Saranno passati, a occhio e croce, più o meno cinque mesi, dall'ultima volta che ho deciso di mettermi a nudo, o almeno da quando ho cercato di farlo – ed il lettore più esigente mi dirà se ci sono riuscito oppure no – raccontandovi di quella serata all'ospedale. Devo ammettere qui di seguito, spendendo qualche parola in più, non precisata in precedenza, di non avere avuto più alcuna notizia di quel signore, né tantomeno del figlio. Il che, direte voi, che come me abitate in questa città, è piuttosto strano, visto che da noi le anime sono talmente esigue, da conoscersi più o meno tutte. Senza dubbio rimane non escludibile, il fatto che io e voi possiamo, in una o più occasioni, esserci incontrati. Dopo essermi dilungato più di quanto si possa consentire ad un romanziere, o presunto tale che seppur non eccelso, pretenda quantomeno di essere decente, proseguirò nel racconto di questa vicenda.
Due giorni fa, e sono sicuro siano passati solo due giorni perché se fosse passato più tempo – malgrado la mia giovane età – non me ne ricorderei di certo, mi recai in centro storico, da mia zia, partendo da casa mia. E voi ben sapete che tal tragitto, sebbene non eccessivamente lungo, si dipana per un certo numero di viuzze, ora asfaltate, ora erbose, ora sterrate; così come sapete, che ad un ragazzo come me, di sicuro non cagionevole in salute ma dalla falcata non certo atletica, che occorrono più o meno venti minuti a coprire quella distanza. Quindi mi misi in moto, subito dopo l'ora di pranzo, una volta preso temporaneo commiato dai miei genitori i quali scelsero di impiegare il pomeriggio in una delle loro attività, le quali ora non rammento. Mia zia, donna austera e timorata non tanto di Dio, quanto di suo marito, un omaccio bruto il cui cerebro non si spinge in audacia oltre un limite ben angusto, ne approfitta una volta alla settimana, quando costui esce per commissioni, per concedersi mezza giornata di aria. In una di queste rare giornate di libertà, decise di invitarmi a casa sua. Sebbene la sua dimora si vantasse di essere una piccola magione, incastonata tra i vicoli della città, dalla parvenza nobile ed irreprensibilmente sontuosa, sapevamo, noi tutti ed ora anche voi lo sapete, che le finanze di mia zia gridassero pietà da tempi ormai lontani. "Probabilmente per questo ha deciso di sposare quel cafone infingardo", ipotizzava mio padre senza troppe inibizioni, ogni volta che il discorso saltava fuori, durante una cena, non mostrando molto rispetto per il marito di sua sorella. Inutile descrivere i tentativi di mia madre, di zittirlo, mettendo a tacere quelle folate che riteneva avrebbero avuto un cattivo effetto su di me. Insomma, non era quindi un segreto che mia zia fosse sul lastrico e che la scelta, dieci anni prima di sposare Antonio, un rappresentante che avrebbe venduto la propria madre pur di far cassa, avvezzo alle brutte maniere e con disprezzo per il gentil sesso odorabile a miglia di distanza, non fosse altro che un escamotage per tenersi la casa ed assicurarsi un prospero futuro di beata nullafacenza.
E se ciò voleva dire sopportare qualche latrato di lui, qualche intimidazione o qualche sberla, se tutto ciò avrebbe contribuito a mantenere in alto la facciata, be' lei lo avrebbe accettato di buon grado. In più occasioni mio padre, aveva inutilmente tentato di opporsi alla loro unione, tentando di sviare mia zia dai suoi propositi, cercando di far leva sulla mozione che lei, una donna intelligente ed arguta, avrebbe sicuramente trovato una maniera più dignitosa di guadagnarsi da vivere. Inutile dire che questi tentativi ebbero l'effetto di uno spiffero di vento contro una quercia secolare.
Mia madre, sebbene fosse stata più volte chiamata in causa da mio padre, aveva deciso, con molta perspicacia, di astenersi da qualsiasi intervento che avrebbero implicato la sua uscita una zona neutrale, la quale le consentiva ancora una volta al mese, di venire invitata a casa della zia, a ricamare all'uncinetto e a spettegolare sui rispettivi mariti. Frivolezze femminili, che per intenderci non arrivavano neppure lontanamente a sfiorare la natura del matrimonio di mia zia con Antonio. Mio padre era ben conscio di cosa volesse dire avventurarsi in quelle acque, e l'ultima volta che aveva osato addentrarcisi, ne era uscito bagnato fradicio e non aveva parlato con mia zia per ben tre mesi.
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I sette racconti
Short StoryRacconti brevi, frenetici, abbarbicati l'uno sull'altro e incastrati l'uno dentro l'altro, inesorabilmente uniti come allo stesso tempo separati. Crediti per la copertina: Placeit