Eno

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Terminologia



Meister o Maestri d'Armi: Coloro che si addestrano per imparare a combattere con delle Armi, utilizzate nella lotta contro i demoni per neutralizzare le loro anime malvagie.
Armi: Coloro che possiedono la capacità di tramutarsi in vere e proprie armi da combattimento, nonostante ognuno assuma una forma diversa. Dopo aver distrutto le anime di cento demoni possono divenire Falce della Morte, ottenendo un potere immenso.

Souls Selection Academy (SSA): Scuola in cui giovani di svariata età vengono addestrati nel combattimento contro i demoni. Lo scopo finale della scuola è di mantenere la pace attraverso l'eliminazione fisica di coloro che si immergono volutamente nell'oscurità o che commettono crimini efferati verso gli uomini. Qui, i Maestri d'armi seguono lezioni nei più svariati campi da Maestri più anziani ed esperti e seguono missioni che vengono loro assegnate, la maggior parte delle quali è raccogliere anime prave.

Risonanza: Fenomeno grazie al quale il rapporto tra Meister e Arma si intensifica, che permette inoltre di aumentare la potenza durante il combattimento. Questo collegamento non è istantaneo, ma va solidificato col tempo. Consiste nel sincronizzare le proprie anime quasi fino a fonderle in una sola, incentivando ogni riflesso e ogni senso.





Categorie di demoni


Esistono sette categorie di demoni:
Demoni del fuoco: abitano le regioni più lontane degli Inferi;

Demoni dell'aria: dimorano e volano intorno agli uomini;

Demoni della terra: essi si mescolano agli uomini con il compito di tentarli e ammaliarli;

Demoni dell'acqua o Nettuni: vivono negli oceani, nei mari e nei fiumi provocando burrasche e naufragi;

Demoni sotterranei: si celano nei pozzi e sono la causa di terremoti e delle eruzioni vulcaniche;

Demoni delle tenebre o Demoni Ombra: devono il loro nome al fatto che vivono lontani dal sole;

Demoni del ghiaccio: devono il loro nome al fatto che abitano nei ghiacciai;

A loro volta, queste categorie di demoni sono divise in dieci gruppi, ciascuno guidato da un demonio particolare:

• Thamiel: i bicefali. Spiriti in rivolta dominati da Moloch.

• Chaigidel: i mendacei. Spiriti di menzogna guidati da Belzebù.

• Satariel: i velatori. Spiriti della falsità, retti da Lucifero.

• Gamchicolh: i perturbatori di anime. Spiriti impuri governati da Astaroth.

• Galb: gli incendiari. Spiriti della collera dominati da Asmodeo.

• Tagaririm: i litigiosi. Sono gli spiriti della discordia guidati da Belphegor.

• Harab: i corvi della morte. Spiriti ribelli governati da Baal.

• Samael: i battaglieri. Spiriti della ferocia guidati da Adramelech.

• Iamaliel: gli osceni. Spiriti capeggiati da Lilith.

• Reshaim: i malvagi. Spiriti crudeli governati da Nahenia. In quest'ultima sono presenti 3 sottocategorie:

1. Gheburim - i violenti.
2. Raphaim - i vili.
3. Anacim - gli anarchici.






La sala era affollata, offuscata da una coltre di fumo su cui le luci psichedeliche proiettavano fasci di colore a intermittenza. La musica risuonava ripetitiva ad un volume eccessivo, come per compensare la mancanza di energia e coinvolgimento che restava terribilmente palese tra i corpi ammassati della gente presente.
Bastò quel primo sguardo generale per capire in che tipo di situazione si trovasse, lampante come un fulmine nel cielo notturno. Dannazione.
"Che si dice, micetto?" Taehyung sbucò alle sue spalle, molto felice e decisamente molto fatto, dando una pacca sul dorso di Jimin, un po' troppo forte per risultare piacevole. Jimin non era affatto sorpreso dall'apparizione di Taehyung, tantomeno da quella domanda del tutto fuori luogo che gli aveva fatto. Rispecchiava appieno l'intera serata: inutile e stupida.
Neppure Taehyung pareva aspettarsi un qualche tipo di risposta, poiché riprese:"Sembri..."
Taehyung guardò Jimin, pressando le labbra in una linea sottile, come se stesse cercando il termine giusto, o stesse solamente provando a formulare una frase di senso compiuto ripescando un linguaggio che era andato smarrito nel fumo di qualche canna di troppo.
In quell'aria densa e opaca, Jimin riusciva a malapena a distinguere quell'accenno di rosa pastello a luccicare sulle labbra di Taehyung, forse suo o forse di qualcun altro, in parte sbafato su un angolo della bocca. "Sembri silenzioso stasera."
"Sono sempre silenzioso," rispose, senza neanche sforzarsi di trovare una giustificazione per il suo umore pessimo.
"Non hai bevuto." Taehyung portò il bicchiere che teneva in mano contro la bottiglia di Jimin, per attirare la sua attenzione in quel punto preciso. "E' strano, tutto qui. Di solito ti sfasci senza pensarci due volte."
"Quello sei tu." Jimin roteò gli occhi al cielo. "E mentre sei ubriaco pensi che anche tutti gli altri intorno a te lo siano."
"Lo dici sempre. Come se anche tu non lo facessi. Ascolta—" Taehyung fece una pausa per prendere un sorso dal suo drink, le sue dita fine a bilanciarlo come se fosse qualcosa di prezioso e troppo fragile per quell'universo. "Stai giù per l'Assegnazione?"
Jimin fece spallucce, una mano dentro la tasca dei jeans, l'altra stretta con disinvoltura attorno alla bottiglia di birra umidiccia. Nulla nella sua postura avrebbe potuto lasciar intravedere i sussulti che gli si animavano nel petto. "Solo un po' nervoso."
"Amico, è normale. Ma vedrai che domani andrà tutto bene." Taehyung era un concentrato di ottimismo e premura anche da fatto, e per un istante Jimin si sentì un pezzo di merda ad essere una compagnia tanto tremenda quella sera.
"Facile a dirsi. Tu non hai nulla di cui preoccuparti. E' sicuro che Jungkook verrà assegnato a te. Avete addirittura già risuonato una volta." Jimin accennò un sorriso tirato e si appoggiò con le spalle contro la parete, così sobrio che gli sembrava assurdo.
Taehyung sbuffò una risata in parte imbarazzata e in parte orgogliosa, come a voler trattenere quella voglia irrefrenabile di vantarsi che sicuramente lo stava attanagliando. Poi disse:"Sono sicuro che non avrai problemi. Non tutti hanno già un'Arma prima dell'Assegnazione, e non è mai successo che venissero commessi errori durante la cerimonia."
Era dura capire ciò che Taehyung stesse dicendo al di sopra del volume della musica e delle altre voci che si accumulavano in quello spazio ristretto, perciò Jimin era costretto a fissare le sue labbra mentre parlava, sporgendosi leggermente per avvicinarsi quel tanto che bastava a captare le parole strascicate e confuse di Taehyung.
Jimin avrebbe voluto esprimere così tante ansie, pensieri e dubbi che lo tormentavano in quel momento, ma sapeva che sarebbe stato inutile farlo in presenza di un Taehyung del tutto andato e decisamente troppo entusiasta per poter comprendere appieno le sue lamentele in quel momento.
Inoltre non voleva ammettere che ciò che lo terrorizzava era ben più grande di ciò che Taehyung immaginava.
"Vedremo come andrà domani," si limitò a rispondere, concedendosi un sorso della sua birra per mandare giù il groppo che sentiva salirgli alla gola.
"Domani sarà un grande giorno, caro mio." Taehyung sorrise, i suoi denti eccessivamente bianchi in contrasto con l'atmosfera scura che li circondava. Jimin poteva vedere benissimo quanto fosse eccitato e trepidante al pensiero della cerimonia il giorno seguente, e capiva perfettamente il motivo di tutta quell'emozione.
Quasi lo invidiava, in tutta la sua contentezza e il suo sollievo nell'avere la certezza che Jungkook fosse l'unico con cui avrebbe potuto condividere un tale rapporto, l'unico che avrebbe potuto avere come suo partner.
A Jimin restava solo un mero ricordo di cosa significasse provare quelle emozioni con qualcuno, cosa significasse sentirsi uniti a tal punto da percepire l'altro come un estensione del proprio corpo, e soprattutto cosa significasse avere così tanta fiducia in una persona da dimenticare ogni paura.
Quella era la serata di Taehyung e se la stava godendo al meglio. Rifletté se fosse forse il caso di smetterla, almeno per una sera, di essere un cinico egoista e lasciare che il suo amico si divertisse senza restarsene col muso in un angolo.
Per una volta, Jimin pensò che forse Tae avesse ragione, che l'indomani tutto sarebbe andato per il verso giusto e che gli sarebbe stata assegnata un'Arma perfetta per lui. Forse tutte quelle ansie innecessarie erano solo l'eco di un trauma lontano, e in quanto tali era giusto annullarle completamente e godersi quella festa.
Perciò, quando Taehyung lo prese per mano, il suo palmo sudato e freddo per aver stretto a lungo il bicchiere del drink, Jimin si lasciò trascinare al centro della sala per ballare sulle note di una qualche canzone anni '80.
Sarebbe andato tutto bene. Jimin non doveva preoccuparsi.
Da domani avrebbe avuto ufficialmente un'Arma, ed ogni obiettivo che si era prefissato non gli sarebbe più parso così lontano.



Jimin si stava preoccupando eccome. Ogni parvenza di sollievo provata la sera prima, i suoi buoni propositi e la sua motivazione erano andati scemando nel momento esatto in cui aveva messo piede nella sala della cerimonia.
Era immensa, adibita con un piccolo palco su cui sarebbero stati chiamati uno ad uno e addobbata con festoni neri e oro, i colori della Souls Selection Academy.
Su un tavolo al centro del palco c'erano numerose file di bracciali dorati e neri, quelli che Meister ed Arma si sarebbero scambiati una volta selezionati come coppia di cacciatori.
L'idea di scambiarsi dei bracciali aveva sempre fatto sorridere Jimin, perché gli sembrava una sorta di matrimonio. Da una parte, però, non era del tutto errato: si trattava comunque di una promessa fatta tra due persone che avrebbero dovuto proteggersi a vicenda, fidarsi l'uno dell'altro ciecamente e fare affidamento su un'ottima collaborazione per raggiungere traguardi meritevoli. L'unica cosa che mancava era l'amore, ma non era detto che neppure in tutti i matrimoni ci fosse. Decise di lasciar perdere quelle riflessioni sdolcinate.
Jimin era un fascio di nervi vivi, tesi, sul punto di lacerarsi tanta era la tensione che lo attanagliava e gli faceva bruciare ogni fibra del corpo. Si costringeva a restare seduto con la schiena dolorosamente dritta, in una postura innaturale e per niente disinvolta, con lo sguardo fisso su quei bracciali luccicanti, come se rappresentassero l'emblema della sua paura più grande e racchiudessero nella loro superficie argentea la causa di tutti i mali.
Detestava sentirsi così agitato in un giorno speciale come quello; ancora ripensava al sorriso di Taehyung la sera prima e a come fosse evidentemente felice per la sua Assegnazione. Ed inevitabilmente paragonava l'atteggiamento di Tae con il proprio e si sentiva uno stronzo con se stesso perché non riusciva a godersi una cosa così unica e significativa per colpa dei suoi stupidi pensieri negativi e di tutte quelle ansie di cui non si sarebbe mai liberato.
Jimin era un grandissimo stronzo.
Taehyung non era seduto al suo fianco, poiché i posti erano precedentemente stati assegnati, perciò non poteva nemmeno fare affidamento sulla sua parlantina inarrestabile — e la maggior parte delle volte irritante — per distrarsi un po' da tutto quel nervosismo.
Determinato nel voler smaltire un po' di tensione e, già che c'era, sgranchirsi anche un po' i muscoli contratti per via del suo stato d'animo turbato, Jimin decise finalmente di alzarsi e andare a cercare un po' di consolazione nell'unico rimedio quasi del tutto infallibile per ogni pena: l'alcool.
Trovò l'antidoto alla sua ansia pochi metri più in là, disposto ordinatamente e in modo parecchio invitante su un tavolino da buffet. Senza la minima esitazione, afferrò un bicchiere e vi versò quello che credeva fosse vino rosso. Un vino rosso terribile, come scoprì tristemente dopo il primo sorso che gli fece pizzicare fastidiosamente la gola. Lo mandò giù a forza, senza demordere, ripetendosi che fosse per un bene più grande e che il suo sacrificio non sarebbe stato invano.
Il primo bicchiere terminò con non pochi sforzi, ma Jimin non si arrese e afferrò nuovamente la caraffa per versarne un secondo. Proprio nell'istante in cui il liquido oltrepassò il bordo del bicchiere, qualcosa di molto violento e molto duro lo urtò da davanti, facendo ribaltare il bicchiere che stringeva tra le dita e schizzare il liquido rosso dal sapore a dir poco sgradevole interamente sulla camicia bianca che Jimin indossava sotto la giacca elegante.
Per qualche secondo, rimase come interdetto e impassibile, mentre la sua mente impiegava quel poco tempo necessario a registrare la situazione, assimilare ciò che era successo e realizzare le conseguenze di quell'incidente.
Jimin sgranò gli occhi, allarmato e senza parole, sollevandoli avanti a sé per vedere che nome avesse il suo incidente.
"Yoongi," ringhiò a denti stretti, serrando con più forza le dita attorno al manico della caraffa di vino. "Piccolo bastardo."
"Oh, cazzo."
"Sono io quello che dovrebbe dire oh, cazzo. Bastardo."
L'espressione sul volto di Yoongi non sembrava minimamente dispiaciuta dell'accaduto, come confermava il mezzo sorrisetto divertito che stava tentando a tutti i costi di trattenere.
Jimin era così furioso che avrebbe volentieri spaccato la brocca di vino contro i denti di quel coglione.
La sua camicia era quasi completamente macchiata di rosso. E la cerimonia doveva ancora iniziare.
"Scusa, angelo," Yoongi sfoggiò un sorriso bianchissimo da copertina; peccato che il titolo della rivista fosse Prendiamo per il culo Jimin.
"Come cazzo pensi che mi possa presentare all'Assegnazione conciato così?!" gridò, scegliendo di poggiare la brocca nuovamente sul tavolo per evitare di lanciarla seriamente in faccia a Yoongi. Non aveva bisogno anche di questo in una giornata del genere. Non aveva bisogno che qualcun altro, oltre a se stesso, lo facesse sentire una merda e gli rovinasse l'umore.
Yoongi, con tutta la nonchalance del mondo, fece spallucce. "Problema tuo."
Jimin non ci vedeva più dalla rabbia. La sentiva ribollire ovunque, in ogni parola che gli gonfiava le corde vocali e non vedeva l'ora di essere sputata fuori con quanta più cattiveria possibile.
"Mi sorprende vederti ad una cerimonia del genere, dato il tuo egoismo. Chissà a quale malcapitato avrai la fortuna di essere assegnato."
Yoongi incrociò le braccia al petto e sogghignò, forse addirittura più divertito di prima, "Almeno non dovrà stare con un frigido senza palle come te."
"Quello di cui ti vanti non è coraggio. Sei solo un montato spericolato e senza giudizio che ha fretta di farsi ammazzare. E questa tua imprudenza, dopo oggi, non ammazzerà solo te."
Durante le lezioni, Maestri d'Armi e Armi non si addestravano nella stessa classe, poiché entrambi richiedevano un certo tipo di preparazione che differiva a seconda del ruolo che avrebbero poi ricoperto. Nonostante ciò, Jimin aveva avuto il dispiacere di conoscere Yoongi durante alcune delle lezioni generali che si tenevano una volta al mese e a cui partecipavano tutti gli studenti, senza distinzioni per via di particolari requisiti. Si trattava perlopiù di lezioni teoriche, in cui venivano date informazioni su vari tipi di demoni o spiegati alcuni fenomeni e tecniche che sarebbero serviti durante un combattimento, come ad esempio la Risonanza.
Jimin lo aveva notato subito: il classico tipo di persona che pensa di essere già ad un livello pari alla perfezione e che quindi si sente in diritto di dormire durante tutte le ore di lezione perché ormai non ha più nulla da imparare. Yoongi non portava mai neppure un libro, o semplicemente una penna e un foglio su cui prendere appunti. Se ne stava lì, in uno degli ultimi banchi in fondo alla classe, a sonnecchiare con la faccia premuta contro la superficie del banco. Penoso.
Ogni tanto si presentava con qualche livido in faccia, un labbro spaccato, o un naso più gonfio del solito. Jimin poteva solo immaginare cosa avesse fatto per procurarsi quel tipo di ferite, e ciò non faceva altro che aumentare il suo disgusto nei confronti di un tale individuo. Per non parlare del fatto che Yoongi sembrava averlo preso di mira; non sapeva se fosse per via degli sguardi carichi di disapprovazione e fastidio che a volte non poteva fare a meno di rivolgergli, o semplicemente perché Jimin — come avrebbe dovuto fare chiunque si trovava alla SSA — studiava con costanza e seguiva le lezioni attentamente e quindi era stato etichettato come "secchione" da chi, dal canto suo, non faceva il minimo sforzo per partecipare, se non quello di trascinare il proprio culo egocentrico e pigro su una sedia quando il limite delle assenze iniziava ad assottigliarsi.
Jimin non provava alcuna stima per persone del genere e, purtroppo, il suo carattere gli impediva di lasciar correre determinati comportamenti e farsi i propri affari, perciò aveva alimentato l'antipatia di Yoongi nei suoi confronti esprimendo la propria severa opinione, criticandolo talvolta durante una conversazione, o facendogli notare atteggiamenti sbagliati, o anche solamente fissandolo dall'alto al basso con sdegno. E quindi era un continuo battibeccare e guardarsi male ed essere a un passo dallo sputarsi vicendevolmente in faccia con disprezzo.
Ciononostante, mentre il modo di reagire di Jimin era più pacato e sottile, quello di Yoongi era tutt'altro.
Non che Jimin non provasse un'irrefrenabile voglia di prendere Yoongi per il collo e spaccargli la testa contro il muro ogniqualvolta osava fare lo stronzo con lui, ma riusciva in ogni modo a celarlo, lasciando che la sua ira si dissipasse come un veleno che il suo corpo secerneva, per poi mordere l'avversario come un serpente fulmineo. Lo avvelenava goccia dopo goccia, parola dopo parola, caricandolo sempre di più, fino a quando il liquido incendiario che aveva iniettato entrava in circolo e faceva collassare ogni organo.
Yoongi era molto più istintivo, più violento, più fisico. Sapeva giocare con le parole, lanciare frecciatine quando serviva, ma arrivava ad un punto in cui era troppo carico da accontentarsi di quelle semplici scaramucce, e quindi cercava un approccio più diretto, corporeo, brutale. C'era anche da aspettarselo, data la sua muscolatura promimente nonostante l'altezza nella media, oltre al fatto che fosse un'Arma e che quindi l'attacco fosse ciò che conosceva meglio e che, probabilmente, gli riusciva senza problemi.
Jimin poteva ormai contare numerose volte in cui era stato sul punto di prendere un pugno; in mezzo ai corridoi, alla fine della lezione, fuori dalla Souls Selection Academy, dopo un commento scomodo che si era lasciato sfuggire, o per averlo corretto davanti agli altri. Nonostante il rischio che sapeva di correre — e la consapevolezza che, nel caso in cui Yoongi avesse realmente deciso di tappargli la bocca con le proprie nocche, avrebbe avuto ben poche possibilità di vittoria, dal momento che Jimin era notevolmente più debole e più minuto di corporatura —, Jimin non si era mai tirato indietro davanti all'opportunità allettante di insultare Yoongi.
Probabilmente erano entrambi solo due teste calde: Jimin troppo saccente, e Yoongi troppo strafottente. A quanto pareva, però, non c'era verso che uno dei due si arrendesse. Forse, addirittura, sarebbero andati avanti così per sempre.
Ma rovesciare sulla sua camicia bianca del vino rosso poco prima dell'Assegnazione era qualcosa che Jimin non poteva minimamente tollerare. Yoongi aveva davvero superato il limite.
"Prima però dovrò essere sconfitto. Perciò stai tranquillo che non morirò così facilmente," rispose Yoongi. "Vorrei poter dire lo stesso di te, angelo."
Ed eccolo di nuovo con quel soprannome ridicolo. Yoongi lo guardava, dal suo metro e settanta di menefreghismo e stupidità, gli occhi neri e i capelli ancora più neri, a rappresentare perfettamente lo sporco che nascondeva dentro di sé. E mentre nelle sue iridi leggeva chiaramente quanto tutta quella situazione lo stesse intrattenendo, notò che la tensione accumulatasi nei suoi avambracci, solcati da numerose vene in rilievo, raccontasse tutt'altra storia. Era irritato.
Jimin si sentì almeno in parte ricompensato nel sapere che le sue parole avevano almeno un po' ferito quel bastardo. Se lo meritava.
Gli concesse un'ultima occhiata, sempre carica dello stesso ribrezzo che gli trasmetteva ogni volta, e poi disse:"Sai cosa? Io potrò anche salire su quel palco con una camicia macchiata. Ma tu ci salirai con la consapevolezza di non meritare niente di tutto ciò."
Con uno scatto, si voltò ad afferrare il bicchiere di vino che aveva lasciato sul tavolo, finendo di versare il liquido che poi era schizzato sui suoi vestiti. Ne prese un sorso e, senza guardarsi un'ultima volta alla spalle, tornò a sedersi.
Moriva dalla voglia di gustarsi l'espressione sul volto di Yoongi, ma non gli diede la soddisfazione di degnarlo di un ultimo sguardo.



Jimin era di nuovo seduto al suo posto, in attesa, con una camicia irrimediabilmente macchiata e la stessa preoccupazione di poco prima stanziata in fondo allo stomaco, in un punto indefinito dell'intestino, anche se la rabbia e l'adrenalina provate per la discussione con Yoongi avevano in qualche modo alleviato la sua ansia, lasciandola passare in secondo piano. Era così concentrato sul pizzicorio che sentiva formicolare nelle estremità di ogni suo arto che l'Assegnazione gli appariva come qualcosa di secondario in quel momento. I suoi pensieri turbolenti sulle minime cose che sarebbero potute andare storte erano stati sostituiti da monologhi incazzati sul perché Yoongi fosse così stronzo e presuntuoso. Non voleva ammetterlo, ma forse doveva essere in parte grato a quel bastardo senza cervello per aver spostato la sua attenzione su qualcosa di superfluo e insignificante come quelle riflessioni, piuttosto che su cose ben più serie.
Ormai mancava poco. Pochissimo.
Con la coda dell'occhio captò qualcuno alla sua destra salutarlo da una fila più avanti della sua. Scacciò le parolacce che gli affollavano la mente per focalizzare le sue iridi in quel punto; Jungkook sventolava il braccio in aria con un sorriso, cercando di farsi notare da Jimin.
Indossava un papillon blu che si intonava al colore delle punte dei suoi capelli, e a Jimin venne quasi da sorridere per quanto quell'abbinamento assurdo fosse una cosa proprio da Jungkook. Taehyung non era vicino a lui, forse sperduto nelle ultime file.
Jimin ricambiò il saluto con una semplice alzata di mano. Anche Jungkook sembrava particolarmente contento — non che ci fosse un solo giorno in cui non lo era. Quel ragazzo era un concentrato rivoltante di positività, arcobaleni e altre cazzate varie. Non capiva come potesse qualcuno che possedeva tante gentilezza e affetto andare ad ammazzare demoni nel tempo libero.
Taehyung e Jungkook erano una coppia perfetta, bilanciata in ogni più piccola parte, amici sin da bambini e compagni d'avventura da sempre, uniti in tutto e per tutto. Jungkook era il motore, colui che alimentava il tutto perché funzionasse al meglio, sempre energico e inscalfibile; Taehyung era la macchina, che agiva spinta dall'aiuto del carburante messo in circolo da Jungkook, che a volte si lamentava di non potercela fare e di non essere abbastanza, tenendo entrambi con i piedi per terra, ma che alla fine si faceva trasportare dalla forza d'animo di Jungkook e scopriva che ciò di cui aveva paura non fosse poi così inarrivabile.
Mentre pensava ai sorrisi che avrebbe visto sui loro volti quando si sarebbero scambiati i bracciali, di colpo le luci si spensero e il silenzio calò nella sala. La cerimonia stava iniziando.
Tutti i sentimenti negativi che per pochi minuti benefici lo avevano abbandonato tornarono da lui con l'impeto di una tempesta, spazzando via ogni sua sicurezza e ogni appiglio che credeva di aver trovato seduto su quella poltrona. Non era pronto.
Il direttore della SSA comparve sul palco ed iniziò un discorso di cui Jimin non riusciva a capire neppure una parola, ogni suono ovattato nella sua testa, i rumori confusi sotto il battito assordante del proprio cuore impazzito. Era spacciato.
Il comitato di tutti i professori si era riunito poche ore prima dell'evento per decidere quali Armi sarebbero state assegnate ad ogni Meister, basandosi su parametri a lui sconosciuti, ma quasi sicuramente orientati a trovare individui che potessero essere maggiormente compatibili, sia in fatto di dinamiche che in fatto di capacità. Avevano accuratamente analizzato ogni studente lì presente, valutato e rimescolato, studiato e soppesato, per giungere ad un compromesso pressoché perfetto e infallibile.
Jimin sapeva che fosse da sciocchi preoccuparsi ed avere così poca fiducia nelle scelte che i professori avevano fatto; in anni e anni che la SSA esisteva, i Maestri d'Armi più anziani avevano sempre fatto un ottimo lavoro nel dare vita a squadre invincibili, forti e bilanciate. L'attuale Falce della Morte, non a caso, erano stati proprio studenti di quell'accademia.
"...cento anime di demoni. Insieme, come da anni la Souls Selection Academy si propone di fare, forgeremo nuovi Maestri e nuove Armi, che unendosi potranno mantenere la pace ed eliminare coloro che volutamente si immergono nell'oscurità." Il direttore proseguiva con tono solenne e commosso l'introduzione alla cerimonia. Jimin aveva la pelle d'oca. "Oggi, sono qui riuniti tutti gli studenti che hanno superato la prima fase dell'addestramento e sono pronti ad intraprendere un cammino più arduo ma anche molto più gratificante. Con il nobile patto di affidarvi completamente l'uno all'altro, vi scambierete col vostro compagno il bracciale dell'Assegnazione, ciò che vi ricorderà sempre di avere quella persona al vostro fianco e di doverne proteggere la vita come questi s'impegnerà a proteggere la vostra."
Sembrava facile a dirsi, pensò Jimin, tentato di alzarsi dalla poltrona e scappare dalla sala con la coda tra le gambe. Si passò una mano tra i capelli argentati, cercando di scaricare tutta la frustrazione che provava in quell'unico gesto, ma neppure strapparsi ogni singolo capello sarebbe bastato a placare l'acidità che sentiva corrodergli le interiora ad ogni respiro tremolante che inalava.
Il direttore concluse quella parentesi noiosa con un applauso di cortesia dal pubblico, e poco dopo si avvicinò ai bracciali, sollevandone due alla volta ed iniziando a chiamare i nomi delle nuove coppie.
Jimin stava letteralmente impazzendo, pietrificato sul posto, così immobile che gli pareva assurdo il caos che sentiva dentro il petto. Non riusciva ad esternare il suo panico, non riusciva a muovere un singolo muscolo, le orecchie gli fischiavano e la testa gli girava. Non sapeva come si sarebbe alzato, come avrebbe riconosciuto il proprio nome sopra al rumore che gli bombardava le tempie, come sarebbe sopravvissuto quando avrebbe scoperto chi sarebbe stato il suo partner.
Era tutto così surreale che desiderava solamente svegliarsi sudato nel proprio letto. Per un momento, desiderò mollare ogni cosa ed arrivò perfino a pensare che uccidere demoni non fosse un'impresa così indispensabile. D'altronde, c'erano tanti giovani pronti a combattere e a farsi avanti, non sarebbe successo nulla se lui avesse rinunciato e si fosse tirato indietro, avrebbe sempre potuto scegliere una vita più tranquilla e iscriversi ad un'università qualsiasi in cui si studiavano cose normali come lettere, o filosofia, o mettersi a lavorare in qualche ufficio, o addirittura in quel ristorante che aveva letto stesse cercando del personale, la paga sembrava anche abbastanza buona e si sarebbe potuto permettere l'affitto e una macchina decente e—
"Park Jimin," tutto si fermò in una staticità disgregante, "Maestro di Spada."
Era il suo nome. Quello era il suo nome.
Il respiro che aveva cercato di inspirare gli rimase incastrato in gola e non ne voleva sapere di scendere. Più deglutiva e più si sentiva soffocare, affannato dalla consapevolezza che quel momento fosse ormai arrivato.
Doveva salire sul palco. Doveva alzarsi e camminare e prendere il bracciale e— porca puttana. E mettere il bracciale alla sua nuova Arma.
Come se avesse inserito l'autopilota, Jimin si sollevò sulle proprie gambe ed iniziò ad attraversare la distanza che lo separava dal palco con grandi falcate. Non si accorse neppure dei gradini che salì per giungere accanto al direttore, o del breve applauso che gli fu riservato. Tutto ciò che vedeva erano le luci abbaglianti dei riflettori puntati sopra di lui, a fargli bruciare gli occhi. Non sapeva più se stesse respirando o meno, si sentiva come se stesse galleggiando nell'aria e il suo corpo non fosse più fatto di pelle e ossa, ma di aria e paura.
"Signor Park," ruotò la testa di scatto quando si sentì chiamare, gli occhi sgranati ed un'espressione stordita sul volto. "Vuole dire qualcosa?"
Boccheggiò un paio di volte senza trovare le parole o l'ossigeno necessario per pronunciarle, così si limitò a scuotere la testa. Non riusciva a distinguere i volti dei presenti seduti davanti a lui. Gli apparivano come una massa informe di corpi i cui lineamenti si mescolavano disordinatamente come in un quadro di Picasso. Avrebbe voluto cercare il conforto di un volto familiare come quello di Jungkook, o di Taehyung, ma non ci riusciva. Si sentiva totalmente perso.
Quando il direttore gli consegnò il suo bracciale dell'Assegnazione, il peso di esso tra le sue dita lo riportò in parte sulla terra ferma, ancorandolo al suolo ed evitando che fluttuasse via. La freddezza del metallo che lo rivestiva sotto i suoi polpastrelli incandescenti era come un soffio di vento fresco serafico dopo essere quasi svenuto in mezzo al caldo asfissiante del deserto. Sospirò, stringendolo più saldamente tra le mani.
"Ed ora, finalmente, l'Arma," annunciò il direttore. Sollevò il secondo bracciale, quasta volta di colore nero piuttosto che oro come quello che era stato dato a Jimin. Si schiarì la gola una sola volta. "Min Yoongi, Sciabola Demoniaca."
Bastò un solo nome, uno solo, e ogni cosa nel mondo di Jimin si frantumò. Improvvisamente, il peso del bracciale tra le sue mani si fece schiacciante, insostenibile, rischiando di trascinarlo giù, sempre più in basso, fin sotto terra.
Le luci dei riflettori scomparvero, il rumore scomparve, tutto scomparve, perfino la preoccupazione per quella stupida macchia sulla sua camicia, che in quel momento gli appariva come un male privo di spessore in confronto a ciò che stava accadendo. Si ritrovò nel buio, da solo, l'unica cosa che vedeva la figura di Yoongi, che avanzava lentamente, titubante, fino a quando lo scintillio del bracciale nero che gli era stato consegnato non rapì momentamente lo sguardo di Jimin. Si ritrovò a fissare il bracciale di Yoongi, poi il suo, poi di nuovo quello di Yoongi.
Non era possibile. Non era vero.
Eppure, in quell'attimo racchiuso nel nulla totale della distruzione delle sue emozioni, gli occhi di Yoongi sembravano più veri che mai. Erano neri, così neri che la superficie lucida del bracciale in confronto sembrava opaca. Ed erano spaventati e stupiti, colmi di così tanta insicurezza e ingenuità come mai aveva creduto di poterli vedere, degli elementi così fuori posto in quello sguardo che era sempre stato fiero e subdolo.
"Per finire," la voce del direttore lo raggiunse come un eco lontano. Il pavimento tremò, o forse furono le sue gambe a tremare, o addirittura la sua intera anima scombussolata e martoriata. Jimin e Yoongi, il buio ad avvolgerli e null'altro. "Scambiatevi i bracciali."
Erano fottuti.

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