Capitolo 4 - Giochiamo

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Sigyn si svegliò nella sua casa, avvolta dalle candide lenzuola rosate del suo letto. Odiava quello stupido colore pastello ma era l'unica cosa che le rimaneva dei suoi genitori, la sua dote... Aveva tante bellissime e morbidissime lenzuola rosa, un set di fazzolettini ricamati... cose incredibilmente inutili visto il fatto che alla sua età non era ancora sposata. Se per i nobili era normale aspettare molto tempo prima di contrarre un matrimonio, per quelli come lei, i plebei, era normale sposarsi relativamente presto.

Era vecchia per gli standard.

Nessuno l'avrebbe più voluta.

E lei non aveva intenzione di cercarselo.

Il dolore alla gamba era svanito. Quindi il principe non aveva mentito sul fatto che non sarebbe morta.

Era giorno da almeno 4 ore a giudicare dalla sua posizione nel cielo.

Dannazione. Era in ritardo. Di nuovo.

Vi vestì di fretta con il primo straccio che le capitò sotto mano, una casacca beige, e corse fuori ancora in ciabatte. Fortunatamente il suo alloggio era a una svolta dal primo accesso al ponte che dava l'entrata al palazzo. In un batter d'occhio stava salendo i gradini iridescenti verso il ponte. La parte buona dell'essere in ritardo era di evitare il fiume di servitù che si riversava dentro e fuori le mura del palazzo, la parte brutta era... beh, il fatto di essere in ritardo.

Corse letteralmente dentro la camera della guarigione avventandosi sulla sua uniforme arancione cercando in tutti i modi di infilarla il più in fretta possibile, sotto gli occhi delle altre guaritrici.

«Sigyn» l'apostrofò la sua superiore.

«Mi scusi, scusi...» disse lei. «C'è stato un incidente ieri, ho fatto tardi.»

«In realtà ci avevano avvisato che probabilmente non saresti venuta...» le rispose invece lei. «Ma se sei qui e stai bene... al lavoro!»

Avvisato? Chi aveva avvisato? E come ci era arrivata, poi, in casa sua?

Si avviò piena di domande nel suo studio.

Le postazioni erano situate in piccole stanzette divise l'una dall'altra da pareti molto sottili. Avevano una forma vagamente tondeggiante, con al centro una fucina dell'anima e sulle pareti dei tavoli da lavoro, occasionalmente librerie. La sua era abbastanza fitta di soprammobili. Era solita portare a termine missioni sanitarie in tutti i 9 regni vista la sua competenza nell'anatomia di praticamente qualsiasi razza conosciuta; quelle missioni riguardavano epidemie di solito per questo i suoi scaffali erano sempre colmi di testi, elenchi di malattie infettive. Per il resto, come tutte le altre, si occupava soprattutto di ferite da armi da taglio, contusioni... anche se di solito, come quel giorno, le mandavano operazioni più complesse.

Per prima cosa si era occupata di estrarre un parassita midgardiano dall'intestino di un soldato: era cresciuto a dismisura per via del cibo di Asgard ed era stato necessario un piccolo intervento di rimozione, con un taglio a livello dell'ombelico. Subito dopo una sua collega le aveva passato un bambino nato pochi minuti prima con un labbro leporino. Era molto fiera del lavoro portato a termine su quella creatura: ora avrebbe avuto una vita normale.

Le avevano insegnato che Yggdrasill e la natura erano onnipotenti e ogni decisione era stata presa per un motivo. Sotto quel punto di vista, per qualche oscuro motivo, quel bambino era destinato a morire di fame e nessuno avrebbe dovuto mettere in discussione ciò che il destino aveva deciso per lui; ma la natura li aveva creati e dotati anche di strumenti per evitarlo... Quale che fosse il decorso del destino a loro non era dato saperlo, quindi ognuno decideva di interpretare il dilemma a suo modo.

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