Si trattava sicuramente di un errore. Jimin ne era sicuro.
Poteva capitare di confondersi un nome, o anche solamente di leggere il foglio sbagliato mentre annunciavano il corrispettivo partner di uno studente.
Non era nulla di grave, solo una distrazione a cui si poteva tranquillamente rimediare. Quando tutto sarebbe finito, Jimin sarebbe andato a consultarsi direttamente con il direttore e gli avrebbe fatto presente i suoi dubbi, o forse sarebbe addirittura venuto direttamente il direttore in persona a cercarlo per avvertirlo della confusione quando si sarebbe accorto dello scambio.
Proprio così: non c'era bisogno di andare nel panico. Doveva solo aspettare la fine della cerimonia. Tutto si sarebbe risolto.
Jimin cercava di tranquillizzarsi in quel modo, dopo aver abbandonato come un fulmine la sala per cercare conforto in qualche attimo di solitudine. E in quel momento, passeggiando avanti e indietro per il corridoio deserto, credeva di aver finalmente trovato un angolo di pace in tutta quella giornata infernale che sembrava non giungere mai ad un termine definitivo.
Non riusciva a capacitarsene; ogni tanto lanciava uno sguardo incredulo al bracciale attorno al suo polso, la sensazione del metallo contro la sua pelle insolita e leggermente fastidiosa. Il nero del materiale risaltava in contrasto con la sua carnagione pallida e lattea, creando un ossimoro che sembrava voler accentuare l'erroneità di quell'oggetto sul proprio corpo.
Era un errore, non poteva essere altrimenti. Perché non era possibile, non lo era assolutamente, che Yoongi fosse la sua Arma. Non c'era la minima affinità tra di loro, e quello era evidente dopo pochi secondi anche a chi li osservava per la prima volta. A maggior ragione, persone esperte e competenti come i suoi professori non avevano motivo di accoppiarli.
Certo, era anche vero che la specialità di Jimin fosse la spada. E che Yoongi, nella sua forma di Arma, fosse una sciabola. E che probabilmente il loro livello di abilità fosse quasi equo.
Notando tutti quegli aspetti dell'altro lato della medaglia, Jimin iniziava a considerare il fatto che non fosse poi così assurdo e improbabile unire le capacità di Yoongi con le proprie.
No. Erano solo stupide paranoie. Non aveva senso.
Semplicemente non riusciva a capire come... come?
Stava impazzendo.
Dei passi in lontananza e il rumore di una porta che si chiudeva a riecheggiare nel corridoio riportarono brevemente Jimin alla realtà, sottraendolo a quelle domande insistenti che gli stavano bombrardando il cervello da ormai parecchi minuti.
Non si era ancora calmato del tutto, e l'arrivo inaspettato di Yoongi in persona non lo aiutò affatto. Lo vide notare la sua presenza a pochi metri di distanza ed iniziare a marciare verso di lui, avvicinandosi finché non fu a un centimetro dal suo viso.
Jimin non si lasciò intimorire da quella vicinanza e, con fare fintamente strafottente, sollevò il mento con una superbia fittizia e di facciata, restando a fissarlo in attesa che giustificasse la sua presenza nel piccolo spazio vitale che Jimin si era ritagliato. Poi, però, con un attimo di realizzazione che lo lasciò amareggiato, pensò anche che, da quel momento in poi, lo avrebbe avuto molto spesso nel suo piccolo spazio vitale.
Cazzo, no. Doveva smetterla di pensare come se ormai fosse tutto deciso. C'erano ancora un sacco di cose da rivedere.
O no?
'Fanculo. Jimin detestava se stesso per essere la causa principale di ogni suo tormento psicologico.
Yoongi era rimasto in silenzio e lo guardava come se stesse studiando ogni poro della sua pelle, come se Jimin fosse un essere appartenente ad un altro pianeta e la sua esistenza in quel frangente temporale e dimensionale fosse impensabile.
"Non ci credo," fu tutto ciò con cui esordì alla fine.
"Non montarti la testa. Si tratta di un errore."
"Un errore?" pronunciò quella parola come se fosse la vera cosa incredibile di tutta quella situazione. "Sei davvero così ottimista da credere che sia un errore? La SSA non commette errori, angelo."
"Beh, in questo caso sì. Per forza."
Yoongi sbuffò una risata forzata ed esasperata, "Fattene una ragione, Jimin. Non c'è alcun errore."
Era la prima volta che lo chiamava per nome da quando si conoscevano, e quella fu la dimostrazione che Yoongi fosse serio. Più che serio.
Jimin incrociò le braccia al petto, "Allora chiederò una revoca. Farò richiesta per un altro partner."
"Non puoi fare come cazzo ti pare. Non puoi chiedere di cambiare partner, perché non c'è nessun altro studente disponibile. Sono stati tutti assegnati a qualcuno. E' così che funziona."
Yoongi aveva fottutamente ragione, e Jimin detestava ammetterlo. Infatti non lo fece, ma ebbe almeno la decenza di non rispondere e mantenere il silenzio.
"Non guardarmi con quella faccia," riprese Yoongi. "Pensi che io sia contento di questo compromesso? Cazzo, non so cosa darei per non dover affrontare tutta questa situazione di merda."
"Lo stesso vale per me."
Il bracciale al suo polso gli parve improvvisamente più pesante, come se una forza magnetica gravitazionale lo stesse attirando verso quello di Yoongi, con più intensità ora che si trovavano a poca distanza l'uno dall'altro.
Incrociò le braccia ancora di più per contrastare quella sensazione.
"Allora smettila di fare il broncio come i ragazzini," sputò Yoongi.
"Non sei nella posizione di chiamarmi ragazzino, dal momento che il tuo atteggiamento infantile rende questo insulto una frase piuttosto ipocrita."
"Se credi che quest'aria di superiorità ti porterà a non essere schiacciato dal mio potenziale, allora ti sorprenderai quando ti renderai conto che non sei in grado di maneggiare un'Arma del mio calibro."
Jimin quasi scoppiò a ridere, sinceramente divertito, "Del tuo calibro? Ma per favore, scendi dal piedistallo e torna alla realtà. Sei solo un principiante come tutti gli studenti di questa scuola."
"Sicuramente non quanto te."
"Pensi che non sia in grado di farti il culo?" lo sfidò.
Yoongi ammiccò con una scintilla nuova nello sguardo, "Dimostramelo, se ci tieni."
Jimin sentiva il sangue scorrergli più rapido nelle vene e ogni attività del suo organismo accelerare i tempi. Perfino il suo respiro era già più sostenuto, come se ogni fibra del suo essere si fosse preparata in anticipo per quel momento e fosse tesa come la corda di un arco sul punto di scoccare una freccia mortale. Era in sovraccarico dopo aver sopportato quelle montagne russe di emozioni tutto il giorno e per quello si sentiva anche più disinibito.
Contrariamente a quanto chiunque, compreso lui stesso, si sarebbe aspettato, fu proprio Jimin a scagliare il primo pugno.
Yoongi lo schivò per poco, forse sorpreso tanto quanto il mittente di quell'azione perché non credeva che lo avrebbe fatto seriamente. Lo stupore però durò ben poco, perché l'attimo successivo era già subentrato quell'entusiasmo perverso che lo fece muovere fulmineo e contraccambiare il colpo, a sua volta con un pugno.
Jimin non fu abbastanza svelto, e le nocche di Yoongi lo urtarono sul mento, prendendolo leggermente di striscio e fortunatamente provocando pochi danni oltre ad un bruciore istantaneo nel punto in cui il suo gancio era atterrato.
Nonostante lo stordimento, Jimin colse quell'occasione per agire e sfruttare l'effetto sorpresa, mirando allo stomaco piuttosto che al viso.
Stavolta il suo pugno andò perfettamente a segno, e la soddisfazione gratificante che provò non era paragonabile a nulla che avesse già sperimentato in tutta la vita. Lasciandosi prendere troppo a lungo dall'emozione di essere riuscito a colpire Yoongi, e trascurando il fatto che in circostanze del genere ogni istante era prezioso, non vide arrivare il destro che lo prese in pieno sulla bocca, spaccandogli il labbro inferiore. Sentì immediatamente il sapore metallico del sangue sulla lingua.
Jimin non era abituato a combattere così, corpo a corpo, con il solo uso dei propri arti. Yoongi, dall'altra parte, sembrava decisamente più coinvolto e sicuro dei suoi movimenti, come se per lui fosse la prassi.
D'un tratto, Jimin si ricordò delle numerose volte in cui lo aveva visto con un nuovo livido comparso in qualche punto disparato del suo corpo, e ricollegò quegli avvenimenti ad una ragione probabilmente molto simile a quella che li aveva spinti a picchiarsi nel mezzo del corridoio dell'accademia.
Una goccia di sangue gli cadde sulla maglietta, mescolandosi al rosso del vino di prima.
"Già stanco, angelo?" Yoongi aveva gli occhi sgranati, le nocche così strette da risultare pallide, ed un entusiasmo malato che dava al suo volto un'espressione macabra e spietata. La violenza per lui era come un carburante, e Jimin se ne rese conto quando capì che ogni colpo da lui assestato non aveva fatto altro che aumentare il desiderio logorante di Yoongi di vedere altro sangue versato. Ogni colpo preso non era una piccola sconfitta, bensì un incentivo ad essere ancora più distruttivo nei confronti di Jimin.
Ignorando il bruciore lancinante alla bocca e la mascella indolenzita, si sforzò di raccogliere tutta l'energia che aveva ancora in corpo per gettarsi con un grugnito rabbioso verso lo zigomo prorompente di Yoongi; quest'ultimo non si lasciò sopraffare dai movimenti rallentati di Jimin e riuscì a prevedere il punto in cui avrebbe mirato. Sollevò l'avambraccio per attutire l'attacco e pararsi dall'impatto.
Tutto accadde così velocemente da lasciare entrambi spiazzati: le loro braccia vennero a contatto e, di conseguenza, anche i bracciali complementari che li adornavano. Nell'urto, il metallo di essi risuonò con uno stridore assordante che dilaniò i timpani e costrinse i due ragazzi a strizzare gli occhi e a digrignare i denti per l'insopportabile fragore. Nonostante avesse le palpebre chiuse, Jimin fu quasi certo di captare brevemente una scintilla lucente emanata dai bracciali e, poco dopo, qualcosa simile ad una scarica elettrica gli risalì per la spalla, facendolo urlare di dolore quando gli si insediò fin dentro il cervello.
Avvertì in lontananza anche il lamento ferito di Yoongi e, quando quell'attimo di stordimento passò e il formicolio della scossa si dissolse, Jimin riaprì gli occhi e si rese conto di trovarsi per terra, con un respiro affannoso sul collo che non era il suo.
Yoongi era sdraiato sotto di lui, altrettanto scombussolato dall'accaduto, e un paio di chiazze di sangue gli si allargavano all'altezza della clavicola. Jimin si scosse rapidamente da quel momento di stasi e confusione, rendendosi conto che fosse il suo sangue quello a sporcare la pelle di Yoongi, che continuava a grondare dal suo labbro ferito. Provò ad alzarsi frettolosamente, cercando di far aderire il meno possibile le sue gambe inerpicate con quelle di Yoongi.
Quando però fece leva sul proprio braccio, avvertì una fitta potentissima all'osso, e si domandò se in qualche modo si fosse rotto. Preoccupato, abbassò il suo sguardo nel punto dolorante, rendendosi conto che non presentava alcun tipo di lesione, piuttosto sembrava che la causa di quel male tremendo fosse la vicinanza col bracciale di Yoongi.
Terrorizzato, indietreggiò fulmineo strisciando sul pavimento, fino ad urtare con la schiena la parete alle sue spalle. Vi si premette contro, il fiato corto e il petto a sollevarsi irregolare, mentre le sue pupille cercavano ancora con timore qualche segno di lesione attorno al polso.
Yoongi appariva altrettanto provato, sibili angosciosi a lasciargli le labbra arricciate attorno ai denti serrati con forza, mentre con l'altra mano si stringeva il braccio colpito.
Poi vi fu un attimo, dopo quel silenzio lungo ed escoriante, in cui si guardarono, entrambi spaventati ma in parte ancora mossi da un'ombra di quella rabbia che avevano cavalcato fino ad un attimo prima.
"Che cazzo hai fatto?!" gridò Yoongi, ancora immobile sul pavimento, le sopracciglia aggrottate e i capelli neri a calargli davanti agli occhi furiosi.
"Non ho fatto un bel niente. Non so cosa sia successo."
"E allora che cazzo è stato quello?"
"Non lo so! Non lo so, cazzo..." Jimin si portò una mano tra i capelli, ignorando la sensazione di sudore ad appiccicarglisi alle dita. "Sono questi fottuti bracciali che—"
"Jimin!" un urlo proveniente dal fondo del corridoio fece voltare entrambi di colpo. La porta che dava alla sala della cerimonia era spalancata e numerose teste di studenti facevano capolino, probabilmente attirati dal trambusto che avevano causato.
"Jimin!" la voce di Taehyung si levò sopra al mormorio incuriosito della calca e, poco dopo, sbucò anche il suo corpo a farsi strada tra la gente ammassata. Gli corse immediatamente in contro e lo afferrò da sotto le braccia per sollevarlo da terra, avvolgendogli le spalle per supportarlo. Guardò anche la figura di Yoongi che, nonostante non avesse ricevuto l'aiuto di nessuno, sembrava non avesse problemi a rialzarsi da solo. I suoi occhi corsero nuovamente al volto tumefatto di Jimin. "Che cazzo avete combinato? Ti ha dato di matto il cervello, per caso?"
Jimin non aveva neppure le palle per guardarlo in faccia. Si sentiva come un bambino bullizzato da cui la madre pretendeva spiegazioni.
Fu Yoongi a rispondere, senza il minimo accenno di ammaccamento nella voce nonostante il casino in cui era stato coinvolto, "Oh, quindi anche gli angeli stessi hanno un angelo custode."
Taehyung gli rivolse un'occhiata rabbiosa, "Fai meno lo spiritoso, Min."
Tutto ciò che ricevette in cambio fu la solita risatina fastidiosa di scherno che ormai Jimin conosceva a memoria. Cercando di preservare un minimo d'orgoglio e acceso dalla necessità di difendere il suo amico, Jimin scansò con la mano il braccio di Taehyung che lo sosteneva, dirigendosi nuovamente sotto al brutto muso di Yoongi.
"Sei un sadico testa di cazzo. Ora che hai ottenuto ciò che volevi, stammi lontano."
Yoongi lo fissò senza dire nulla per una manciata di secondi, poi scattò in avanti e lo afferrò per il colletto della camicia. Un sussulto scandalizzato si levò dalla folla e Tae si mosse subito per frapporsi tra i due, ma la presa di Yoongi non si allentò minimamente.
"Se pensi che questo sia abbastanza per me, ti sbagli di grosso."
Jimin era un fascio di nervi scoperti e ipertesi. Provava una rabbia che mai credeva di aver sperimentato in tutta la sua vita, mai per un altro essere umano. Tutta la delusione, la paura, lo sconvolgimento e l'ira provati nell'arco di quella singola giornata gli salirono alla gola pungenti, in un ammasso di bile amara che gli corrodeva il palato.
Lo sputò contro la maglia di Yoongi, imprimendovi tutto il suo disprezzo assieme al colorito metallico del sangue nella sua bocca.
Il volto di Yoongi si contrasse nuovamente in una smorfia delirante di cattiveria, ma fece appena in tempo a sollevare il pugno che avrebbe voluto scagliare contro il volto di Jimin prima che un grido tuonante riecheggiasse per tutto il corridoio.
"Fermatevi!"
Quando si voltarono, furono accolti dallo sguardo intransigente e furioso del direttore, che avanzava a passo spedito verso di loro.
Merda, ora sì che si metteva male.
"Cinquantadue anni," un colpo alla scrivania, "Cinquantadue anni che la Souls Selection Academy esiste e mantiene la sua posizione di prestigio come miglior scuola di addestramento anti-demoni."
Il direttore sospirò sconsolato, tacendo per pochi attimi, prima di sbattere nuovamente il palmo contro il legno della scrivania, facendo sobbalzare i due ragazzi seduti di fronte a lui. "E dopo cinquantadue anni, voi venite a dirmi che abbiamo commesso un errore? Non esistono errori in quest'accademia, e chi li commette paga con la vita."
Jimin si sentiva così mortificato e insignificante da provare l'impulso irrefrenabile di scoppiare a piangere davanti al direttore e supplicarlo di perdonare il loro atteggiamento e l'aver anche solo lontanamente pensato che si trattasse di un errore. Yoongi, dal canto suo, sembrava quasi impassibile e disinteressato, se non fosse stato per il piede che continuava a battere ripetutamente a terra e che tradiva chiaramente il suo nervosismo. Jimin si domandò se fosse urtato per la ramanzina, per l'umiliazione o ancora per il litigio di poco prima. Dubitava che qualcuno come Min Yoongi potesse provare vergogna o un sentimento qualsiasi che fosse così fragilmente umano; anzi, era fermamente convinto che, se avesse potuto, avrebbe messo i piedi in testa perfino al direttore stesso, per il puro gusto di dimostrare nuovamente che fosse il migliore ad un mondo che se ne sbatteva altamente del suo complesso di superiorità e delle sue manie di protagonismo.
Jimin avrebbe voluto dare un calcio alla sua gamba per interrompere al più presto quell'odioso scricchiolio che ormai gli era penetrato nelle orecchie. Non riusciva a concentrarsi su nient'altro che non fosse il piede di Yoongi che faceva su e giù incessante.
"Sia io che la commissione riunitasi appositamente in vista dell'Assegnazione, riteniamo che un Maestro di Spada con delle potenzialità come quelle del qui presente signor Park possa essere in grado di gestire la Sciabola Demoniaca del signor Min. Per cui, senza ombra di dubbio alcuna, siete stati rispettivamente assegnati l'uno all'altro."
Il direttore si sistemò gli occhiali sulla punta del naso, come se gli servisse per osservare meglio i due ragazzi, o solamente in un gesto dettato da una deformazione professionale. Poi, con occhi indagatori, riprese:"Non sottovalutate il reale significato dei bracciali che indossate. E, soprattutto, non sottovalutate il vostro compagno. Ciò che è accaduto nel corridoio poco fa merita di essere punito esclusivamente con l'espulsione immediata da questa accademia. Ciononostante, voglio essere clemente. Ci tengo in ogni caso a ribadire che, dovesse mai ripresentarsi un episodio del genere o qualsiasi forma di comportamento inammissibile, dovrete dire addio al vostro posto in quest'edificio e al vostro sogno di diventare Falce della Morte. Intesi?"
Jimin voleva solamente sparire. Voleva uscire da lì a testa bassa, con la coda tra le gambe, e dimenticare quello che era accaduto.
"Sissignore," assentì Yoongi, con tono non troppo convinto e velato da una nota appena percettibile di scarcasmo.
Il direttore sospirò ancora, per niente soddisfatto, ma non insistette oltre. "Potete andare."
Entrambi scattarono subito in piedi e si avviarono verso la porta, ma non fecero in tempo a varcarla che furono nuovamente richiamati.
"Ah, quasi dimenticavo," si voltarono un po' riluttanti, osservando da lontano la figura del direttore affondato nella sua sedia in pelle nera, mentre si rigirava una penna tra le dita, "Se non vedrò progressi entro i prossimi tre mesi e non avrete eliminato almeno dieci anime di demoni sino ad allora, sarò costretto ad espellervi seduta stante."
Cristo santo. Come cazzo avrebbero fatto a distruggere dieci anime malvagie in soli tre mesi?
Quando riuscirono finalmente ad uscire dall'ufficio del direttore, Jimin aveva le mani che gli tremavano e un senso di nausea che non riusciva a ricacciare in fondo alla gola. Tutta la stanchezza che aveva accumulato fino a quel momento si riversò dentro di lui di getto, privandolo di ogni forza motoria. Quando rischiò di inciampare nei propri passi mentre si allontanava dall'ufficio, sussultò al sentire una mano grande e ruvida afferrarlo dietro al collo, pochi centimetri sotto la nuca, quasi come a volerlo sostenere. Ma la verità era ben diversa.
Yoongi lo strinse troppo forte perché Jimin potesse credere che si trattasse di un gesto disinvolto.
"Ci si vede in giro, angelo," sussurrò vicino al suo orecchio, prima di superarlo e proseguire spedito nel suo cammino, come se non fosse stato coinvolto in una rissa pochi minuti prima e non avesse appena rischiato l'espulsione definitiva dalla SSA.
Jimin lo detestava così tanto.
Rimase a fissarlo, con le palpebre pesanti e i muscoli indolenziti, mentre si allontanava senza mai voltarsi indietro. L'ultima cosa su cui i suoi occhi si posarono prima che girasse l'angolo e scomparisse fu l'impercettibile luccichio del bracciale sul polso di Yoongi.
E provò a ripetersi che quella pesantezza che sentiva gravare sul suo stesso braccio fosse a causa dei pugni, solo a causa dei pugni.
"Amico, ma che cazzo?" fu la prima cosa che Taehyung gli disse quando Jimin uscì dall'accademia. Sarebbe voluto restare da solo ad elaborare tutte le catastrofi che si erano susseguite nella sua vita, ma sapeva di non poter ignorare il suo migliore amico. Tae lo aveva soccorso ed aveva probabilmente anche mollato Jungkook chissà dove per andargli a parlare. Misha ricordò a se stesso di dover essere meno stronzo, almeno con chi non lo meritava, e che per quel giorno aveva già mangiato abbastanza merda da non volerne assaggiare dell'altra.
Sospirò, "Offrimi una birra."
E così Jimin e Taehyung si erano ritrovati con due Heineken in mano, seduti su una panchina in un parco sperduto in cui giravano più spacciatori che bambini. Il tramonto in lontananza rendeva la luce soffusa del cielo un contorno roseo tristemente adatto all'umore di Jimin, che rimase per qualche minuto a contemplarlo in silenzio, il retrogusto amaro della birra a mandare via quello del sangue, la camicia ancora irrimediabilmente macchiata e un labbro spaccato che faceva male anche solamente quando lo appoggiava contro il vetro del collo della bottiglia. Ma si sentiva relativamente meglio.
Taehyung era lì con lui, al suo fianco, un'espressione chiaramente preoccupata in volto, ma lo conosceva abbastanza bene da non insistere oltre. Sapeva di dover aspettare il momento in cui Jimin si sarebbe deciso a parlare, senza bombardarlo di domande inopportune.
Jimin cercava di assimilare la tristezza che giaceva nel fondo del suo stomaco, da qualche parte tra gli scombussolamenti, lo shock e l'amarezza; sapeva che ci fosse, proprio lì, da qualche parte, a pesare indefinita nel suo corpo, a farlo affondare pian piano sempre di più. Eppure era così rarefatta e ben nascosta che la percepiva solo in parte, solo come un eco di qualcosa che lo chiamava e richiedeva la sua attenzione. Non riusciva a focalizzarvisi più di tanto, né ad abbracciarla com'era sempre stato abituato a fare. Era una tristezza diversa, strana, leggera. E Jimin la detestava ancora di più, se possibile, perché non aveva la più pallida idea di come affrontarla. Sapeva come gestire la disperazione, le lacrime copiose, il buco nel petto ad allargarsi con ogni respiro, il dolore che sembrava parte integrante di ogni sua fibra. Ma quella? Cos'era quella sensazione ambigua che gli bussava alla bocca dello stomaco senza lasciarsi toccare?
Piangere sarebbe stato facile, bello, liberatorio, eppure non sentiva il minimo accenno di lacrime all'interno dei suoi occhi, asciuttissimi e puntati sull'orizzonte. Era spiazzato.
"Sono stato io a colpirlo per primo," esordì infine. Taehyung non provò nemmeno a celare il suo stupore. Non ne aveva bisogno.
"Non dovevi abbassarti al suo livello. Hai solo fatto il suo gioco."
"Lo so. Ma ero— Lui era—" esalò un sospiro, come per liberare il passaggio alle parole che non volevano uscirgli e che si stava sforzando di trovare. Non doveva giustificarsi, non voleva farlo. Ma ammettere a voce alta i propri errori era un flagello insopportabile. "L'ho fatto e basta. Mi ha rovinato l'Assegnazione."
"Non sto dicendo che non se lo meritasse..." Taehyung fece una pausa per prendere un sorso di birra, "...ma ora siete nei casini. Anche tu."
"Tae," si voltò a guardarlo negli occhi, l'impronta del riflesso del sole a restargli intrappolata nella retina e a riflettersi sfocata lungo il profilo del suo migliore amico, "Sarei stato nei casini comunque. Come pensi che possa funzionare, tra me e lui? Posso tranquillamente dire addio a tutto questo, ai demoni e alla Falce della Morte. Che si fotta l'intera accademia. Non ho via d'uscita."
"E lascerai che una testa di cazzo rovini il tuo sogno? Il tuo futuro? Non ne vale la pena."
"Io non posso, capisci? Non posso sopportare un solo istante con lui."
"Stai facendo il bambino, Jimin. Questo è solo un capriccio, perché non vuoi metterti in gioco e hai paura del bullo della classe. Non hai bisogno di lui per farcela, ma al tempo stesso non puoi farcela da solo," Taehyung appoggiò la bottiglia di vetro a terra, per potersi concentrare appieno su ciò che stava dicendo, "Credi che Yoongi si tirerà indietro? Assolutamente no. Eppure ti odia quanto tu odi lui, ma non per questo rinuncerà ai suoi obiettivi."
Taehyung aveva fottutamente ragione, e Jimin era uno stupido infantile che si rassegnava di fronte al minimo ostacolo.
"Usalo, Jimin. Usalo per ottenere ciò che vuoi. Nonostante il suo carattere di merda, Yoongi è un'Arma formidabile. E tu sei un Meister formidabile. Sarete la squadra più forte del mondo senza essere neppure una vera e propria squadra."
Fu il sorriso che gli rivolse, colmo di incoraggiamento, fiducia e affetto, che fece crollare Jimin in un abbraccio che Tae accolse prontamente, sorreggendo molto più del peso concreto del corpo di Jimin abbandonato al suo, un peso che gli svuotò in parte quell'affondo allo stomaco che non riusciva a ignorare.
"Ma sappi che io e Jungkook vi daremo un bel po' di filo da torcere," aggiunse Taehyung.
"Oh, cazzo," esclamò Jimin, "Figlio di puttana. Fammi vedere il bracciale."
Subito, con orgoglio e un sorriso raggiante, Taehyung sfoderò il bracciale di colore oro, identico a quello di Jimin. Si abbracciarono di nuovo, presi da un rinnovato entusiasmo, per poi scoppiare a ridere divertiti, la birra dimenticata ai loro piedi contro l'asfalto della strada.
Quando si furono calmati, un ricordo fulminante e sospetto guizzò nella mente di Jimin, che fu colto da un attimo di realizzazione. "Cristo, Tae. Quando stavo facendo a pugni col coglione, è successa una cosa strana ai nostri bracciali. Cioè, almeno credo che siano stati i bracciali..."
"Che cosa?"
"Hanno fatto..." Jimin gesticolò impacciatamente con le mani per simulare un'esplosione un po' goffa e decisamente poco realistica, "Tipo scintille. Non so, è stato un attimo. Ma ha fatto un male cane, ti giuro. Pensavo di essermi rotto il braccio."
"Cazzo. E l'avete detto al direttore?"
"No, certo che no. Non mi sembrava il caso di improvvisare una patetica terapia di coppia dopo aver fatto a botte nel corridoio."
Taehyung sembrò riflettere su qualcosa, portandosi addirittura una mano a grattarsi il mento con fare pensieroso. "Non saprei, amico. Sono solo dei bracciali. Magari sei stato colpito così forte che ti sono comparsi tutti quei puntini bianchi svolazzanti dietro le palpebre ed hai pensato che fossero scintille."
Jimin ridacchiò brevemente, "No, no. Sono sicuro che venissero dal bracciale, qualsiasi cosa fossero. Quando sei stato vicino a Jungkook, dopo che avete ricevuto i bracciali, ti è capitato di sentire una specie di pressione? Un peso?"
"Sì, cazzo. Questo coso è dannatamente pesante. Ora che mi ci fai pensare—"
"No, intendo... come se qualcosa ti stesse tirando verso Jungkook."
Tae sgranò gli occhi, sconcertato, "No. No, amico, niente del genere. Perché—"
"Lascia perdere. Forse sto davvero avendo delle allucinazioni," Jimin scosse la testa, amareggiato.
"Mh... Forse è stata una reazione dovuta alla collisione. Vi siete scontrati, perché vi stavate attaccando l'un l'altro. Ma i bracciali sono complementari, quindi non sono fatti per scontrarsi. Un po' come con le calamite uguali, che se provi a farle toccare c'è tipo una spinta assurda che ti allontana."
Aveva senso. Taehyung lo stava illuminando ogni secondo di più. Jimin era grato di non aver rifiutato il suo aiuto e di non essersi rinchiuso in casa a deprimersi, tra i suoi dubbi e i suoi complessi.
"Può darsi," concordò, "Fatto sta che mi ha messo i brividi."
Taehyung annuì, dandogli una pacca amichevole sulla spalla, come in segno di supporto e compassione, "Trattieniti solamente dal fare a botte di nuovo col coglione. Vedrai che non accadrà più."
Jimin roteò gli occhi al cielo, più scuro di quanto fosse un attimo prima, ma non meno bello.
"Facile a dirsi."
STAI LEGGENDO
Resonance
FanfictionIn un mondo in cui i demoni minacciano l'umanità, la Souls Selection Academy addestra ragazzi di ogni età per sterminarli e mantenere la pace. Solo due di loro potranno però diventare la nuova Falce della Morte, ossia individui potentissimi in grado...