« PRIMO CAPITOLO »

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Esco di casa e inizio a vagare senza una meta.
Nonostante sia sera e sia praticamente buio non ho intenzione di restare a casa.
Lo so che siamo a gennaio e fa freddo, ma io ho bisogno di stare sola.
Niall, quello stupido ragazzo di cui mi ero invaghita, si è rivelato il solito cliché: bel faccino, giocatore di football, pieno di ragazze e intenzionato ad aggiungermi alla sua lista di brevi avventure.
Io lo giuro, ci ho davvero provato a trovarmi un ragazzo, ma sono tutti dannatamente uguali.
Lui è stata l'ennesima delusione, sembrava un ragazzo dai sani principi, con la testa sulle spalle, invece era solo uno dei tanti che ci provava con me solo per raggiungere il suo scopo.
Credo di avere un problema con i ragazzi, ogni volta che ne frequento uno dopo qualche uscita perdo interesse e li vedo tutti noiosamente simili.
Non fraintendetemi, ho avuto qualche relazione, beh... in realtà solo una. Ed è proprio grazie a questa che non riesco a vedere altro che noia in tutti quelli che provano ad approcciarsi a me.
Avevo conosciuto questo ragazzo durante il mio anno in Australia ed è stato davvero fantastico.
Ho vissuto esperienze bellissime e ogni cavolo di giorno era speciale, sapevamo entrambi che la nostra storia sarebbe dovuta finire e quindi abbiamo cercato di godercela al massimo, e così è stato. Naturalmente io sono dovuta ritornare in America e abbiamo deciso di comune accordo di trasformare la nostra relazione in un ricordo lontano e tanto felice.
E ora eccomi qui, a cercare di schiarirmi la mente camminando per le strade di New York in cerca di un segno del destino.
Svolto l'angolo e mi ritrovo in un grande viale. Percorro ancora qualche metro e, nonostante fossi intenzionata a tornare indietro, mi fermo attratta da una sonata di pianoforte. Non ho mai avuto una grande passione per la musica classica, ammiro i grandi musicisti poiché penso sia davvero difficile suonare ad alti livelli, ma non ho mai sentito il bisogno di ascoltare composizioni di questo genere.
Eppure questa melodia mi sembra così bella, diversa, è come una calamita.
Spinta dalla curiosità decido di avvicinarmi alla piccola cerchia di persone e subito noto il pianista. È un ragazzo giovane, ha i capelli neri come la pece ma purtroppo riesco a malapena a scorgere il suo viso per via della testa china sui tasti.
Non ho la più pallida idea di cosa stia suonando ma, mi piace.
Improvvisamente mostra il suo volto rivolgendo il suo sguardo al piccolo pubblico. Mi rivolge un' occhiata veloce e poi riabbassa la testa.
Non sono riuscita a vederlo bene per via della scarsa luce ma sembrava avere dei bei lineamenti.
Decido di fermarmi ad ascoltarlo e alla fine mi sporgo in avanti per lasciare una moneta all'interno dell'apposito cappello. Lui mi guarda e una strana sensazione pervade il mio corpo. Mi ringrazia e io gli sorrido di rimando. Come se nulla fosse continua a sistemare la sua roba, ringraziando ogni tanto qualche persona che gli lascia un'offerta.
Ammetto che ha un'aria davvero misteriosa, è come se fosse avvolto da un'aurea, non so se mi spiego; un'aurea scura, proprio come i suoi capelli.
Inizio a giocare con l'anello che porto al dito e distrattamente lo faccio cadere. Accendo la torcia del cellulare e provo a cercarlo.
«Perso qualcosa?» Istintivamente alzo la torcia per cercare di capire chi mi sta parlando.
«Cazzo abbassa quel coso!» Impiego un attimo per rendermi conto di aver puntato la luce del mio telefono negli occhi del pianista. È davvero bello; sembra abbia gli occhi chiari e ha il volto cosparso di lentiggini.
Porto in basso il dispositivo e mi scuso con il ragazzo.
«Scusa, non volevo accecarti.»
Noncurante delle mie scuse mi ripropone la domanda e, dopo avergli descritto il piccolo oggetto prezioso, si china sull'asfalto senza degnarmi di uno sguardo e mi da una mano.
«Credo sia questo» Con un gesto delicato mi porge il mio gioiello e le nostre dita si sfiorano delicatamente. Cerco di mantenere saldo il mio autocontrollo e lo ringrazio provando a non far trapelare l'imbarazzo dalla mia voce.
«Grazie tante.»
Non faccio nemmeno in tempo a rimettermi l'anello che lui se n'è già andato via con tutta l'attrezzatura.
Che tipo strano, almeno un sorriso poteva farmelo!
Controllo l'ora e mi rincammino verso casa.
Arrivo e varco la soglia della mia abitazione. Appendo il mio cappotto nero e mi sfilo le scarpe.
«Tesoro dove sei stata? Ti ho chiamata ben cinque volte e non ti sei degnata di rispondermi nemmeno mezza! Lo sai che mi preoccupo!»
«Mamma, scusami tanto. Sono solo uscita a fare un giro per schiarirmi le idee» Le do un bacio sulla fronte e mi dirigo verso il piano superiore.
«È successo qualcosa?» Mi blocco e mi volto per risponderle.
«L'ennesimo ragazzo sbagliato. Sinceramente, mamma, credo proprio di avere qualcosa che non va. A questo punto penso di essere io il problema.» Non sono mai riuscita a tenermi le cose dentro, per questo motivo, tendo sempre a dire tutto ciò che provo subito, per evitare di scoppiare. Con mia mamma ho sempre avuto un bel rapporto e parlare con lei non mi crea alcun problema, anzi, mi fa sentire sempre un po' meglio.
«Devi comprendere, tesoro, che più ti sforzi e pressi te stessa ad uscire con qualcuno che non ti interessa, più farai fatica a trovare un ragazzo che ti colpisca. Non devi per forza cercare una persona, devi provare a stare tranquilla e avere pazienza; le cose migliori arrivano quando meno te l'aspetti, non forzarti. Vedrai che prima o poi quello giusto arriverà anche per te.»
Come sempre le sue parole riescono a convincermi e la avvolgo in un abbraccio. È davvero un'ottima madre, l'ho sempre pensato.
Mi sposto al piano superiore e vado in cerca delle mie sorelle.
«Cloe, Alys, siete in casa?»
Le chiamo ma non ottengo alcuna risposta. Controllo nelle loro stanze ma, di loro, nessuna traccia. Spero solo non si siano ancora appropriate di camera mia...
Apro la porta della mia stanza ed eccole lì in tutto il loro splendore, stese sul mio letto con coperte, cibo e tv accesa.
«Ma non è possibile! Un'altra volta! Ci sono mille stanze in questa casa, perché dovete sempre impossessarvi della mia camera quando non ci sono?!» Se c'è una cosa che odio è proprio quando le persone prendono le mie cose in mia assenza, senza chiedermi il permesso. Divento piuttosto irritabile già quando qualcuno tocca i miei oggetti, figuratevi quando non sono presente; ma la mia stanza è preziosa, mi rappresenta, e non si tocca.
«Ciao anche a te Kat, sì noi stiamo bene, la nostra giornata è passata in fretta e non abbiamo novità, grazie per avercelo chiesto. Comunque, lo sai, hai la televisione più grande e il letto più comodo... stiamo guardando un bel film, è iniziato da poco, unisciti a noi e non rompere.» Alys mi risponde tutta sorridente e con la mano mi indica di accomodarmi accanto a lei.
«Eh va bene! Ormai ci vivete qua dentro... vi voglio tanto bene ma, seriamente, non entrateci più quando io non ci sono, grazie.»
«Scusaci, la prossima volta andremo in salotto tvb.» Cloe mi manda un bacio e io mi rassegno alla loro volontà. alzando gli occhi al cielo.
Mi copro con i morbidi plaid e mi godo il film con le mie sorelline, o meglio, ci provo, perché neanche dieci minuti dopo vengo avvolta dalle braccia di Morfeo che, stasera, ha i capelli corvini e un mucchio di lentiggini.


S/A
Ciao a tutti! Credo che per questa storia non utilizzerò lo spazio autrice, se non per comunicare qualche comunicazione "di servizio". Pertanto, eccomi tornata, spero vi piaccia questo racconto; aggiornerò circa una volta a settimana dato che, essendo in quarantena ho molto tempo per scrivere.
Un abbraccio virtuale,
Sara.

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