Parte 1 - Koros

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Le note dolci della lira echeggiarono nel tempio. Sembrarono rimbalzare sulle scanalature delle colonne doriche per poi sollevarsi fino al frontone, sui cui risplendeva la figura effigiata di Demetra. Alle note presto si mescolarono i canti soavi degli uccelli, che non resistevano al richiamo della musica suonata da Apollo.

Koros spostò lo sguardo dalle dita sottili del dio, sui volti affascinati dei suoi compagni, fino a spingerlo fuori dal tempio. La brezza ricolma di profumi fiorati era un richiamo irresistibile ed esercitava su di lui lo stesso fascino che avevano le sirene sui naviganti.

Una compagna gli diede una gomitata, e Koros si riscosse.

«Sta' attento, ad Apollo e a tua madre non piacciono quelli che si distraggono», gli disse Ciane, la ninfa con cui aveva legato di più.

Lui si limitò a sorriderle. La musica era bella, ma Koros non pendeva dalle labbra di Apollo, come i compagni e le compagne, figli di divinità a cui era stato dato il privilegio di vivere nella Piana di Nisa, vicino ad Eleusi, sospesi nel tempo, tra la musica e le delizie dei fiori, lontani dalle guerre divine e i capricci degli uomini. Lì fanciulle e fanciulli si dedicavano al culto delle arti e della dea Artemide a cui sacrificavano la loro purezza.

La musica cessò. «Potete andare per adesso», disse il dio Apollo con la sua voce soave e decisa.

Koros fu il primo ad alzarsi, mentre gli altri esitavano. Si diresse verso il peristilio del tempio e poi posò i piedi, calzati da semplici sandali, sul prato smeraldo. Sentì addosso gli occhi di sua madre, Demetra, la cui figura scolpita lo osservava dal frontone. Koros ne osservò le braccia tornite, le messi di grano che reggeva e che grazie a lei prosperavano. Sentì un senso di nostalgia invaderlo.

Prese a camminare lungo la piana, avvertì le erbe tenere e quelle più dure accarezzargli le caviglie snelle e i polpacci. La sua era una vita che probabilmente gli umani gli invidiavano, ma lui si sentiva solo, chiuso in quella sorta di collegio, trascurato da suo padre, Zeus, sempre troppo impegnato a soddisfare piaceri ben poco divini e a placare i bisticci tra gli altri dei, e sua madre, Demetra, che girava in lungo e in largo per far prosperare la terra. Le uniche compagnie erano le ninfe, anche esse devote alla dea Artemide, e Apollo ed Ermes, gli unici a cui era concesso stare in sua compagnia.

Gli odori delle rose e delle viole gli inondarono le radici. Provava sempre un intimo senso di commozione, quando poteva camminare liberamente lontano dal tempio. Gli piaceva, in modo particolare, un ruscello che scavava il terreno fino a immettersi in un lago. Koros si inginocchiò fino a specchiarsi nelle acque cristalline: osservò il suo stesso volto che l'acqua gli restituiva nitido, l'ovale che sua madre definiva come un bocciolo di rosa, le labbra, rosee come due petali, gli occhi di acquamarina e i capelli che ondeggiavano al vento proprio come le messi che ammantavano i campi grazie a sua madre.

Immerse le dita nell'acqua fresca, increspandola, ma quando le sollevò e aspettò che l'acqua tornasse una tavola piatta, vide delinearsi su di essa il riflesso di un altro volto. Sussultò, ma Apollo gli posò una mano sulla spalla, come a tranquillizzarlo.

«Dovresti essere più attento alla mia musica», gli disse, senza avere l'aria minacciosa che avrebbe riservato a un umano distratto.

«Lo so, ma qui fuori mi piace», replicò lui.

Apollo si inginocchiò al suo fianco. La sua era una bellezza luminosa, al pari del carro che ogni giorno trascinava nella volta celeste. Una bellezza che avrebbe fatto impazzire qualsiasi uomo e anche qualsiasi altro dio.

«Tua madre ci tiene che tu sia un perfetto adepto di Artemide, forse ti sembrerà noioso, ma è meglio della vita che conduciamo noi tutti. A volte è meschina, concentrata solo su baruffe e dispetti», disse il dio del sole.

Ade (gay version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora