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Il nero è sempre stato uno dei miei colori preferiti, fin da bambino, ma non avrei mai pensato che un giorno avrei potuto vedere solo quel monotono colore intorno a me, senza sperare di vederne altri. Il buio che mi circonda rende visibili solo gli spigoli di mobili che non mi appartengono davvero e la macchina posta alla mia destra, alla quale è attaccato un telecomando per chiamare l'infermiera in caso di emergenza. Non ne ho mai avuto bisogno in queste due settimane di permanenza.
Resto immobile per diversi minuti, che a me sembrano durare ore, senza fiato. Il forte dolore al petto è micidiale e, tra le pareti dello stomaco, un forte acido sembra desiderare di venire a galla, distraendomi da ogni pensiero.
Tento di trascinarmi verso il bagno prima dell'inevitabile, ma la vista offuscata e la debolezza rendono questa operazione molto ardua.
Mi tiro indietro il ciuffo con una mano e vomito incessantemente per alcuni minuti, il che mi fa venire un mal di testa assurdo. Torno in stanza a fatica e schiaccio il pulsante, prima di cadere sul letto, esausto, nonostante siano solamente le sei del mattino.
"Tutto bene, Payton?" mi chiede preoccupata Hannah mentre mi raggiunge, poi mi aiuta a mettermi a sedere, facendo oscillare la sua coda di cavallo. Alza la tapparella, rivelando un'alba magnifica, nonostante sia difficile apprezzarla in questo momento.
"Ho vomitato" dico semplicemente, sentendone ancora il disperato bisogno "Mi fa male la testa e il petto, non so se è normale"
"Sì, lo è, stai tranquillo..." mi sorride, un po' dispiaciuta. Con uno stetoscopio mi ausculta, segnandosi il numero dei battiti, mentre io tremo a causa dello strumento, fin troppo freddo. "Tranquillo, non c'è nulla che non va. In questi giorni starai un po' male e ti sentirai stressato a causa della clemastina, ma poi migliorerai, o almeno, questo è quello che speriamo"
"Va bene, grazie..." le sorrido.
Nel momento stesso in cui chiude la porta mi fiondo in bagno, dopodiché mi faccio una doccia calda e mi metto una maglietta a maniche corte nera con sopra una felpa verde senza cappuccio, dei jeans neri strappati sulle ginocchia e le solite Nike rosse. Mi sistemo i capelli, mi metto una collanina di ferro grigio e vado al bar al piano di sotto a fare colazione. Oggi non voglio mangiare cibo che sa di plastica, visto che tra un pò sarò costretto a farlo.
"Hey, Pay"
"Ciao, Noen..." sbuffo, evitando il suo sguardo.
"Dove vai di bello, amico?"
"Punto uno: noi non siamo amici. Punto due: vado al bar"
"Ma si che siamo amici, dai... Solo che dobbiamo ancora legare"
"Giratela come vuoi ma io non ti considero un amico al momento"
Scendo di corsa le scale, pentendomene subito. Sento la testa diventare improvvisamente pesante, mentre il resto del corpo sembra si sia sciolto.
"Noen..." mormoro.
Il ragazzo mi prende al volo prima che svenga, stringendomi forte a sé.
"Payton, devi renderti conto che ora non puoi più fare le stesse cose che facevi prima... Mi dispiace, ma è così, e prima te ne renderai conto prima smetterai di danneggiare te stesso"
"Sto bene..." dico staccandomi da lui, appoggiandomi però al corrimano.
"È meglio se ti riposi, Payton..."
Mi volto lentamente verso di lui.
"Noen, che cosa vuoi esattamente da me?"
"Solo proteggerti, dato che sei nuovo e ancora non sai come funziona, non sai cosa fare, con quali persone è meglio fare amicizia e tutto questo genere di cose"
"Non mi serve il tuo aiuto"
"Senti, fai come vuoi. Se vuoi essere amico di chi ti dice di non prendere le medicine perché apparentemente ti faranno stare peggio o dei soliti depressi che ti faranno venire voglia di suicidarti fai pure. Ma preferisco che tu sia amico mio o di Avani, perché noi conosciamo la sofferenza e non vogliamo che ad altri capiti quello che è successo a noi" dice tutto d'un fiato, con la voce spezzata, camminando all'indietro per poi salire le scale.
"Noen, io... Mi dispiace" lo seguo.
"Non devi dispiacerti. Solo... Sai quanto è dura vedere i tuo genitori che piangono ogni notte, pregando Dio di salvarti, di donarti un polmone o di far sparire magicamente una malattia che sai benissimo non se ne andrà mai? È dura quando sei davanti a loro e li vedi piangere, perché sai che stanno piangendo per te. Un figlio dovrebbe portare gioia, non dolore. E invece capisci di essere solo questo per loro, sei solo un eterno dolore che si trascineranno dentro per sempre. Aspettano solamente il momento in cui non potranno più vederti o stringerti tra le braccia. Sei fortunato però, non è detto che tu non possa farcela. E non devi nemmeno sentirti dire che è tutta colpa tua, come nel caso degli anoressici" si ferma davanti a me per guardarmi negli occhi "Tu non sai come mi sento ogni giorno. Urlo dentro per non disturbare, perché so che sono come una bomba pronta ad esplodere, che trascinerebbe chiunque io abbia intorno in un pozzo senza fondo e non è quello che voglio. Per questo voglio aiutarti. Perché tu non debba mai sentirti così"
Annuisco, non sapendo cosa dire.
"Grazie..."
Mi da una spacca sulla spalla e sfoggia il suo solito sorriso, troppo largo per essere vero, ma abbastanza dolce da sembrarlo.
"Non ci pensare, Payton. Andrà tutto bene"
"Beh, lo spero" rido "Infondo sono qui per questo"
"Giusto, piccoletto" mi scompiglia i capelli.
"Hey" rido, spostandomi di scatto "E poi non sono piccolo, abbiamo la stessa età, penso"
"Io ho diciassette anni"
"Io sedici"
"Sembri più piccolo comunque, quindi da oggi sarai il mio piccoletto"
"Basta che non mi chiami così davanti agli altri..."
"Va bene, promesso. Forse"
"Noen!"
"Va bene, va bene..." ride, prima di prendere al volo una ragazza dai capelli ricci scuri e la pelle olivastra. È estremamente magra, nonostante tenti di nasconderlo con una felpa nera larga e dei pantaloni grigi di una tuta. "Avani, stai attenta!"
"Scusa, tesoro, ma mi mancavi" le sorride per poi lasciargli un bacio sulla guancia "Ciao Payt" 
Il secondo giorno mi sono subito imbattuto in lei e abbiamo legato, nonostante Noen dicesse fosse una stronza.
"Dove stavate andando?"
"Payton voleva fare colazione"
"No, non importa. Non ho più fame" dico sentendo improvvisamente un sapore acido in bocca, simile a quello di stamattina.
"Tranquillo, è sempre così i primi tempi, tra una settimana o due non ti farà più questo effetto"
"Io non prendo medicine, ma conoscendo Noen posso dirti che ha ragione. Ogni volta che gli cambiano medicina è la stessa storia"
"Io... Credo di dover andare, scusate"
Mi porto una mano alla bocca e corro in bagno, superandoli con una spallata. La porta rimane aperta e sento entrare qualcuno, che mi sposta i capelli all'indietro.
"Come ti senti?"
"Secondo te?"
Mi sporgo in avanti e stringo i pugni finché le nocche non diventano bianche. La gola mi brucia e un dolore insopportabile si fa strada nel mio torace.
"Fa male, vero?" sussurra sul mio collo.
Annuisco debolmente, lasciandomi cadere di lato per appoggiarmi al muro.
"Già, ricordo quella sensazione... Ma fidati quando ti dico che starai meglio"
"Lo spero davvero... Dov'è Avani?"
"È uscita in giardino"
"Non avevi detto che era una stronza fotonica?"
"Già, ma non so come è anche la mia migliore amica. Probabilmente perché sappiamo troppe cose l'uno dell'altro e se litigassimo dovrei ucciderla"
"Cosa...?"
"Dai, sto scherzando! Hai perso l'ironia?"
Scuoto la testa, ridendo, e cerco di alzarmi, aiutato da lui.
"Grazie, Noen... Di tutto"
Lo guardo negli occhi, perdendomi nelle profondità di quel colore così scuro. Fa un passo in avanti e mi abbraccia, facendomi perdere l'equibrio solo per un secondo. Mi aggrappo alla sua felpa e lacrime silenziose rigano le mie guance chiare.
"È normale piangere, Payton. Puoi farlo, se vuoi. Non lo dirò in giro"
Lo stringo un pò più forte. So che non lo farà perché, anche in questo caso, deve sapere cosa si prova. Un singhiozzo esplode da dentro di me, seguito da altri.
"Andrà tutto bene... Te lo prometto, Pay"
"Grazie" rido sentendomi stupido per aver davvero pianto. Mi asciugo le lacrime con le maniche e mi guardo allo specchio: non sembro così malato. Non sono pallido, non più del solito almeno.
"Raggiungiamo Avani?" mi chiede.
"Va bene, ma-"
"Non le dirò nulla, tranquillo. L'ho promesso"
Sento il cellulare vibrare in tasca e le notifiche mi fanno notare che ho tre chiamate perse da mia madre.
"Non le rispondi?"
"La chiamerò più tardi, quando sarò da solo"
Le scrivo solo un messaggio, in cui le dico che sto bene e che ci sentiamo tra qualche ora.
Usciamo dall'ospedale e ci dirigiamo verso il retro.
"Ma i medici sanno che venite qui?"
"Sì, abbiamo il permesso di stare qui da quando abbiamo dodici anni. Se non ci trovano in camera sanno che siamo qui. Con noi sei in una botte di ferro"
"Figo, quindi-"
"Payton?" mi interrompe una voce femminile.
Mi volto e riconosco subito i capelli rossi e gli occhi verdi. Gli stessi che mi hanno spezzato il cuore.
"Sophia..."

Spazio autrice
Spero che anche questo capitolo vi piaccia💚

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