VI

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Questa notte non riuscivo a dormire.
Troppi pensieri. Gli stessi pensieri che ora mi impediscono di concentrarmi.
La verifica di francese che ho davanti sembra solo un foglio con segni a caso scritti sopra, non riesco a capire. La mia testa è sul mio collo solo fisicamente.
Consegno la verifica quasi in bianco.
«Sicura. ? È praticamente vuota» «Si prof»
Lei, con un briciolo di umanità, mi chiede se voglio uscire dalla classe mentre gli altri continuano la loro verifica.

Uscita dalla classe, mi avvio verso la cattedra dei bidelli, senza avere nient'altro da fare. Marzia (la mia bidella preferita) mi accoglie con il solito sorriso.
«Indovina chi non è riuscita a fare la verifica di francese?» le chiedo in tono sarcastico.
«Questa ragazza?» risponde lei togliendo gli occhi dagli avvisi che stava sistemando.
«Esatto». Mi siedo su una sedia vicino a lei.
«Capita. Ne fate centinaia, di quelle verifiche, e anche se una va male non cambia nulla. Penso che alcune siano anche inutili»
«Perché dici così?»
«Perché se adesso prendi 10 in una verifica sui verbi irregolari in francese, ma poi tra 10 anni in Francia non sai neanche come si ordina un caffè, la cosa non ha senso.»
«Quindi dici che è inutile?»
«No, non fraintendermi. Intendo che se un professore ti fa studiare per un mese questi cavolo di verbi, e poi dopo la verifica non ve ne parla più, ti serve a qualcosa? Devono insegnarvi a inserirli nelle frasi e ricordarli spesso, per dare un senso al vostro lavoro. A volte gli insegnanti se ne dimenticano».
Ha ragione, come al solito. Prendo una biro dalla cattedra e inizio a giocarci, pensando alle parole di Marzia.
«Marzia, perché non hai fatto l'insegnante?»
«non mi interessava, all'epoca. Solo ora vedendo come vi trattano mi verrebbe voglia di diventarlo.» Sembra assorta, persa in quegli avvisi che sta dividendo con cura.
«Però tu studia» mi dice ad un tratto. «Che poi quando sai il francese mi porti a Parigi. Hai presente che fighi sono i francesi?»
Scoppiamo a ridere, guadagnandoci un occhiataccia dalle altre persone nel corridoio.
L'occhiataccia peggiore arriva però dalla bidella nuova.
Con la sua snella figura si erge sopra di noi con aria minacciosa, ricordandomi un po' la strega di Biancaneve.
«Lucrezia, lei è Eva, la nuova bidella.»
«Collaboratrice scolastica, grazie.» Tuona lei, con voce fredda. Si, è decisamente la strega di Biancaneve.
Non sapendo bene cosa fare, sorrido e le do il buongiorno, anche se la mia voce non esce convinta come la immaginavo.
le porgo la mano, che lei stringe con arroganza. È la mano più fredda che abbia mai stretto. Inizio ad avere seriamente paura. «La ragazzina mi ha rubato la biro.»
Mi guardo le mani e mi accorgo di avere ancora in mano la biro che avevo trovato sulla cattedra. «Mi scusi, non sapevo fosse sua... ci stavo solo giocando, sa sono un po' nervosa oggi.»
Appoggio di nuovo la biro al suo posto, o almeno ci provo. Urto infatti un bicchierino di caffè pieno, che si rovescia tragicamente su un plico di fogli vicino. Il liquido scuro si espande per tutta la superficie, macchiando i fogli e gocciolando fino sul pavimento. La cosa che più mi spaventa sono però le goccioline schizzate sui pantaloni beige di Eva che, ignara del disastro che stavo per fare, si era appoggiata alla cattedra.
«Mi dispiace io... io non volevo! Non avevo visto il bicchiere mi scusi tantissimo!» Balbetto alzandomi di scatto.
Eva serra i pugni lungo i fianchi e chiude gli occhi, Marzia mi guarda con un'espressione spaventata ma anche divertita. 
«Vado a prendere un altro caffè e un rotolo di carta.» Dico sollevando il bicchierino vuoto.
«Sarà meglio!» Strilla Eva.
«Fai anche una ventina di fotocopie di questo avviso, dato che queste sono inutilizzabili.» Dice Marzia porgendomi un avviso e il tesserino per la fotocopiatrice.

Devo girare per due piani prima di trovare una fotocopiatrice libera, ovviamente. Proprio una bella giornata.
Mentre gli avvisi si stampano, io cerco di ottimizzare il tempo con una caotica corsa dallo sgabuzzino alla macchinetta del caffè.
Quando torno alla fotocopiatrice con il caffè e il rotolone di carta, inizio a farmi qualche dubbio. Come faccio a prendere tutto? Inizio a contorcermi per non far cadere il caffè (è possibile che non ci sia neanche un banco su cui appoggiarlo?), raccolgo anche le venti fotocopie. Con il caffè in una mano, le fotocopie nell'altra e il rotolone sotto un braccio, tento di percorrere il corridoio e scendere le scale.

Proprio quando inizio a pensare di riuscire ad arrivare al piano di sotto senza fare figure di merda, un ragazzo spunta dalla porta di un'aula. dopo il mio iniziale momento di panico mi accorgo che continua a camminare alcuni metri davanti a me, e non sembra essersi accorto della mia presenza. Solo nel momento in cui si ferma alla macchinetta riesco a vedergli meglio il viso e una campanella suona nel mio cervello. Ma si, è il tizio del gruppo del gruppo di Stella! Come si chiamava? Stefano? ah no, Samuele. Non so esattamente cosa mi sia saltato in mente, ma decido di parlargli.
Mi avvicino. «Samuele, giusto?» In questo momento mi rendo conto di avere la minima idea di quello che sto facendo. Lui mi guarda un po' stranito, e io mi ricordo improvvisamente di avere in mano venticinque cose diverse. «Si esatto, tu sei?» Risponde lui, sempre confuso. «Ehm... non ci conosciamo, ma ho saputo che gestisci un corso pomeridiano.»
«Si, esatto.» «Ecco, riguardo a quello... una mia amica ci teneva tanto a partecipare, ma ha saputo che il gruppo era già al completo.» Cerco di sfoderare la mia voce più autoritaria. «Volevo sapere se era possibile fare un'eccezione.» «Mi dispiace, ma per motivi di spazio non è possibile.» Dice lui prelevando un pacchetto di Bueno dal distributore e incamminandosi verso la sua classe.
«Neanche per una sola persona?» Continuo io, seguendolo.
«No, mi spiace davvero»
Inizio a spazientirmi. Non si è neanche girato a guardarmi!
Non posso lasciarlo andare via così. Si sente superiore solo perché è di quinta e si crede figo.
«Ascoltami per davvero, adesso. Penso di avere almeno il diritto di essere guardata in faccia mentre parlo, prima di tutto. Poi, vogliono che ci iscriviamo a dei corsi, ma non possiamo a quanto pare! Se i luoghi non sono adeguati, come dici tu, noi dobbiamo perdere dei crediti solo perché nessuno sa organizzarsi? Ce ne sono di aule che nessuno usa mai e non credo sia così diffile mobilitarsi per cambiare qualcosa. La mia amica è una delle persone più intelligenti che conosca e ci tiene più di chiunque altro, quindi a perderci siete voi» Finisco con un tono molto più acceso di quanto avrei mai immaginato.
Lui mi guarda con un'espressione che non so decifrare. Penso sia spaventato.
«Beh, buona giornata.» Dico, voltandomi e andandomene.
Solo quando arrivo alla scalinata riesco a tornare a respirare normalmente. Ho appena fatto una scenata allucinante ad uno di quinta? Si. Ho appena fatto una figura di merda? Assolutamente si. È servito a qualcosa? Probabilmente no.
Un'occhiata all'orologio appeso alla parete mi fa rendere conto che devo tornare dalle bidelle, e anche velocemente.
Scendo le scale facendo attenzione a non far cadere niente e cercando di reprimere un pensiero che si era insidiato nella mia testa. Infatti il moretto non è così brutto come pensavo, ma non ammetteró mai a Stella. Così decido di chiudere a chiave questa opinione in un cassetto remoto della mia stravagante testolina.

Le parole lontaneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora