Il profumo di caffè ad accarezzargli i sensi fu la prima cosa che percepì mentre tornava lentamente cosciente e il suo corpo intorpidito dal sonno si svegliava centimetro dopo centimetro.
La seconda cosa fu una scarica di dolore che si propagò fino alla punta dei piedi, come se avesse appena subito un colpo di frusta.
Yoongi grugnì con la faccia premuta contro una superficie soffice, cercando di soffocare i suoi mugolii di sofferenza mentre ogni arto tornava ad irrigidirsi per l’indolenzimento.
Era tremendo. Sentiva un mal di testa prepotente sbattergli contro il cranio e ogni lineamento del suo viso scrocchiare, come se fosse stato paralizzato per anni nella posizione sbagliata. Avvertiva un dolore accentuato nella parte bassa della mascella, che provò ad aprire e richiudere per controllare che fosse ancora saldamente attaccata e funzionante.
Quando provò a tirarsi su per mettersi seduto, una vertigine vorticosa lo colpì, sommandosi al mal di testa terribile che già sentiva annidato all’interno del suo cervello. Combatté contro il senso di nausea, simile a quello provato su una nave in pieno mare mosso, e riuscì a raddrizzare la schiena. Si portò una mano alla testa turbinosa e, quando il suo palmo toccò qualcosa che somigliava ad uno strato di stoffa, aggrottò le sopracciglia confuso. Vi premette sopra un’altra volta, tastandone la consistenza insolita, per poi sentire qualcosa pungere fastidiosamente quando vi poggiò sopra le dita con troppa intensità. Solo in quel momento, riconoscendo il bruciore familiare di un taglio lungo la pelle, ricordò esattamente cosa fosse accaduto la sera prima.
Il magazzino abbandonato, il combattimento, il tizio strafatto di Flusso, il dolore escoriante dei colpi subiti. E poi il suo corpo demolito e inerme a venire trascinato fuori, lasciato in mezzo alla strada, qualcuno che cercava di rianimarlo e poi il suo corpo che veniva trascinato di nuovo.
Gli sembrava quasi di star rivivendo un sogno, così impreciso e confuso, composto da immagini ammassate e buie che non riusciva a rimettere insieme per formare un quadro preciso di ciò che era accaduto esattamente.
Infine ricordava anche il sollievo e la sensazione piacevole di fresco contro la pelle, qualcosa a ripulirlo dal sangue incrostato che gli era rimasto addosso. E la voce di qualcuno, il profumo di qualcuno, le mani di qualcuno che lo sorreggevano.
Sobbalzò improvvisamente, spalancando gli occhi e guardandosi intorno per captare i dettagli del luogo in cui si trovava: era seduto su un divano che non era suo, in un salotto che non era il suo, in una casa che non era decisamente la sua. Le sue ferite erano state medicate, il suo corpo non presentava tracce di sangue, ma era solo cosparso di lividi qua e là. Ruotò il capo spasmodicamente, disorientato e scioccato di fronte a quella realizzazione. Non poteva crederci.
Si immobilizzò quando i suoi occhi irrequieti si posarono su una massa di ciuffi argentati alle sue spalle, leggermente spettinati ma non meno riconoscibili.
“Caffè?”
Jimin non si voltò nemmeno per accertarsi che Yoongi fosse sveglio. Doveva averlo sentito piagnucolare quando era tornato in sé, e quell’umiliante consapevolezza non fece altro che rendere Yoongi ancora più agitato di quanto già non fosse.
Che cazzo avrebbe dovuto fare? Come si sarebbe dovuto comportare?
Era già assurdo e incocepibile abbastanza il fatto che Jimin avesse deciso di aiutarlo e portarlo a casa sua, per di più in quel preciso momento gli stava domandando se aveva voglia di fare colazione con lui. Probabilmente aveva preso una botta troppo forte alla testa e quello ne era il risultato. Non c’era altra spiegazione per quella situazione a dir poco folle e surreale.
“So che vuoi del caffè,” fu Jimin ad insistere, destandolo da ogni dubbio esistenziale su come avrebbe dovuto agire per non commettere qualche irrimediabile cazzata. “Del caffè di prima mattina non si nega neppure alla persona peggiore sulla faccia della Terra.”
Yoongi fece uno sforzo immane per riuscire ad alzarsi in piedi, ed uno sforzo anche maggiore quando dovette compiere quei pochi passi che lo separavano dal tavolo della cucina. Si lasciò praticamente precipitare sulla sedia non appena riuscì a raggiungerla, trattenendo l’ennesimo grugnito afflitto quando sentì le sue ossa protestare.
Jimin si voltò solo allora, una caraffa piena di caffè fumante in mano e due tazze già accuratamente predisposte sul tavolo. Versò quel liquido marrone paradisiaco nella tazzina di Yoongi, che non attese neppure un istante affinché si raffreddasse minimamente e lo ingurgitò in un solo sorso vorace.
“L’acqua è nel frigo,” lo istruì Jimin, e Yoongi non se lo fece ripetere due volte. Zoppicò fino alla meta, per poi attaccarsi alla bottiglia d’acqua fresca come se fosse la prima volta che si dissetava dopo settimane. Sentì immediatamente il liquido benefico purificarlo e ridargli un po’ di vitalità, lavando via ogni residuo di sangue o amaro che aveva ancora in bocca, eliminando anche un po’ di quel senso di nausea che lo opprimeva. Si sentì rinato, e non stava neppure esagerando.
Quando tornò a sedersi al tavolo dove Jimin era rimasto impassibile a sorseggiare il suo caffé, Yoongi sentì un lieve imbarazzo assalirlo. Jimin sembrava totalmente imperturbato, come se non si trovasse in casa sua con Yoongi a fare colazione dopo averlo soccorso pieno di sangue in mezzo alla strada.
Quella calma piatta e sconclusionata non faceva altro che provocare in Yoongi ancora più ansia di quanta già non ne provasse. Come doveva interpretare quel comportamento? E cosa avrebbe dovuto dire esattamente? Era così confuso e allibito da non riuscire a trovare un minimo senso logico a tutto quello.
Sospirò, “Non hai intenzione di chiedermi cos’è successo ieri?”
Jimin sospirò a sua volta, degnandosi finalmente di guardare Yoongi negli occhi dopo aver evitato il suo sguardo tutto il tempo, “Non m’importa di te o di quello che scegli di fare con la tua vita. L’unico motivo per cui ti ho aiutato è stato per ricambiare il favore, dato che hai combattuto quel demone insieme a me. E perché sono una persona più decente di quanto tu creda.”
Ecco la vera natura da stronzo anaffettivo di Jimin che tornava in superficie. Yoongi aveva seriamente creduto che un bastardo del genere avesse fatto qualcosa di sua spontanea volontà per dimostrare un po’ di benevolenza? Quei pugni gli avevano seriamente incasinato il cervello.
Nonostante tutto, il fatto che Jimin lo avesse aiutato restava valido, a prescindere dalle ragioni più o meno nobili che vi si celavano dietro. Perciò Yoongi ingoiò il boccone amaro di parole rabbiose che sentiva spingere per venire sputate fuori, limitandosi a serrare i pugni sotto al tavolo per contenersi.
“Sai, solitamente è quello che fa un’Arma,” disse, “Combattere al fianco del proprio Meister.”
Jimin non rispose, restando immobile, con lo sguardo puntato sulla tazza di caffè, come se in essa avesse potuto trovare la risposta a tutti i suoi tormenti.
Non aprì più bocca da quel momento in poi, dando nuovamente le spalle a Yoongi con la scusa di lavare le tazzine sporche nel lavandino. Il rumore dell’acqua che scorreva fu tutto ciò che Yoongi ricevette in cambio, e fu abbastanza.
Si alzò con non poca fatica, avvicinandosi al divano per infilarsi le scarpe abbandonate ai piedi di esso. Recuperò anche la felpa appoggiata contro lo schienale e si coprì il viso livido e gonfio col cappuccio.
“Ti ringrazio,” bisbigliò, perché se c’era qualcosa che a entrambi non mancava era la sincerità nel mostrare riconoscenza quando ve ne era bisogno.
Senza altre perdite di tempo, barcollò debolmente fino alla porta di casa e se la richiuse alle spalle con un tonfo. Solo allora si permise di alleviare un po’ del peso che sentiva premergli contro il petto con un lungo sospiro liberatorio.
Yoongi se ne andò, il sapore di caffè sulla lingua e un retrogusto amaro di parole non dette.
L’aula era più affollata del solito, poiché durante le lezioni congiunte partecipavano sia i Meister che le loro Armi.
Jimin, tanto per cambiare, non era dell’umore per vedere Yoongi. La sensazione scomoda e sgradevole che gli era rimasta appiccicata addosso dal giorno prima era inesorabile. Non aveva visto l’espressione sul volto di Yoongi quando se n’era andato, ma poteva benissimo immaginarla. E nel farlo sentiva qualcosa di bizzarro attorcigliargli lo stomaco. Cos’erano quei sensi di colpa immotivati? A cosa erano dovuti?
Aveva fatto ciò che avrebbe dovuto fare: aiutare Yoongi, offrirgli le sue cure e il suo divano per riposare, preparargli perfino il caffè la mattina. Allora cosa c’era che non andava? Perché si sentiva così turbato e irrequieto?
Sai, solitamente è quello che fa un’Arma: combattere al fianco del proprio Meister.
Scosse la testa per scacciare l’eco di quelle parole dalla sua mente. Era vero: Jimin aveva una visione distorta del suo rapporto con Yoongi. Nonostante le incompresioni tra di loro e il disprezzo reciproco, adesso erano anche una coppia. Oltre ad essere rivali, Jimin e Yoongi erano Meister e Arma. Quello presupponeva che si comportassero come tali, che agissero come una squadra, che lottassero insieme. Era completamente normale e giusto che lo facessero, ma Jimin non riusciva a superare la concezione che aveva del loro rapporto. Associare i doveri e i ruoli di Meister e Arma alle loro dinamiche era qualcosa che la sua mente non concepiva, che riteneva pazzesco e che non riusciva a mettere da parte nei momenti che richiedevano collaborazione tra di loro. Le loro abitudini tossiche erano tutto ciò su cui si focalizzava, senza andare oltre, senza riuscire a vedere che qualcosa doveva necessariamente cambiare se volevano far funzionare le cose.
Era sbagliato. Era come se Jimin provasse il desiderio di abbattere i propri limiti, ma nel momento in cui doveva mettersi in moto per distruggerli, ne erigesse dei nuovi per proteggersi, perché aveva sempre fatto così e quella era l’unica cosa che conosceva. Il cambiamento lo terrorizzava, lo destabilizzava, gli dava l’impressione che ogni briciolo di controllo che possedeva gli scivolasse via dalle dita come granelli di sabbia al vento.
E Jimin non poteva perdere il controllo, non poteva permetterselo.
“Signor Park,” si sentì chiamare dal professore e immediatamente tornò sull’attenti. “Raggiunga il centro dell’aula assieme al signor Min, per favore.”
Jimin lanciò un’occhiata oltre la sua spalla sinistra, scorgendo Yoongi che si alzava dal suo posto per fare come richiesto. Notò i segni ancora evidenti del combattimento, soprattutto sul suo viso, marchiato da un occhio pesto e da una nuova garza posizionata sopra al taglio sulla fronte.
Cercò di respingere i ricordi del sangue di Yoongi a ricoprirgli le mani, che sapeva lo avrebbero bombardato, e si alzò in piedi.
Quando si trovarono entrambi nel punto indicato, il professore gli chiese di dare la definizione di Risonanza e di spiegare cosa comportasse.
Jimin rispose con facilità, come se il suo cervello avesse inserito il pilota automatico. Concentrarsi su ciò che aveva studiato lo avrebbe aiutato a non pensare ad altro.
“E’ ciò che consente d’intensificare il rapporto tra Meister e Arma, sincronizzando le proprie anime per avere una maggiore efficienza durante il combattimento.”
“Ottimo,” si complimentò l’insegnante. “Ora, so che tutte le coppie qui presenti sono state da poco assegnate, ma oggi vorrei mettere alla prova alcuni di voi e vedere come se la cavano con un primo approccio alla Risonanza. Come sapete, è un processo complesso che necessita di tempo e pratica per essere affinato alla perfezione.”
Oh, cazzo. Jimin si sarebbe aspettato di tutto, tranne che quello. Se c’era qualcosa che lo metteva in difficoltà, era il pensiero di dover risuonare con qualcuno. Non ne sarebbe mai stato in grado così su due piedi, soprattutto in quel momento che provava un disagio estremo nel trovarsi faccia a faccia con Yoongi.
Come pretendeva di riuscire ad aprire la propria anima con tanta facilità, connettersi a quella di Yoongi ed instaurare una connessione stabile tra di loro? Era letteralmente impossibile, e la realizzazione di essere fottuto gettò Jimin nel panico più totale.
L’intera classe notò subito quando s’irrigidì, la mascella serrata e gli occhi fissi su Yoongi, come se gli avesse appena ucciso il cane.
Non voleva. Non voleva lasciare che quel ragazzo instaurasse qualcosa di così importante e profondo con lui, non voleva lasciarlo avvicinarsi alla sua aura e non voleva provare niente di tutto ciò.
Gli altri non capivano, nessuno capiva cosa significasse per lui sottoporsi a qualcosa del genere.
“Signor Park, tutto bene? Vogliamo iniziare?” la voce del professore era distante, fastidiosa, tagliente. No, non voleva iniziare un bel niente. Desiderava solamente che tutto finisse al più presto.
“Jimin?” quella era la seconda volta che Yoongi lo chiamava per nome. L’espressione interrogativa che gli stava rivolgendo e quel tono fintamente preoccupato gli facevano saltare i nervi. Stava per dare in escandescenza. Stava per esplodere un’altra volta, e non voleva ripetere lo stesso errore che aveva commesso il giorno dell’Assegnazione.
Jimin era uno studente modello.
Deglutì il groppo che gli ostruiva la gola, sentendola comunque troppo stretta per ciò che provò a dire con voce esitante, “Credo di non sentirmi bene.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi il professore smise di guardarlo con aria confusa e disse:“Vuole uscire un attimo per—”
“Sì,” esalò, prima ancora che potesse finire la frase.
Sotto gli sguardi sconcertati di tutti i presenti, Jimin si precipitò fuori dall’aula come se stesse riemergendo in superficie dopo aver rischiato di annegare sul fondo del mare. Non appena varcò la porta, si poggiò le mani sulle ginocchia per sorreggere il peso del proprio corpo quando si piegò su se stesso per recuperare un po’ d’aria. L’affanno che lo sopraffaceva era qualcosa che Jimin conosceva fin troppo bene: ne aveva le palle piene degli attacchi di panico.
Cercò di recuperare un battito cardiaco normale e stabile, poi si tirò lentamente su e corse ai bagni in fondo al corridoio. Si sciacquò più volte la faccia con dell’acqua gelida, e rimase a fissare il proprio riflesso grondante e arrossato nello specchio sudicio davanti ai suoi occhi.
Fu pochi secondi dopo che dei passi frettolosi lo raggiunsero.
“Che cazzo stai facendo? Perché te ne sei andato così?”
“Lasciami in pace,” borbottò, senza le forze necessarie per usare un tono di voce più aggressivo.
Yoongi, ovviamente, non lo ascoltò. Gli si avvicinò e lo strattonò per le spalle, costringendolo a voltarsi e a guardarlo dritto in faccia. Jimin vide chiaramente quanto fosse arrabbiato. Non poteva neppure biasimarlo.
“Hai intenzione di addestrarti con me o no? Non ho tempo da perdere con gli sfigati. E pensare che eri proprio tu a dirmi che dovevo impegnarmi di più in classe. E’ così che ci si impegna? Fantastico, allora.”
“Semplicemente non ho voglia di provare la Risonanza.”
“Non hai voglia? Stai scherzando? E te ne vai così solo perché non hai voglia? Sei patetico.”
Cosa poteva inventarsi? Jimin non aveva scuse per ciò che stava facendo. Yoongi aveva pienamente ragione ad essere infuriato con lui perché si stava comportando come una merda, dopo averlo tanto criticato per lo stesso motivo. Ed ora si riduceva a scappare da una lezione senza alcun apparente motivo? Non era da lui. Se ne vergognò immensamente.
“Quando decidi di tornare a comportarti come una persona seria fammi un fischio,” proseguì Yoongi, lasciando andare la presa fervente sulle sue spalle. “E sappi che se in futuro avremo mai dei risultati, non sarà di certo per merito tuo.”
Yoongi lasciò i bagni con falcate ampie e cariche di tutta la sua collera, i suoi passi pesanti a risuonare per il corridoio mentre si facevano man mano più lontani.
Jimin era un perdente. Era arrivato al punto da farsi fare la ramanzina da Min Yoongi, per Dio. Aveva veramente toccato il fondo.
Perché diamine non riusciva ad impegnarsi quanto avrebbe voluto? Lo voleva davvero? Certo, lo desiderava ardentemente con tutto se stesso, era la sua ragione di vita, il suo scopo primario. E allora cosa cazzo lo frenava dal mandare a ‘fanculo tutti quegli scheletri che teneva nell’armadio e dedicarsi anima e corpo — letteralmente — per realizzare tutto quello?
Non poteva più usare Yoongi come capro espiatorio per alleviare le proprie colpe; doveva guardare in faccia la dura realtà e fare a botte con essa, se necessario.
Ma era risaputo che Jimin non riuscisse ad essere mai totalmente onesto con se stesso, perciò aveva bisogno di qualcuno di cui si fidava che avrebbe preso la sua testa dura e l’avrebbe sbattuta ripetutamente contro qualcosa, fino a fargli entrare ogni singola nozione che Jimin volutamente ignorava. E, per fortuna, sapeva esattamente dove trovare quella persona.
“Non ciccare sul divano,” lo ammonì Taehyung, porgendogli un posacenere. Jimin si limitò a picchiettare con l’indice sul filtro della canna per lasciar cadere la cenere in eccesso all’interno dell’oggetto metallico, senza però accennare a prenderlo dalle mani dell’amico. Taehyung roteò gli occhi brevemente, prima di rassegnarsi ai modi di fare evidentemente scortesi di Jimin e poggiare il posacenere sul cuscino del divano, esattamente interposto tra loro due.
Taehyung lo conosceva fin troppo bene, e sapeva che quei comportamenti non erano altro che dei segnali precisi che ci fosse qualcosa che turbava Jimin e lo gettava in quello stato di acidità cronica, in cui diveniva più intrattabile del solito. Ma, rispetto al suo fare cinico e scontroso di sempre, in quei casi Jimin si trasformava in un ammasso di pessimismo cosmico e silenzi intramontabili, limitandosi ad esprimere la propria antipatia attraverso gesti, espressioni o monosillabi che avrebbero reso al meglio il suo disappunto.
“Allora, sei venuto qui per fumare a scrocco o ti va di parlare?” inquisì Tae, cercando di capire se Jimin fosse dell’umore per strafarsi e basta, scoppiando a piangere istericamente mentre si sfogava grazie all’aiuto dell’erba, o si trovasse a casa del suo migliore amico perché aveva finalmente deciso di cercare il suo consiglio come una persona razionale e matura che ha intenzione di rimediare ai propri errori.
Jimin lasciò fuoriuscire il fumo dalla sua bocca sotto forma di sottili striscioline biancastre, guardandolo mentre saliva lentamente fino al soffitto e si dissipava in una nebulosa rada.
“Sono un disastro,” esordì infine, restando a fissare la cartina che si consumava tra le sue dita come se rappresentasse l’emblema di tutti i suoi fallimenti.
Taehyung sospirò. Era anche peggio del previsto.
“Cosa succede?”
“Succede che Min Yoongi esiste e ha deciso di rovinarmi la vita.”
“Jimin, capisco il tuo disappunto e la tua frustrazione... ma dal momento che ormai la situazione è irreversibile, non ti sembra il caso di provare ad andarci almeno un pochino d’accordo? Non sto dicendo che dovete diventare inseparabili, ma semplicemente trovare il giusto equilibrio per convivere.”
Jimin fece un altro tiro svogliato, “Già... Sì... probabilmente hai ragione.”
Taehyung aggrottò la fronte, “C’è qualcosa che non mi stai dicendo?”
“No.”
“Sicuro che il motivo per cui stai così sia solo questo?”
Taehyung si mise più comodo sul divano, incrociando le gambe e rilassandosi contro lo schienale; prevedeva un pomeriggio molto lungo.
Jimin sembrò temporeggiare, guardandosi intorno nervosamente, ispezionandosi una pellicina sulla falange, arrotolandosi un ciuffo ribelle attorno al dito. Poi finalmente si decise a passare la canna a Taehyung.
“Non voglio risuonare.”
“Cosa?”
“Ho detto che non voglio risuonare. Ieri ho mollato la lezione perché dovevamo provare la Risonanza. Ma non volevo. Non voglio.”
“E perché? E’ Yoongi il problema?”
Jimin scosse la testa. Per quanto avrebbe voluto rispondere che sì, era lui il problema, non era affatto vero. “Ne è solo una parte.”
“Allora cos’è che ti frena?” Taehyung abbandonò la canna quasi finita sul bordo del posacenere, rivolgendo tutta la sua attenzione a Jimin. “Amico, la Risonanza è la cosa più bella e unica che Meister e Arma possano provare. E’ come rendersi conto di non avere più mancanze. Ti senti completo, ti senti—”
“Lo so,” lo interruppe. “Lo so, e non voglio sentirmi così. Perché ho paura che sarà diverso, che non sarà la stessa cosa senza—”
Non terminò la frase, ma sapeva che Taehyung avesse capito a cosa si riferiva.
Tae allungò un braccio sullo schienale del divano per avvicinarsi a Jimin. Restò in silenzio per un po’, guardandolo e basta. Poi trovò le parole giuste da pronunciare.
“Devi smetterla di vivere nel passato, Jimin. Hai detto che saresti andato avanti, che lo avresti fatto per il tuo bene, che non avresti trascurato i tuoi obiettivi.”
“E voglio farlo!” rispose con veemenza, “Voglio farlo, cazzo. Ma ricominciare da capo con una persona nuova è... non è lo stesso.”
“E non sarà mai lo stesso.”
Jimin si passò una mano irritata tra i capelli, nel tentativo di dissimulare un po’ di frustrazione e di alleviare il maremoto di emozioni che sentiva crescergli smisuratamente dentro e temeva sarebbe a breve straripato. “Ma ho paura che non sarà abbastanza.”
Taehyung si passò rapidamente la lingua sul labbro inferiore, preparandosi per ciò che avrebbe detto di lì a pochi secondi, senza reticenze e senza delicatezza alcuna.
“Namjoon è morto,” esalò infine. “Ma tu sei qui. E sei tu che devi renderlo abbastanza. Se continui di questo passo non sarà mai sufficiente, non andrà mai bene. La persona che hai accanto non può compensare tutto da sola. Servi tu. E se avrai paura, non sarà mai come dovrebbe essere.”
Jimin annuì, lottando contro il bruciore che sentiva nell’esofago, il pizzicore degli occhi a farsi sempre più insopportabile.
“Tu puoi fare abbastanza, Jimin. Devi solo lasciarti andare.”
Doveva solo lasciarsi andare.
Piangere per ore sul divano di casa di Taehyung, stretto nell’abbraccio consolatorio del suo migliore amico, gli ricordò tutte quelle giornate passate nello stesso identico modo qualche anno prima.
E così, nella penombra della sera che calava placida fuori dalla finestra, avvolto dal fumo nella stanza, Jimin si ripromise che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe pianto per Namjoon.
Tra tutte le bugie di cui si era nutrito fino ad allora, la verità di quel sentimento gli squarciò il petto e lo riempì di qualcosa di cui credeva avesse dimenticato la forma: speranza.
Il palmo aperto e in attesa del buttafuori fu, come sempre, tutto ciò che Yoongi ricevette al suo arrivo. L’uomo robusto all’ingresso non disse nulla, ma alzò un sopracciglio scettico come per dire:“Ancora vivo?”
Le sue ferite non erano ancora guarite del tutto; anzi, dopo così poco tempo gli facevano quasi tanto male come quando gli erano state appena inferte. Ma aveva bisogno di soldi. E aveva assolutamente bisogno di sfogarsi.
La collera che aveva provato nei confronti di Jimin due giorni prima era ancora bruciante sotto la sua pelle incandescente, una fiamma di cui non riusciva a liberarsi. La sentiva scottare, come se stesse cercando d’intrappolare un incendio tra le mani.
Non sarebbe mai riuscito a capire quel ragazzo; che problemi aveva? Perché non aveva voluto provare la Risonanza? Perché non si stava impegnando?
Yoongi odiava perdere, odiava il fallimento, odiava sentirsi impotente e debole, ma soprattutto odiava quando la causa della sua sconfitta era qualcun altro. Non avrebbe lasciato che Jimin e i suoi stupidi complessi gli mettessero i bastoni tra le ruote. Yoongi voleva diventare invincibile, indistruttibile, intoccabile. La sua brama spasmodica di potere era ciò che guidava ogni suo singolo passo, la sua ragione di vita. Aveva sacrificato così tante cose per arrivare dov’era in quel momento, e non avrebbe permesso a nessuno di portargli via ciò che aveva ottenuto dopo tanta agonia.
Jimin si comportava come se lui fosse l’unico a soffrire sulla faccia della Terra, come se il suo dolore non fosse paragonabile a quello di nessun altro, come se ritrovarsi in coppia con Yoongi rappresentasse la sua rovina e avesse perso ogni prospettiva di miglioramento. Ma Jimin era troppo egoista per guardare oltre al proprio naso e ai propri interessi, non aveva mai aperto gli occhi per vedere cosa lo circondava e domandarsi se forse esisteva qualcun altro all’infuori di se stesso. Yoongi per lui era un flagello, una palla al piede, niente di più; non aveva mai provato a credere nelle sue capacità, ad aprirsi un po’, a cercare una convivenza più serena.
Neppure Yoongi lo aveva mai fatto, ad essere onesti, ma ultimamente si era messo in gioco, aveva accettato il fatto che non poteva ricevere stima da parte di Jimin, ma almeno avrebbe tentato ad ogni costo di raggiungere il loro obiettivo comune unendo le forze. Se era necessario a divenire Falce della Morte, Yoongi avrebbe fatto qualsiasi cosa, a qualsiasi prezzo, in qualsiasi momento.
Ed ogni volta che provava a sfondare quella porta chiusa a chiave, Jimin trovava sempre il modo di darsela a gambe.
Era stanco d’inseguirlo, d’inseguire un sogno che gli veniva strappato via senza scrupoli da un egoista senza palle.
Entrando nel magazzino, l’atmosfera pregna di tensione e delle consuete urla lo accolse. Questa volta, Yoongi non si recò immediatamente al centro del ring, ma si diresse in un punto più appartato, un angolo del capannone dove sapeva di poter trovare ciò che stava cercando.
Riconobbe subito, nonostante le luci soffuse, il volto del suo vecchio avversario. Quando l’uomo notò la presenza di Yoongi, il suo immancabile sorriso inquietante e sproporzionato gli si allargò sul volto, privo di qualsiasi traccia di felicità ma colmo di perversa curiosità.
“Oh, chi si rivede!” esclamò con voce graffiante, “Ti mancavano i miei pugni? Ne vuoi degli altri?”
“Oggi non sono qui per questo,” rispose seccamente.
L’uomo scoppiò in una fragorosa risata, di cui Yoongi non ne capiva davvero il motivo, ma lo lasciò fare. Attese che smettesse di sghignazzare, poi lo guardò impaziente.
“E cosa cerchi, orsacchiotto? Se vuoi te lo lascio succhiare nei cessi.”
“Ho bisogno del tuo rimedio segreto,” confessò, senza la minima esitazione.
“Rimedio segreto? Mi hai preso per un fottuto sciamano?”
“Avanti, non fare finta di non aver capito.”
L’uomo smise improvvisamente di sorridere, restando a fissarlo a braccia conserte, con un’espressione seccata in volto e la testa leggermente inclinata da un lato. Dopo una pausa eccessivamente lunga, in cui le acclamazioni della folla erano l’unico sottofondo udibile, l’uomo si decise a parlare:“Quante siringhe?”
“Una.”
“E perché dovrei dartelo?”
“Perché voglio vincere.”
L’uomo ritrovò lo stesso entusiasmo di poco prima, tornando a sbellicarsi dalle risate. Poi tornò serio di botto.
“Inginocchiati qui davanti e chiedimelo per favore.”
Yoongi s’irrigidì. Non si sarebbe abbassato a tanto per avere del Flusso.
“Puoi anche tenerti la tua merda, allora,” sputò, facendo per andarsene senza trattenersi anche solo un secondo di più.
“Hey, hey! Aspetta orsacchiotto, stavo scherzando,” lo fermò l’uomo prima che potesse allontanarsi troppo. “Ce li hai cento bigliettoni?”
Yoongi rifletté un istante se ne valesse veramente la pena per tutti quei soldi. Poi però pensò a quanti altri ne avrebbe guadagnati vincendo quell’incontro. Annuì.
L’uomo tirò fuori l’occorrente dalla patta dei pantaloni e glielo passò furtivo.
“Iniettatelo sulla spalla,” gli consigliò, afferrando in cambio i soldi ed infilandoseli in tasca senza troppe cerimonie. “E’ stato un piacere fare affari con te.”
Chiuso nel bagno lurido e puzzolente del magazzino, Yoongi si ritrovò a fissare la siringa contenente quel liquido azzurro e denso. Non poteva credere che fino a pochi giorni prima aveva giurato che non avrebbe mai ricorso a tali metodi, perché significava ammettere di essere un debole, ed ora invece si ritrovava con una siringa in mano, pronto a spararsi quella roba in corpo.
Stava ammettendo di essere debole? Forse. Ma questo non avrebbe cambiato il fatto che, una volta ottenuta la vittoria, niente lo avrebbe più fermato. Le ragioni dietro quel suo gesto erano valide abbastanza da non farlo indugiare oltre. Con un movimento netto e deciso, lasciò che l’ago gli bucasse lo strato di pelle, per poi penetrare sempre più a fondo. Strinse i denti e non si fermò. Una volta inserito sufficientemente in profondità, con il polpastrello del pollice spinse l’estremità in plastica della siringa, osservando mentre la quantità di liquido diminuiva sempre di più, fino a sparire del tutto.
I primi minuti non sentì nulla di anomalo o intenso, non si verificò nessun fenomeno che segnalasse l’entrata in circolo del Flusso. Tornò nella zona affollata e si immischiò nella calca. Mentre si faceva strada tra i corpi ammassati, iniziò a sentire un vago giramento alla testa, come se i suoi occhi non riuscissero a focalizzarsi per più di pochi istanti sullo stesso punto.
Per quando ebbe raggiunto la prima fila davanti al ring, lo stordimento era diventato così forte da inibirlo completamente; si ritrovò circondato da fari accecanti che gli ruotavano intorno come un cerchio di luce, il battito del suo cuore diventò così rumoroso da entrargli nelle orecchie ed ovattare qualsiasi altro rumore. Si concentrò così tanto sul suono ritmico delle sue pulsazioni che non si rese conto di essere rimasto immobile in mezzo alla folla, le spalle afflosciate in avanti e la bocca penzolante. Stava addirittura sbavando.
Fu quando ricevette per sbaglio una botta da un tizio lì accanto che in lui si attivò una sorta di meccanismo di difesa: il Flusso entrò immediatamente in circolo, rispondendo istintivamente all’impulso captato dai neuroni quando il suo corpo era stato inavvertitamente urtato.
La sua testa scattò di lato, voltandosi in direzione della provenienza del colpo. I suoi occhi ci misero qualche secondo di troppo ad individuare la persona che lo aveva spintonato. Lo sconosciuto notò l’espressione preoccupante e cupa sul volto di Yoongi, e solo allora decise di rimediare:“Scusa, amico. Non ti avevo vis—”
Yoongi gli scagliò un pugno sul naso senza neppure dargli il tempo di finire. Sentiva una rabbia nuova, più intensa, così grande da non poter essere contenuta. Il bruciore che gli persistette sulle nocche dopo l’impatto gli inviò una scarica piacevole lungo il braccio, contribuendo ad accrescere quell’incommensurabile potenza che percepiva all’interno del suo corpo, a gonfiarsi sempre di più.
Dei sussulti di sconcerto si levarono dal gruppetto di persone lì intorno, che automaticamente si allontanarono al passaggio di Yoongi, aprendosi per lasciargli raggiungere il centro del ring.
“Un nuovo sfidante! Grandioso. Chi sarà il coraggioso che combatterà contro di lui?”
Yoongi era pronto. Quella volta, avrebbe vinto.
L’aria fresca della notte era piacevole a contatto con la sua pelle irritata e bollente per le lacrime che fino a qualche minuto prima gli avevano solcato le guance. Sentiva il gonfiore dei suoi occhi arrossati e l’ardore all’interno del petto estinguersi lentamente, sfumando al contrasto serafico che gli concedeva l’atmosfera liberatoria.
Jimin era esausto, ma aveva ritrovato dentro di sé quella voglia di riscattarsi, di risalire in superficie dopo aver sfiorato l’abisso. Parlare con Taehyung, come previsto, lo aveva aiutato moltissimo. In realtà, Jimin aveva già compreso su cosa avrebbe dovuto lavorare, di cosa aveva bisogno per dare una svolta definitiva alle sue abitudini deleterie e ai suoi pregiudizi irremovibili; ma sentire le stesse conclusioni a cui era giunto da solo uscire dalle labbra di qualcun altro era stata la conferma decisiva di cui necessitava, ciò che avrebbe messo un punto alla lunga serie di errori da lui commessi.
Quindi, sotto l’indolenza dei suoi muscoli, percepiva anche un senso di leggerezza che non era stato in grado di provare per anni. Finalmente stava respirando, eliminando tutti quei paletti che si era auto-imposto per assicurarsi di rimanere intatto, impeccabile, ineffabile. Si sentiva come se avesse sradicato i chiodi che lo tenevano immobilizzato, impedendogli di muovere anche solo un muscolo di troppo.
Jimin sapeva che ci fosse ancora molto lavoro da fare, ma partendo con una mentalità differente avrebbe facilitato quello che sarebbe venuto in seguito.
Mentre camminava sollevato e tranquillo verso la metro, avvertì un brivido strano lungo il braccio e, subito dopo, una pressione che non sentiva da qualche tempo. Chinando lo sguardo sul suo bracciale, si accertò che il peso che sentiva gravare sul corpo fosse causato da quell’oggetto.
Si domandò perché stesse accadendo proprio in quel momento, e soprattutto per quale motivo. Era come se il bracciale stesse cercando di ricordargli che non doveva montarsi troppo la testa e credere che fosse ormai tutto risolto, perché le cose tra lui e Yoongi erano ancora critiche e instabili.
Jimin cercò d’ignorarlo, ma mentre tentava di distrarsi si rese conto della pressione del bracciale che sembrava aumentare con ogni passo che compieva. Aggrottò la fronte, osservando il suo polso con fare sospetto. Cosa stava cercando di dirgli quell’affare?
Si sentì tirare nuovamente, quasi con la stessa forza di uno strattone e, in un attimo di illuminazione, puntò gli occhi in direzione del parco contrassegnato fiocamente dai lampioni che si stagliava di fronte a lui. Doveva andare lì?
Ancora incerto e titubante, Jimin si avviò verso l’ingresso del parco, affidandosi alle indicazioni che il bracciale sembrava volergli trasmettere. Per quanto scettico fosse, una parte di lui temeva che sarebbe accaduto qualcosa se avesse semplicemente lasciato stare quei segnali insoliti.
L’interno dell’area alberata era deserta, dato l’orario inoltrato, e appariva silenziosamente normale e sicuro. Jimin schioccò la lingua, sollevando un sopracciglio stizzito mentre fissava attentamente il bracciale, come a volerlo rimproverare per averlo trascinato in quel posto senza motivo. Studiò un’ultima volta i dintorni, continuando a non trovare nulla di bizzarro, e fece per tornare indietro. Aveva mosso un solo passo in avanti quando, spostando lo sguardo di fronte a sé, notò una sagoma seduta su una panchina nascosta dalla penombra. Rimase pietrificato per la sorpresa.
Le coincidenze iniziavano ad essere veramente troppe, e Jimin avrebbe giurato che esistesse qualche sorta di filo indissolubile che connetteva ogni sua azione con quelle di Yoongi, altrimenti non avrebbe saputo come spiegare il fatto che, per l’ennesima volta, si fossero incontrati puramente a caso nello stesso luogo senza nessuna ragione apparente che avrebbe potuto portare lì entrambi.
La realizzazione che il suo bracciale non si fosse sbagliato e avesse ancora una volta dato vita a qualcosa che aveva dell’incredibile fu la cosa più sconvolgente di tutta quella situazione. Quello stava a significare che i loro bracciali non fossero dei semplici bracciali? Jimin ricordò le parole di Yoongi, quando era spuntato all’improvviso alle sue spalle dopo quella festa disastrosa, giustificandosi che il suo bracciale aveva iniziato a comportarsi in modo ambiguo, attirandolo fino a lui. Quindi non era stata una bugia. E stava accadendo di nuovo, proprio davanti ai suoi occhi increduli, oscillanti tra l’origine dei suoi dubbi e un Yoongi accasciato sulla panchina del parco.
Jimin era a dir poco esterrefatto, ma voleva andare a fondo a quella questione e scoprire il perché di quel richiamo inconscio. Si destò dalla sua paralisi momentanea per avvicinarsi lentamente a Yoongi, il quale non si era ancora accorto di non essere più solo.
“Yoongi?” chiamò con voce flebile ed incerta, notando quanto il corpo del ragazzo rannicchiato sulla panchina stesse tremando, preda di piccoli spasmi che gli agitavano le ginocchia e le spalle nervosamente. Lo vide sussultare e sollevare di scatto la testa, puntando i suoi occhi scurissimi in quelli trasparenti di Jimin. Bastarono pochi secondi per capire che quelli non fossero i suoi soliti occhi; l’iride ridotta ad un minuscolo puntino, la cornea arrossata eccessivamente e tracciata da vene sottili e disparate. Della loro consueta profondità non restava un bel niente, come se fossero stati rivestiti da una lastra di vetro che li privava di tutta la loro intensità pungente. Jimin colse immediatamente la differenza osservandoli, sentendo quanto lo colpissero meno di tutte quelle volte che gli era parso di venire soffocato in una morsa d’acciaio da quello sguardo, ora ridotto ad una pallida imitazione di ciò che era realmente. Era come se Yoongi non riuscisse a vederlo davvero dietro quella patina innaturale.
Jimin non lo aveva mai visto così perso, così miserevole, così... fragile.
“Cosa ci fai qui?” provò a chiedere, sentendosi tremendamente fuori posto, come se fosse un intruso e non avesse il diritto di vedere Yoongi in quelle condizioni. Era spiazzato.
“Cosa ci fai tu qui?” parlava come se avesse un affanno, come se ogni sillaba gli bruciasse la gola al suo passaggio.
“Il bracciale,” si limitò a rispondere, sperando che Yoongi capisse a cosa si riferiva. Un guizzo di stupore illuminò per un attimo il volto spento del moro, dileguandosi con la stessa rapidità con cui era comparso.
Sembrò riscuotersi da quello stato di debolezza in cui si trovava, forse con un po’ di imbarazzo, alzandosi subito in piedi per acquisire un’autorità maggiore con la sua altezza, sebbene fosse pari a quella di Jimin. “Non è una fottuta caccia al tesoro. Vattene.”
Jimin lo studiò per qualche secondo senza dire nulla, captando ogni accenno di caratteristiche insolite che gli cospargevano il volto tumefatto, contorto in una smorfia di disprezzo e qualche altro sentimento amaro a cui non sapeva dare un nome.
“Che cazzo hai preso?” disse infine con tono accusatorio, assottigliando lo sguardo.
“Non ti riguarda. Sei stato tu a dire che non ti frega un cazzo di ciò che faccio con la mia vita, quindi non vedo perché adesso debba essere diverso.”
“Non lo è. Ma qui non si tratta di qualche semplice livido.”
Yoongi si sporse in avanti, fino ad arrivare a pochi centimetri dal volto di Jimin.
“Ti ho detto di andartene,” sibilò a denti stretti, la mascella contratta per la rabbia che gli stava montando nel petto.
“Perché sei arrivato a questo punto?” proseguì Jimin, ignorando il suo avvertimento minaccioso.
Qualcosa dentro Yoongi si lacerò, innescando una furia che non aveva mai visto prima, un’ondata devastante che lo spinse in avanti con una forza sovrumana. Prima che potesse rendersene conto, Jimin si ritrovò con un paio di mani strette saldamente attorno al collo. La sua schiena urtò qualcosa di duro e ruvido — probabilmente la corteccia del tronco di un albero lì vicino — mentre Yoongi sbatteva il suo corpo senza pietà contro di esso.
“Non farmelo ripetere un’altra volta. Devi farti i cazzi tuoi, hai capito?” il ringhio che vibrò nella sua voce lasciò intendere che stesse trattenendo l’impulso di gridare a squarciagola.
Jimin sentiva le dita di Yoongi affondare sempre di più nella sua carne, premendo sempre più forte, comprimendo ogni vena che portava un po’ di ossigeno al suo cervello. Quella reazione così violenta confermò i suoi sospetti sul perché Yoongi fosse in quelle condizioni. Se si trattava veramente di ciò che credeva, Jimin era nei guai.
“Fermati,” lo supplicò senza fiato, portando le mani ad avvolgere quelle di Yoongi per tentare di allentare la presa sul suo collo, ma senza successo.
Una vena pulsante si allargava sul collo di Yoongi, i suoi occhi spenti a riempirsi di odio e di follia mentre stringeva ancora più forte, alterato dall’effetto spaventoso del Flusso.
Dimenarsi non lo aiutava affatto e, con ogni secondo che passava, Jimin percepiva i sensi affievolirsi, la sua visione rabbuiarsi e l’energia nel suo corpo abbandonarlo. Di quel passo, sarebbe potuto morire soffocato.
Non riusciva neppure a gridare, a chiamare il suo nome, ad implorarlo di smetterla, a chiedere perdono. Yoongi era fuori di sé ed era indomabile.
Il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e, riuscendo a trovare l’angolo giusto, Jimin scalciò con tutta la forza che aveva; colpì Yoongi esattamente in mezzo alle gambe. Con un lamento strozzato, lo vide piegarsi per il dolore immane e rassegnarsi a mollare la presa. Jimin colse quell’occasione unica e preziosa per agire, sollevando il gomito per colpire la tempia di Yoongi e gettarlo a terra stordito.
Yoongi si rotolò sofferente tra i fili d’erba del parco, grugnendo in continuazione mentre si stringeva i fianchi con le braccia.
Una volta libero, Jimin cadde a terra in ginocchio, ansimando per riprendere fiato e per calmarsi dallo shock. Si affrettò a rimettersi in piedi, sentendo una fitta lancinante alla gola quando provò a deglutire. Nonostante il dolore, si sforzò di parlare:“Qualsiasi motivo tu abbia per fare ciò che stai facendo, sappi che non è un motivo valido. E torna in te, Cristo santo.”
Non attese neppure che Yoongi si riprendesse, voltandosi per tornare indietro, lasciandolo lì a terra senza ripensamenti.
Fu solo dopo che Jimin se ne fu andato che Yoongi ritrovò un briciolo di lucidità e, con orrore, ricordò la sensazione di rabbia incontrollabile e del collo di Jimin stretto tra le sue dita.
Premette la fronte contro il terreno fresco e umido a causa della rugiada notturna, sentendo il suo cervello dilaniarsi mentre veniva bombardato dai postumi della droga. Vomitò nel prato fino a quando non ebbe più nulla nello stomaco da rigettare.
“Cazzo.”
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Resonance
FanfictionIn un mondo in cui i demoni minacciano l'umanità, la Souls Selection Academy addestra ragazzi di ogni età per sterminarli e mantenere la pace. Solo due di loro potranno però diventare la nuova Falce della Morte, ossia individui potentissimi in grado...