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La sveglia suona al solito orario, e mi fa capire che finalmente è ora di alzarmi. In realtà non ho dormito affatto, come le altre notti delle ultime settimane, e quel suono è per me la salvezza. "Leo forza, sta arrivando l'autobus" grida la mamma dalla cucina e in qualche minuto sono già vestito e con un sandwich in mano. Metto su il cappuccio della felpa, le cuffie e faccio partire la canzone che adoravo ascoltare insieme ad Eva; prima di aprire la porta, mi fermo un attimo a guardare il mio riflesso allo specchio: le occhiaie non sono scomparse e il mio viso diventa sempre più scarno, mi faccio paura da solo.
Appena uscito, vedo arrivare l'autobus e mi affretto a salire, per evitare di imbattermi nello scontroso autista con le sue noiose prediche sul non fare tardi
e sull'importanza di essere svegli e veloci soprattutto di mattina.
Mi siedo sul primo posto libero che vedo, e mi appoggio sul finestrino guardando scorrere gli alberi spogli e le strade piene di foglie ma, immerso nei miei soliti pensieri, sento qualcuno che mi chiama, mi volto e vedo Carla, la sorella di Eva, che cerca di chiedermi qualcosa. Mi tolgo le cuffie e cerco di essere il più gentile possibile con lei, nonostante fosse anche colpa sua se sua sorella era morta. "Posso?" mi chiede, indicandomi il posto vuoti accanto a me; "Certo, siediti" rispondo sforzandomi di far uscire un mezzo sorriso sul mio volto. Faccio per rimettermi le cuffie, ma lei mi chiede subito:" Come va?" Quasi rido sentendo quella domanda...come dovrebbe andare dopo che la tua migliore amica è morta, come? Non penso ci siano molte risposte.
"Potrebbe andare meglio" rispondo un po' seccato. "Senti, so che affrontare la morte di Eva è difficile, ma io sono qui e ti capisco e posso aiutarti in qualsiasi modo; sai manca anche a me".
Mi sento prendere dalla rabbia, ma cerco di non sbottare lì davanti a tutti e le rispondo:" A te non manca, ed è stato un bene per te che sia morta; io so cosa c'era fra voi e se volessi essere aiutato da qualcuno, tu saresti l'ultima persona a cui mi rivolgerei". E, senza neanche salutarla, scendo dall'autobus appena arrivato a scuola.
Solitamente qui mi aspettava Eva, con la sua felicità e positività che riuscivano a rallegrarmi sempre ogni mattina, ma non c'è nessuno e quindi, piuttosto che rimanere fermo davanti all'entrata, mi incammino ed entro subito in classe.
Il mio compagno di banco è già lì, come ogni mattina, e inizia a parlare e a riempirmi di domande a cui non ho voglia di rispondere, e lo liquido con un semplice "Oggi non è giornata".
Suona la campanella della ricreazione, ma decido di rimanere in classe, nella tranquillità e tristezza più totale, finché qualcuno mi riporta al mondo reale. "Leo, perché non esci un po'? Dicono che fuori stia succedendo qualcosa di interessante..." È Aria, l'unica compagna di classe (ovviamente oltre ad Eva) con cui riesco a parlare in una classe di sociopatici superficiali e stupidi; lei ha da sempre avuto una cotta per me, ma io mai avevo preso in considerazione il fatto che potessi piacerle e le ho sempre dato retta come solo un'amica."E se stesse davvero succedendo qualcosa di interessante perché non sei lì a godertela?" rispondo senza agitarmi. "Beh...forse non è poi così interessante" mi risponde, e sorridiamo entrambi. La guardo e le dico:" Va bene, portami a fare un giro." E lei, felice di essere riuscita nel suo intento, mi afferra per il braccio e mi trascina fuori dalla classe. "Aria, aspetta fai piano" urlo e, mentre esco dalla porta, mi scontro con una ragazza "Oh scusa, non volevo, perdonami..." le dico nel tono più dispiaciuto che riesco a fare "Tranquillo, va tutto bene" mi risponde lei, sorridendomi. La guardo negli occhi e vado via trascinato da Aria, che mi guarda sospettosa, mentre cerco di girarmi e cogliere il suo sguardo una volta ancora, ma lei sta già correndo via. Forse mi mancava un po' stare in giro per i corridoi della scuola, vedere altre persone e notare quanto siano cambiate nel corso di poco tempo: i loro sorrisi, gli atteggiamenti, il modo di vestire.
E come io mi ero accorto di loro, loro si erano accorti di me: cercavano di non farsi beccare mentre, voltandomi le spalle, sussurravano:" Lui è l'amico della tizia morta, Eva, la ragazza che si è suicidata." E io sentivo tutto, in preda a quegli sguardi e a quelle parole pronunciate così facilmente che sembravano quasi perdere significato. Da un momento all'altro, passo dal poter essere quasi felice al ritornare triste come sempre; mi svincolo dalla presa che sembrava essere salda di Aria. Torno in classe, prendo le cuffie e corro via dalla scuola, fuggendo dalle urla del bidello che cerca di impedirmi di uscire. Non sono cosciente di dove io stia andando, ma le mie gambe sembrano procedere da sole e la mia mente sembra essere al di fuori del mio corpo; finché arrivo sfinito e ansimante su una panchina. Ma solamente dopo mi accorgo che non si tratta di una panchina qualsiasi, ma quella dove io e Eva passavamo le giornate d'autunno, con le foglie che ci cadevano addosso e il vento che ci colpiva il viso: ecco dove mi aveva portato la mia mente.
Inizio a piangere, pieno di rancore e tristezza: nonostante avessi accettato la sua morte, mai avrei superato il fatto che si fosse suicidata; mi sentivo impotente e inutile, pensando a ciò che avrei potuto fare per salvarla e farla stare meglio. E invece l'avevo sottovalutata anche io, come tutti gli altri, pensando fosse un problema adolescenziale che avrebbe superato, senza rendermi conto però che, forse, non era un semplice problema. I miei occhi ormai sono screpolati dalle troppe lacrime e solo ora, dopo essermeli asciugati col polsino della felpa, mi accorgo di qualcuno davanti a me. La figura appannata mi si avvicina e con una voce delicata mi chiede:"Tutto bene?"
In quelle settimane, quella domanda mi era sembrata inutile e superflua, ma chiesta in quel modo, mi aveva riempito ciò che stava rimanendo del mio cuore.
Prima di risponderle cerco di capire chi sia, e solo dopo qualche secondo mi accorgo di aver accanto quella ragazza con cui poco prima mi ero scontrato uscendo dalla classe con Aria.
"Potrebbe decisamente andare meglio." Rispondo accennando un sorriso. "Comunque io sono Leo..." le dico aspettando la sua risposta, che però non arriva. Per smorzare quel silenzio le chiedo, cercando di non essere scortese:
"Come mai anche tu fuori dalla scuola?"
"Ero lì quando ti ho visto scappare via, e ho pensato che magari avessi bisogno di qualcuno accanto a te che potesse aiutarti. So che starai pensando al fatto che neanche ci conosciamo e che non avrai bisogno di supporto da parte di un'estranea, ma a volte parlare con uno sconosciuto può rendere più facile le cose." Mi dice lei, sicura di se stessa e delle sue parole. Con la voce tremante le dico:
"Sei molto gentile e anche coraggiosa...nessuno farebbe questo e nessuno lo avrebbe fatto per me, a eccezione di Eva."
Mi prende una mano e me la stringe forte rassicurandomi:
"Leo, sento che tu sei coraggioso e sei molto più di ciò che pensi di essere. Datti un'altra possibilità e..." la interrompo prima di farle finire la frase:
"Ero il suo migliore amico, e non ho fatto niente per farla stare bene; è più colpa mia che di tutti gli altri, è colpa mia sono uno stupido..." e smetto di parlare per le lacrime che ricominciano a cadere. Sento la sua mano rafforzare la presa e lei che dice:
"Non penso che sia colpa tua, il bene che le volevi e il tempo che le hai dedicato è stata la sua salvezza per molto tempo. Ma sai si arriva a un punto in cui pensi di non potercela fare più e neanche il sorriso di una persona che sempre ti ha reso felice può migliorare la situazione."
Sento queste parole come se fossero state vissute, e mi chiedo che cosa ci sia dentro quegli occhi blu notte.
"Quindi sappi che lei ha vissuto gli ultimi momenti sicuramente ringraziando di aver avuto qualcuno come te al suo fianco. Devi esserne fiero." Continua a dire.
La guardo e le dico un "grazie" che esprime più gratitudine di quanto pensavo di poter provare.
Si alza e mi abbraccia, trasmettendomi un calore e una fiducia ineguagliabili e,
mentre va via, si volta e mi dice sorridendo:
"Comunque io sono Nicole, è stato davvero un piacere."
Io ricambio quel sorriso, pensando a quanto sia stato bello aver parlato dopo così tanto tempo con qualcuno che ti abbia subito capito.
Mi incammino per tornare a casa, con i suoi occhi impressi nella mente.

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