Verità Cruda Verità

467 12 0
                                    

Sono uscita da scuola, ho ancora un forte mal di testa. Forse avrei dovuto bere di meno ieri notte. Accendo una sigaretta e con i libri in mano decido di camminare dritta fino a casa. Il sole è così forte che non riesco a tenere gli occhi aperti e, essendo una imbranata cronica senza minimamente l’ombra di autocontrollo, giro l’angolo e mi ritrovo per terra, con i libri dispersi di qua e di là. Alzo gli occhi e vedo una zingara che cerca di raccogliere le rose che le ho fatto cadere venendole addosso.

«Figliola, stai bene?» Mi chiede tendendo la sua mano, gravata dagli anni di lavoro.

«Sì, grazie. Scusa per i fiori!»

Non appena mi sfiora la mano, cado in ginocchio e, portandomi le mani alla testa, esplodo in un urlo spaventoso.

«Il diavolo ti ha toccata, joj devla*, sporcata! Bambina, bambina mia, vai a farti lavare la sporca impronta.»

Le lacrime le rigano le guance, e nel bel mezzo della strada si mette a pregare, urlando strane parole riguardo al diavolo o demonio della notte. Che imbarazzo. Da dove diavolo è uscita fuori questa pazza? E poi tutti gli altri non hanno altro da guardare?

Raccolgo i libri e faccio per andarmene, quando una mano fredda afferra la mia. Mi giro e vedo quel maledetto sorriso, quegli occhi verdi che oggi sembrano avere una sfumatura di grigio. Dio quanto può essere bello! Mi abbraccia e il suo profumo mi manda il cervello in tilt. Ma non riesco a godere di quel momento che la vecchia zingara, pazza, lo trascina a sé bruscamente, allontanandolo da me.

«I beng non hanno diritto di farvi camminare in pieno giorno, torna nelle tue tenebre e lascia questa bambina in pace. Torna da dove sei venuto, la legge della natura ha il suo ciclo. Non dovresti camminare sulla terra, senza un cuore che batta in quel tuo sporco petto.»

Lui prende la sua mano e la porta al petto. «Lo senti? Batte! Non sono come gli altri. Io non l’ho fatto.» Si gira e mi prende per mano, convinto che io non abbia sentito.

«Andiamo Zara, sicuramente hai avuto un momento traumatico. Le zingare e le loro stupide storie.»

«Traumatico, non direi. Ma c’è qualcosa di strano. Perché avrebbe dovuto piangere in quel modo? Pazza, pazza ok, vuoi farmi leggere la mano per due spicci? Va bene, ci sto. Ma non reagire come se avessi veramente visto il diavolo. Che diavolo, siamo nel ventunesimo secolo. E poi in che senso non lo hai fatto? Cosa intendeva? Come fai a sapere delle loro cose? Dei Beng?»

La sua presenza mi irrigidisce, comincia a provocarmi un grande vuoto, e la paura di qualcosa di più grosso mi afferra la mente. Non appena finisco la frase, Marcus gira la testa.

«Dovrei andare. Scusami!»
Non mi lascia il tempo di dargli una risposta, lo vedo allontanarsi, e non ho la minima intenzione di corrergli dietro. Ho la mia dignità. Però devo urgentemente scoprire cosa mi nasconde… Corro verso casa, e stranamente non combino danni a nessuno. Arrivo sulle scale davanti casa e vedo Raquelle sul balcone guardarmi incuriosita.
«Zara, tutto bene?»
Mi giro per vedere se c’è qualcuno nei dintorni per poterle spiegare che sono spaventatissima, ma vedendo un uomo passeggiare davanti casa faccio cenno a Raquelle di aspettare.
L’uomo stranamente sta facendo avanti e indietro agitato.
«Aspetta che arrivo su, c’è gente!» indico l’uomo.
«Quale gente Zara? Hai bevuto qualcosa? Non c’è nessuno!»
In che senso non c’è nessuno? Adesso ci si mette pure lei a prendermi in giro? Mi giro e vado incontro all’uomo.
C’è un odore forte, strano, di incenso e menta. Ha la faccia coperta dal cappuccio della giacca, una carnagione scura si intravede sul polso della mano ferma, nelle tasche dei jeans.
«Scusa, cerchi qualcuno?»
L’uomo si ferma di botto, si scopre la testa e mi guarda come se avesse visto un fantasma. Dei graffi rossi, ma non insanguinati, tracciano il suo viso. Come se della lava fuoriuscisse dalla sua pelle. Gli occhi rossi fuoco sono addentrati nei miei.
«Si, dico a te, stai cercando qualcuno?»
«Il bello è che hanno ragione, non c’è bisogno di cercarla, viene lei da noi a quanto pare!» Scoppia in una risata isterica, toglie le mani dalle tasche e mi si avvicina bruscamente. Si ferma a due centimetri da me e io mi sento le gambe bloccate, vorrei scappare ma non mi danno ascolto.
«C…cosa vuoi? C… Chi sei?» Balbetto come se avessi dimenticato l’alfabeto.
«Cosa, facciamo con te? Shhhh tranquilla!» Dice posando le sue dita sulle mie labbra.
«Non puoi strillare, non puoi scappare, la decisione spetta a me. Ucciderti o renderti tale!»
Cosa diamine sta dicendo? Uccidermi? Rendermi cosa? Che sta succedendo. La mia mente vola da Ines, se solo lei fosse qui saprebbe cosa fare.
Mi mette la mano sul viso e quando sento che sto per andarmene da questo mondo, ciò che non avrei mai pensato accade. Marcus, spintona la mano dell’uomo, ed è come se per un secondo le sue dita hanno preso fuoco. Il suo palmo sembra emanare fumo.
«No, non lei! Sistemerò tutto. Ma non lei!»
«Hai fatto la tua scelta, nephilim, assumiti le responsabilità! Lei è mia.»
«No!»
Un secondo prima stavo dinanzi a quel uomo, e adesso mi ritrovo davanti casa di Marcus.
«Come hai fatto? Cosa sta succedendo. Che diavolo sei tu?»
«Zara, entra in casa ti spiegherò tutto dopo. Ti prego!»
Acconsento, perché voglio spiegazioni. Me le merito. Mi porta una specie di tè rassicurandomi che mi terrà al sicuro e mi trascina in quella che sembra essere la sua camera.

Le mura sono tutte di legno marrone, il soffitto di colore ramato abbracciano quella stanza che è come se avesse il potere di trascinarti in un’altra epoca, il tempo sembra fermarsi. Il pavimento è  di un parquet robusto e greggio ma laminato. Le finestre enormi ti portano ad ammirare la bellezza del lago al quale sono tanto affezionata. Le tende marroni cadono lungo le finestre. Dall’altra parte della stanza un letto a baldacchino in tinta con le mura, e con le coperte perfettamente sistemate, e un armadio robusto accanto ad una biblioteca di legno racchiudono il tutto in un posto totalmente diverso da ciò che avrei immaginato.

«Zara, devi aspettarmi qui, intesi? Promettilo!»

Abbasso la testa, e lo lascio fare. Capisco che si dirige al bagno. E deduco che dovrà farsi una doccia.

La noia assale il mio cervello in ansia . Giro per la stanza e sento un forte desiderio di frugare tra le sue cose. Apro il cassetto accanto al letto, e trovo un album fotografico. Approfitto del tempo che mi ha concesso andando a farsi la doccia e mi siedo sulla sedia accanto al letto sfogliando l’album.

Queste foto sembrano così vecchie, per i soldi che ha la sua famiglia mi aspettavo qualcosa più qualitativo, e invece sono tutte bianche e nere.
Che strano! Eccone una colorata.

Mi si blocca il respiro, ciò che vedo mi distrugge. I ricordi mi affiorano la mente. Io piccola, Marcus che mi raccontava storie, i miei genitori, mia sorella che giocava con lui. Un brivido mi attraversa il corpo, un odio profondo prende vita nel mio petto. È lui, adesso ricordo tutto. È lui l’uomo che ha inflitto tanto dolore alla mia famiglia, è lui che ha tentato di uccidermi, è lui che non è cambiato di una virgola, è lui. Un pianto disperato e tanto odio e paura mi soffocano.

Mentre sono bloccata nei miei pensieri lui entra in camera, mi si avvicina e posa la mano sulla mia spalla. Nota la foto nelle mie mani e si allontanata di scatto, un secondo prima mi stava vicino adesso è sparito.

Esco di camera disperatamente in cerca di lui.

«Dove sei? Cosa sei? Che vuoi da me? Come hai potuto?»

Lo ritrovo nell’immenso cortile, il buio sembra proteggerlo dalla mia rabbia.

«Chi sei?» Corro verso di lui, e nel preciso istante in cui le mie mani lo spingono, un tuono quasi innaturale fa tremare la terra. La pioggia colpisce il mio viso, il vento crepa la mai pelle, le urla di disperazione gravate nel mio cuore sono accompagnate dai tuoni e i fulmini di quel temporale. Lui immobile, dinanzi a me, non mi guarda neanche. Ha lo sguardo alzato al cielo, i pugni stretti e la mascella serrata. Lo colpisco freneticamente con i pugni nel petto.

«Come hai potuto? Mi hai rovinata, bastardo. Mi sono fidata di te. Ti odio, ti odio, ti odio!»

Mi ferma le mani tenendole strette dal polso. I suoi occhi rossi mi scuotono dentro.

«Lo so. Ma io no, non più ormai!»

Si porta il mio polso alle labbra, e I suoi denti laceranti si conficcano nella mia pelle.
Brucia...

Oscuro Destino (In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora