto a New York con indosso un biglietto su cui era scritta la parola RACHE. A quel tempo, i giornali avevano affermato che il delitto doveva essere stato commesso da qualche società segreta. Quel che aveva disorientato i newyorkesi, pensavo, poteva disorientare anche i londinesi; perciò, ho intinto un dito nel mio sangue e ho scarabocchiato la parola sul muro. Poi, sono ritornato alla mia carrozza. Non c'era nessuno in vista e il tempo era ancora pessimo. Avevo percorso un buon tratto di strada, quando mi sono messo la mano nel taschino dove tenevo solitamente l'anello di Lucy e ho scoperto che non c'era. Sono rimasto come fulminato, poiché quello era l'unico ricordo che avevo di lei. Convinto che mi fosse caduto quando mi ero chinato sul cadavere di Drebber, sono ritornato indietro e, lasciata la carrozza in una via laterale, me ne sono andato dritto filato verso quella casa. Ero disposto ad affrontare qualunque rischio, piuttosto che smarrire l'anello. Arrivato sul luogo, mi sono trovato quasi a naso a naso con un agente di polizia che ne stava uscendo. Sono riuscito a sviare i suoi sospetti soltanto fingendo di essere ubriaco fradicio. "Comunque, ecco in che modo Enoch Drebber ha finito i suoi giorni. Ormai non mi restava che ripetere la manovra con Stangerson, dopo di che il debito di John Ferrier sarebbe stato saldato. Sapevo che Stangerson era all'Halliday Hotel, e, per tutto il giorno, mi sono aggirato nelle vicinanze, ma egli non è uscito nemmeno una volta. Forse, non vedendo ricomparire Drebber, si era insospettito. Stangerson era astuto e stava sempre sul chi vive. Ma se credeva di farmela in barba rimanendo chiuso nella sua stanza, sbagliava di grosso. Ben presto, sono riuscito a scoprire qual era la finestra della sua stanza, e, la mattina successiva, di buon'ora, ho approfittato di una lunga scala a pioli che era abbandonata dietro l'albergo per arrampicarmi al piano superiore. Ho svegliato Stangerson e gli ho annunciato che era venuto per lui il momento di render conto delle due esistenze che aveva stroncato tanti anni prima. Gli ho descritto la morte di Drebber e gli ho offerto la medesima scelta delle pillole avvelenate. Invece di aggrapparsi alla probabilità di salvezza che gli restava, è balzato dal letto tentando di prendermi alla gola. Per legittima difesa, l'ho colpito con una pugnalata al cuore. In ogni caso, la conclusione sarebbe stata la stessa, poiché la Provvidenza non avrebbe mai permesso alla mano nefanda di quella canaglia di scegliere la pillola non avvelenata. "Ho ben poco da dire, ancora. Per fortuna, poiché sono esausto. Ho continuato a girare con la mia carrozza, per un giorno o due. Avevo intenzione di metter da parte lo stretto necessario per ritornare in America. Ero al posteggio, quando un ragazzino cencioso ha chiesto se c'era un cocchiere di nome Jefferson Hope, e ha detto che un signor di Bake r Street aveva bisogno della mia carrozza. Ci sono andato senza subodorare nulla... e, prima che mi venisse il minimo sospetto, quel giovanotto m'aveva messo le manette. La mia storia è finita, signori. Voi potete giudicarmi un assassino, ma io mi considero uno strumento della giustizia quanto e piú di voi. "Il racconto di quell'uomo era stato emozionante e i suoi modi erano tali da incutere rispetto, tanto che restammo tutti a lungo in silenzio. Persino gli investigatori di professione, smaliziati com'erano in fatto di delitti, avevano ascoltato con un interesse febbrile la storia di Hope. - C'è un punto solo sul quale desidererei qualche altra informazione - disse finalmente Sherlock Holmes. - Chi è quel suo complice che è venuto a ritirare l'anello in seguito alla mia inserzione?
Il prigioniero rivolse al mio amico una strizzatina d'occhio. - Posso rivelare i miei segreti - rispose - ma non sono disposto a mettere gli altri nei guai. Ho visto il suo annuncio e ho pensato subito a un tranello. Nello stesso tempo, non era da escludersi che si trattasse proprio della fede che io cercavo. Un amico si è offerto di venire a vedere. Ammetterete che è stato abile. - Senza dubbio - ammise Holmes con entusiasmo.
L'ispettore interloquí in tono solenne: - Ora, signori, le formalità di legge devono essere rispettate. Mercoledí, l'arrestato sarà condotto in tribunale e la vostra presenza sarà indispensabile. Nel frattempo, rispondo io di lui.
Cosí dicendo suonò una campanella, e Jefferson Hope fu condotto via da due carcerieri, mentre il mio amico ed io uscivamo dalla sezione di polizia e prendevamo una carrozza per ritornare in Baker Street.
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Uno studio in rosso
RandomRACCONTO NON MIO. AUTORE: Sir Arthur Conan Doyle Ho fatto questo libro, solo per i miei compagni di classe, dato che la professoressa ci ha dato da leggere queste pagine ed era molto difficile leggerele da cellulare in PDF.