Stringevo la sua mano così forte che avevo paura di spezzargliela, così allentai la presa.
"Non lasciarmi la mano, Mag" La voce appesa a un filo invisibile che stava per rompersi in mille pezzi. "Non ti lascio." Stavamo di fianco, l'uno accanto all'altro, fissando il muro grigio della sala operatoria dell'ospedale di Portland. Quindi la strinsi ancor di più, e racchiusi le nostre mani con un bacio abbastanza lungo da attirare la sua attenzione, ma non appena alzai lo sguardo mi accorsi che era ritornato a fissare il muro. "Ehi, guardami." Il profilo delineato dalla luce gialla delle lampadine, riuscivo a vedere la flebile lacrima pronta a espandersi. "Guardami Danny." Lo incitai ancora una volta. Socchiuse gli occhi per un momento liberandosi da quella lacrima, poi si voltò a guardarmi. Aveva gli occhi distrutti. "Non ti lascerò." Non avevo mai pronunciato queste parole, parole così importanti. "Non lascerò mai che ti succeda qualcosa, hai capito?" Avevamo solo sedici anni e probabilmente non sapevamo proprio niente della vita, ma sapevo che Daniel Donovan era la mia famiglia e che io ero la sua, e si fa di tutto per proteggere la propria famiglia.Il sorriso che accompagnò le mie parole mi sembrò un miracolo in mezzo a tutta quel disastro.Qualcosa mi disturbava mentre il sorriso di Danny iniziava a svanire, ci vollero pochi secondi per capire che mia zia Clare mi stava scuotendo dal sonno."E' il grande giorno." Adesso sentivo la sua voce chiaramente. "Svegliati pulcino."
Apro gli occhi con grande riluttanza e non appena mi accorgo di tutta quella luce mi copro il viso con il lenzuolo. "Che ore sono?" Mi lamento con la voce ancora impasticciata dal sonno.
La mano di Clare poggia sul mio fianco.
"So che per te sarà un giorno difficile Mag." Il tono improvvisamente serio mi costringe ad abbassare il lenzuolo. "E' la prima volta che non sarai accompagnata da Daniel alla serata di beneficenza, non sarai accompagnata da nessuno in realtà e..." Le si spezza la voce.
"Vorrei solo che tu non ti sentissi sola stasera." Le labbra tinte di un leggero rosa si curvano a stento. Mi sollevo sui gomiti e cerco le parole giuste da dire.
"Quando sono arrivata mi hai detto che devo ancora trovare me stessa." Mi concentro a guardare la spilla a forma di libellula agganciata alla sua camicetta azzurra, non credo di averla mai vista prima. "Penso che sia ora che impari a stare bene con me stessa, da sola, così riuscirò a capire chi sono, cosa voglio e perché mi sento così...smarrita." E' la prima volta che elaboro questi pensieri e credo che Clare lo abbia capito dal modo in cui mi sta guardando.
Adesso le sue labbra si schiudono in un sincero sorriso che mi trasmette calore.
"Dai, andiamo a fare colazione." Mi accarezza il viso, poi si alza per lasciarmi scendere dal letto. "Tra un'ora arriva la signorina dell'atelier per consegnarci i vestiti" M'informa mentre la osservo posizionarsi davanti alla finestra, con la schiena tesa e le braccia conserte.
"Sta tranquilla." Indosso la giacca di tuta blu che ho appoggiato ai piedi del letto e mi accorgo che sta guardando oltre la finestra.
So bene quanto sia importante per lei che stasera vada tutto secondo i piani.
"Non essere in ansia, andrà tutto bene."
Le dico mentre mi avvio verso il bagno dandole le spalle. Clare non risponde, probabilmente aspetta che io esca, così mi lavo il viso, lego i capelli in una solita coda arrangiata e la raggiungo.
Indossa un leggero jeans chiaro e una camicetta azzurra che le si intona perfettamente con il colorito del viso. Mi accorgo che la spilla ipnotica non è più sulla camicetta, ciondola ritmicamente tra il pollice e l'indice come se fosse una di quelle famose palline antistress.
"Clare?" Si accorge che la sto analizzando perché non credo più che sia solo ansia.
Il suo sguardo è quasi perso nel vuoto al di là della finestra, alla fine si volta a guardarmi.
"Vivianne sarà alla festa di beneficenza stasera." Mi dice con tono piatto, poi mi supera e inizia a camminare per la stanza.
"La signora Thompson ritorna alla base! E' forse pronta per un'altra guerra?"
La mia battuta non fa per nulla ridere Clare che invece mi lancia un'occhiataccia.
"Oh ma dai, non dirmi che ce l'hai ancora con lei?!"
Mi guarda in un modo alquanto eloquente.
"Ha cercato di rovinare il mio matrimonio! "Si precipita a sbroccare.
"Per non parlare del fatto che non riesce assolutamente a scostarsi dall'idea che sia tutta colpa mia se io e Mark non riusciamo ad avere un bambino!"
Rimango di sasso e anche lei sembra essere sorpresa da quello che ha appena detto.
Forse non voleva confessarlo.
"Io... io non sapevo che..."
"Si Mag." Si affretta a concludere la mia frase. "E' da un anno che cerchiamo di avere un figlio."
Il cambio repentino della sua voce mi costringe ad avvicinarmi.
"Abbiamo fatto più di venti controlli, siamo stati in decine cliniche diverse in tutta l'Oregon. A quanto pare ho quella che si chiama "infertilità idiopatica" e sono, diagnosticamente parlando, "insufficientemente indagata"."
Mentre ascoltavo le parole di mia zia Clare mi chiedevo per quanto tempo io abbia solo visto me stessa, la mia vita e la mia felicità come uniche priorità.
Per tutto questo tempo, non mi sono mai accorta di quei dettagli che avrebbero potuto farmi capire che la vita di Clare e Mark non è così perfetta come sembra.
Alza gli occhi rivelandosi in tutta la sua vulnerabilità e so per certo che ha quelle parole sulla punta della lingua, le uniche parole che ogni donna pensa, elabora e metabolizza, le uniche parole che spiegano il perché di queste cose.
La osservo mentre posa la spilla nella tasca dei jeans e cerca di nascondersi il viso tra le mani.
"Non è colpa tua." Ottengo la sua attenzione: uno sguardo lucido e debole.
Inizia a scuotere la testa, quasi come se dentro di lei stesse combattendo una guerra.
Mi avvicino, le cingo il viso e la costringo a guardami negli occhi.
"Clare, non è colpa tua." Allora mi afferra le mani, le racchiude all'interno delle sue e lascia che le lacrime scorrano liberamente.
"Lo avete detto a Vivianne?" Le chiedo.
Annuisce ripetutamente mentre tira su con il naso, cerca invano di smettere ma le lacrime continuano a scendere.
"Sai com'è lei." Ritorna a guardarmi, fa spallucce. "E' Vivianne, non ha mai voluto che fossi sua moglie e adesso ha una reale motivazione per continuare a pensarlo." Mi si riempie il petto di rabbia. Ho sempre pensato che l'astio di Vivianne nei confronti di mia zia fosse una naturale reazione di abbandono del nido materno da parte del suo unico figlio.
"Non può crederlo davvero, non è giusto." Clare scoppia in una risata triste.
"Non è nemmeno giusto aver provato a sabotare il mio matrimonio." Asserisce con tono piatto mentre va verso lo specchio per accettarsi che l'immagine riflessa non tradisca la sua condizione interiore. La osservo mentre sbatte le ciglia più volte, palpeggia i polpastrelli sotto gli occhi per nascondere le notti insonne a piangere e a chiedersi sempre e solo una cosa: perché proprio a me.
Ho sempre pensato a zia Clare come una donna forte e indipendente, capace di sopportare qualsiasi cosa, in realtà penso che riesca a soffrire senza farsi annientare dal dolore.
Un minuto fa non riusciva a smettere di piangere, lasciando vincere quella parte di lei che vede se stessa attraverso gli occhi di Vivianne. Ma adesso, ricompostasi davanti allo specchio della mia camera, indossa di nuovo sicurezza.
"Farò in modo che non ti ferisca ancora." Le dico senza pensarci troppo.
Clare mi guarda attraverso lo specchio, incredula.
Comprendo il perché di quell'espressione: non sono solita lottare con le unghia e con i denti per la mia famiglia. Ho sempre fatto il giusto, il necessario, niente di più.
"Non è colpa tua se non riuscite ad avere un figlio e non sarà di certo lei a farti credere il contrario."
Penso fermamente che questo sia il risultato di anni in cui la mia coscienza ha preferito credere che non potessi fare nulla per le persone che amo, che non potessi fare altro se non dispiacermi per loro.
Inevitabilmente, mi viene in mente Daniel. Probabilmente avrei potuto evitare quello che gli è successo, ma non ho fatto nulla e adesso lui è in coma.
Mia zia è parecchio sospettosa, si starà chiedendo chi sia questo esserino che trasuda coraggio da tutti i pori.
"Stai tranquilla, ho imparato a tener testa a quella donna ormai." Viene verso di me.
"Bene." Asserisco con decisione. "Allora le terrò testa anch'io."
Perplessa, mi analizza con attenzione.
Le rivolgo un sorriso d'incoraggiamento che sembra chiarirle ogni dubbio. "Allora, andiamo o no a fare colazione?" Quindi afferrò la maniglia della porta trascinandola verso di me.
Libera un profondo respiro di sollievo e vorrei davvero che il peso che porta sulle spalle sia un po' anche mio, adesso.
Il pomeriggio procede rapidamente con l'arrivo degli abiti da sera, le chiamate di conferma al catering, ai musicisti, agli intrattenitori e a coloro che si occupano di adornare il castello.
Niente avviene senza la costante euforia mista a preoccupazione di mia zia.
Adesso che siamo quasi agli sgoccioli, io e Mark stiamo controllando che i posti a sedere alla cena di stasera rispettino la volontà degli invitati.
"Pensi che il Sindaco Morrison preferisca sedere a destra del Presidente della Fondazione o accanto a sua moglie?" Mi chiede Mark che occupa la punta del divano e con la schiena curva sul tavolino di fronte, tiene stretto il lembo del foglio mentre rosicchia la penna.
"Beh, se non ricordo male al signor Morrison piacciono le donne rosse." Preciso con chiara ironia.
"Hai ragione, sarà meglio intrattenerlo con la signora Morrison o finirà tutto il vino prima del brindisi di mezzanotte." Si affretta ad appuntare sul foglio il cambiamento mentre lo vedo sghignazzare.
Sento i passi di mia zia scendere svelti le scale in legno.
"Oh! Quasi dimenticavo!" Esordisce all'improvviso facendoci sussultare, si è fermata proprio sull'ultimo gradino. "Devo controllare la scaletta di Sierra." Non credo si renda conto di dare voce ai suoi pensieri, ma stavo per chiederle se avesse bisogno di un aiuto ma si precipita in cucina prima che io riesca a parlare. Ritorno a rivolgere la mia attenzione sulla lista dei posti, ma Clare torna di nuovo, sta correndo verso la libreria posta accanto al camino. Sta cercando disperatamente il foglio che Sierra le ha consegnato ieri mattina al bar. "Dove sei finito?!" Ribadisce più volte continuando a rovistare in ogni angolo del soggiorno.
Mark mi rivolge uno sguardo esasperato che mi permette di mascherare la mia espressione di disapprovazione nel sentire il nome della figurina.
"Trovato!" I repentini cambi di tono sono caratteristici della Clare stressata, ma dal modo in cui Mark sobbalza ogni volta credo proprio che non si sia mai abituato.
"Pensi che riuscirai ad essere ancora in te, stasera?" Clare si è finalmente fermata a esaminare il foglio proprio dietro allo schienale del divano, ci da le spalle e sembra non far completamente caso a noi. I suoi occhi percorrono rapidamente il foglio quasi maniacalmente.
"Oh si, adoro questa canzone!" Esordisce una volta che ha finito.
Nonostante aspettassimo con attenzione che si voltasse, trasaliamo ugualmente quando rotea il corpo con un'agilità repentina.
"E comunque – ci sta fissando severamente– sarà tutto perfetto stasera!"
Si porta le mani ai fianchi con un'aria di sfida.
"Di questo ne sono più che certo, ho solo paura che uscirai di testa."
Se i miei occhi potessero parlare, avrebbero già messo in guardia Mark dal pronunciare frasi di provocazione ad una donna ambiziosa come lo è mia zia.
"Senti, senti, senti" Incalza Clare minacciosa. In punta di piedi arriva di fronte a noi e si pone ritta sulla figura seduta di Mark, che adesso si è fatta davvero piccola.
"Tu, ingrato di un uomo, ti sembra forse che io non sia abbastanza brava?"
Gli occhi di Mark stanno ringraziando il cielo che Clare tenga in mano un foglio di carta e non qualche altro oggetto che possa essere usato come arma.
Io soffoco una risata ma vengo scoperta.
"Ti faccio per caso ridere?"
Mi rimprovera minacciosa.
"No, assolutamente." Appoggio la lista sul tavolino di fronte al divano e mi alzo in piedi. Gli occhi di Clare mi seguono attentamente mentre cerco di sgattaiolare fuori dalla sua visuale.
"Mark vuole solo dire che tu dovresti..."
Mentre prendo tempo per cercare la parola più adatta, il campanello mi salva la pelle.
"Vado io!" Precedendo Mark di un nano secondo.
Gli regalo uno sguardo di compassione mentre mi precipito ad aprire la porta.
"Aspettavi qualcuno?"
Chiedo a mia zia mentre giro la serratura della porta.
"Uhm... non credo." La sfumatura di quella risposta non mi convince, e appena apro la porta comprendo subito il perché.
Indossa uno smoking blu tempesta che abbraccia il suo corpo in modo così sensuale da lasciarmi senza fiato, il bottone della giacca è slacciato e mi permette di visualizzare il panciotto grigio perla con quattro bottoni, trattiene una camicia bianca che ospita la cravatta dello stesso colore del panciotto.
Mi sembra quasi una copia di Kyle Black se non fosse per la capigliatura riccia ma ben ordinata.
"Sei tu." Non è affatto quello che avrei voluto dire, ma l'ho detto.
"E tu sei tu." Mi accorgo solo adesso del ghigno altezzoso che gli si è stampato in faccia.
"Cerchi qualcuno?"
Non ho intenzione di lasciarlo entrare, quindi mi appoggio allo stipite della porta bloccandogli il passaggio.
Kyle deve averlo capito perché sale i tre gradini che ci tengono distanti, facendomi constatare la sua incredibile altezza e costringendomi a sollevare la testa.
"In realtà sto cercando Sierra." Mi sento stordita dal suo profumo che appena invaso i miei sensi, ma il nome della figurina mi fa ritornare sull'attenti. Cerca di guardare all'interno senza in realtà farlo davvero.
"Sierra?" Mi metto a braccia conserte. "Che cavolo potrebbe venirci a fare qui Sierra?"
Spero che non si renda conto della mia chiara nota di disgusto nel pronunciare quel nome, nonostante sia abbastanza sicura che la mia espressione mi tradisca.
Con totale sicurezza Kyle si porta le mani in tasca e china il capo su di me, credo che abbia fatto un altro piccolo passo perché adesso mi è davvero vicino.
"Allora, mi fai entrare o devo farlo con la forza?"
Il tono di voce è adesso terribilmente sensuale e... caldo.
"Solo perché non mi va di farti male." Cerco di nascondere il fatto che il cuore mi batta così forte da costringermi ad aumentare la frequenza del respiro.
Mi accorgo a malapena della sua espressione compiaciuta mentre indietreggio e lo lascio entrare.
"Chi è?" Clare ci viene incontro e, ovviamente, non appena vede Kyle si precipita ad accoglierlo e a riempirlo di complimenti.
Mi allontano perché mi sento turbata, mi appoggio alla rampa della scala in legno e una volta sicura che nessuno mi stia guardando mi permetto di lasciarmi andare alle emozioni.
Mi tremano le gambe,
ho il respiro accelerato,
le mani mi sudano.
Che diavolo mi succede.
Poi mi accorgo che non tutti in quella stanza avevano la completa attenzione di Kyle, Mark è ancora dovevo l'avevo lasciato: in piedi accanto al divano, le mani in tasca, i suoi occhi mi stanno analizzando con molta attenzione.
Mi sento una di quei pazienti che riceveva allo studio almeno una volta a settimana, gli raccontavano dei dolori allo sterno, al petto, delle notti insonne e di come non riuscivano a dar tregua a quel male al cuore. Chiedevano di essere visitati perché erano sicuri che il loro cuore non funzionasse bene, non fosse come doveva essere, bisognava che il dottor Thompson lo aggiustasse.
Mark li lasciava parlare per tutto il tempo e li scrutava in totale silenzio, senza batter ciglio. Poi gli chiedeva se avessero vissuto un momento drammatico, se avevano perso un parente, la moglie,il marito o un figlio. Scoprì che la maggior parte di loro avevano davvero perso qualcuno: un figlio,il marito, la moglie o erano stati traditi dai loro amati. Ma c'era una piccola minoranza, davvero piccola, che si sentivano stringere il petto da quando si erano accorti di amare qualcuno che non era giusto amare.
Io sono una di loro, una di quei pazienti che sentiva una stretta al petto così forte da pensare che il sangue non circolasse più nelle vene, che le gambe volessero smetterla di reggere il peso della sua falsità, una di quei pazienti che si convinceva che era meglio ignorare la verità del cuore piuttosto che lasciare che ci porti dove vuole davvero.
Uno sguardo non può mica parlare, ma riesce a farmi intuire che Mark aveva capito tutto.
Scruto la mia immagine riflessa allo specchio mentre indosso l'abito che Clare ha scelto per me, così bello da sembrarmi surreale. Tratteggio il corpetto color avio intenso impreziosito da piccoli petali in rilievo che circoscrivono tutto il mio addome fino a ramificarsi dalla vita in giù come fossero rami sempre più sottili, seguo il percorso tracciato dai piccoli petali fino ad arrivare al tessuto in raso che compone la gonna, morbida scende fino ai piedi, di un avio più spento che trasuda eleganza e autorevolezza.
Mi chiedo dove possa aver trovato un vestito così bello.
"Sei perfetta." Trasalisco sul posto, Clare è ferma sulla soglia della porta che ricordo di aver socchiuso.
Mi volto verso di lei, la sua bellezza mi sbalordisce. Indossa un abito con lo strascico a sirena blue navy che le circoscrive le forme in modo assolutamente impeccabile, la scollatura a barchetta è messa in risalto dai capelli raccolti in uno chignon laterale.
Mi accorgo che tiene un cofanetto rosso di velluto tra le mani che mi sembra di aver già visto da qualche parte.
"Io...non credo di meritarmelo." Confesso mentre accarezzo i petali in rilievo che ho deciso essere la cosa che amo più di questo vestito. Clare viene verso di me rivelando una profonda spacca nella parte destra del vestito che lascia intravedere la sua coscia tonica, i passi sono decisi ed eleganti su quei tacchi vertiginosi rosso pastello. La osservo mentre poggia il cofanetto misterioso sulla scrivania posta accanto allo specchio, mi cinge le spalle e delicatamente mi invita a girarmi verso il mio riflesso.
"Perché non vedi quanto tu sia bella?" Mi raggruppa i capelli sciolti in una coda che tiene alta con la mano, poi avvicina il viso al mio profilo e mi guarda attraverso lo specchio con ammirazione.
"Le assomigli tantissimo sai?" Azzarderei a dire che ha gli occhi lucidi.
Scruto me stessa da capo a piedi mentre, ancora una volta, mi lascio ipnotizzare dai rilievi del vestito.
"Ti manca solo qualche piccolo dettaglio." Annuncia eccitata svegliando la mia curiosità.
Si allontana dal riquadro dello specchio costringendomi a voltarmi, la seguo fermarsi dietro la sedia della scrivania, picchietta le dita sullo schienale invitandomi a sedere.
"Dai vieni qui." Obbedisco e mi lascio pettinare i capelli per qualche secondo, chiudo gli occhi perché mi fido di Clare e poi adoro quando mi pettinano i capelli.
"Sai, tua madre era davvero pessima ad acconciarsi i capelli." Interrompe il silenzio di quel momento con tono nostalgico. "Le piaceva portarli lunghi, ma non sapeva legarli in una coda di cavallo, e allora ogni mattina prima di andare a scuola, mi aspettava seduta ai piedi del letto con una spazzola in una mano e un elastico nell'altra. Le pettinavo i capelli e poi le facevo una coda, a volte una treccia, altre volte gli appuntavo qualche ciocca." La sua voce mi accarezzava dolcemente e mi conduceva verso un immaginario a cui non avevo mai assistito ma che riuscivo a visualizzare perfettamente.
Nel frattempo sentivo le sue dita scorrere fra i miei capelli. "Poi un giorno li tagliò." Continua Clare dopo una breve pausa. "Aveva deciso di mollare il suo primo fidanzato perché lo aveva visto baciare una ragazza dai lunghi capelli biondi, proprio come i suoi." Mi fa leggermente spostare il viso verso sinistra, il mio sguardo incrocia il cofanetto di velluto poggiato sulla scrivania. "Perché ha deciso di tagliare i capelli?" Chiedo a Clare mentre sento le sue mani indugiare sulla parte destra del mio capo. "Credeva che Matt, così si chiamava lui, l'avesse scambiata per via dei capelli, tagliandoli sarebbe risultata diversa, e non solo da quella che lui aveva baciato, ma da qualsiasi altra ragazza della nostra scuola. A quell'epoca tutte portavamo i capelli lunghi."
Man mano che i ricordi di mia zia prendevano piede nella mia mente mi sembra di rivedermi riflessa in quelle parole, probabilmente anche io avrei fatto la stessa cosa.
"Finito!" Esclama Clare, incitandomi ad alzarmi. Mi avvio verso lo specchio, avvicinandomi mi rendo conto che ha raggruppato i miei capelli in una morbida treccia a lisca di pesce che ricade lungo la schiena scoperta, solo due ciocche sono state lasciate libere e mi ricadono ondulate sul viso.
"Wow." Riesco solo a dire.
"Manca solo un piccolissimo dettaglio." Clare ritorna nella visuale dello specchio, tiene stretta una collana fra pollice e indice che, rapidamente, mi appoggia intorno al collo. La profonda scollatura a V, adesso, è impreziosita da una bellissima pietra lucente nella sua trasparenza racchiusa da due sottilissimi fili d'argento che si abbracciano.
"E' bellissima, non è vero?" Mia zia accosta il viso al mio profilo e contempla l'espressione, probabilmente incantata, impressa sulla mia faccia.
"E' davvero..." La accarezzo nonostante abbia paura che possa rompersi tra le mani.
"E' una pietra di luna e quelli sono fili d'argento realizzati a mano." Noto il sorriso soddisfatto di Clare e mi chiedo a cosa sia dovuto.
Guardo ancora il ciondolo e adesso mi sembra quasi famigliare.
"Era di tua madre." Mi dice Clare quasi come se mi avesse letto nel pensiero.
"Gli e l'ho regalata il giorno in cui sei nata tu – mi concentro sull'espressione malinconica di mia zia – sai quanto tua madre adorava l'astronomia, e sai anche che aveva una preferenza per il sole e la luna – si ferma per sorridere – Un giorno mi disse che aveva letto da qualche parte che la Luna fosse una specie di madre del Sole, si prendeva il buio e lasciava la luce a suo figlio. Trovai questa pietra di Luna in una gioielleria in Italia e pensai che fosse un regalo perfetto."
Ricordavo la storia della Luna e del Sole, mia madre me l'aveva raccontata tante volte quand'ero piccola, mi diceva che lei era la mia Luna e che non avrebbe mai lasciato che l'oscurità mi rubasse tutta la luce.
La accarezzo di nuovo, è fredda e liscia, ma in qualche modo mi ricorda mia madre.
"Scommetto che le è piaciuto tantissimo." Deduco curvando le labbra in un leggero sorriso.
Clare annuisce con sguardo distratto, probabilmente i ricordi della sua giovane sorella stanno ancora padroneggiando i suoi pensieri.
"Grazie zia – decido di voltarmi – è il regalo più bello che tu mi abbia mai fatto."
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Spazio incontaminato
Romance"Esiste uno spazio nella nostra anima, un luogo in cui solo ciò che è abbastanza forte riesce ad entrare. Solo ciò che è puro, sincero e potente riesce a penetrare le sue mura. Mia nonna lo chiamava "spazio incontaminato". Non pensavo che anch'io...