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La pioggia cadeva dentro il buco sul soffitto, depositandosi con dei lievi schiocchi sul pantano. L'umidità si era alzata, permeando tutta l'aria e accentuando l'odore di muffa che invadeva legno di quella baracca dismessa.

Avevano posato una trave sotto ciò che restava della tettoia, evitando così di sedersi sulla molle fanghiglia, costrette dal tempo a non proseguire. La città sorgeva in una piana abbastanza isolata, per trovarla si erano lasciate da tempo alle spalle la foresta. L'unico riparo sarebbero state delle piante dalle larghe foglie, sparse attorno alle risaie incolte, ma una volte colme d'acqua l'avrebbero potuto riversare su di loro, incapaci di sorreggere il suo peso. Fortunatamente avevano trovato quella casa abbandonata, malconcia ma sufficiente per le loro esigenze.

Aveva accettato di attendere la fine della pioggia, per potersi riposare dopo la marcia serrata che l'aveva condotte sino là e per alleviare tutta la tensione che il suo corpo aveva accumulato in quella giornata. Sarebbe stata più lieta, però, se Ahri non l'avesse piantata subito, dicendole che avrebbe cercato del cibo più sostanzioso delle bacche, visto il viaggio che le attendeva.

Ora era costretta a cercare di decifrare da sola quella cartina, ignara di dove fosse la piana degli aceri ed incapace di leggere il linguaggio umano. Non aveva idea nemmeno del verso e, dopo averla girata varie volte, aveva abbandonato l'impresa e si era messa a lisciarsi le piume, soprattutto quelle che si erano macchiate di fango.

Ancora non riusciva a credere di aver passato un'intera giornata tra gli umani, in un loro grande centro abitato.

E ciò che aveva visto l'avrebbe di certo fatta desistere dal ritentare l'impresa.

Sentiva ancora il tanfo delle strade nelle sue narici, il chiasso della folla assordarle le orecchie. Non le era sembrato di camminare tra degli esseri viventi, ma tra una massa indistinta che si trascinava a fatica sui propri piedi, mentre chi era più potente proseguiva cieco lungo la sua via, ignaro della loro sofferenza.

Guerre fratricide, oppressione, noncuranza dei propri compagni, tutto ciò che suo padre le aveva raccontato si rivelava di volta in volta vero.

E lei era stata così stupida a non credergli.

Ahri ritornò dentro la baracca, avvolta dal mantello nero datole dal mercante. Si avvicinò, calpestando tutte le piccole pozzanghere che si erano formate sul terreno e, finalmente al riparo, si tolse la cappa.

« Maledetti acquazzoni, non mi erano affatto mancati. » commentò, depositando al suo fianco tre contenitori di legno.

La ringraziò per essere giunta al momento giusto: il solo ripensare a suo padre l'avrebbe fatta ripiombare nella malinconia e, data la pessima giornata, avrebbe voluto evitare altri malumori.

« Dove le hai prese? » chiese ad Ahri, indicando con un cenno del capo le lunghe scatole.

« Mi sono dovuta dirigere sino alle fucine in periferia, credo fossero la cena di qualche fabbro. » le rispose, strizzando la mantella.

« E loro non si sono accorti che una Vastaya è entrata là dentro? » domandò sospetta.

Non aveva idea di come fossero fatte quelle "fucine", ma se erano dei luoghi dove venivano forgiate delle armi, la presenza di lavoratori doveva essere elevata. Ed una donna con ben nove code bianche era facile che desse nell'occhio.

« No... tengono il cibo e gli averi lontano dalla zona di lavoro. Dovevano essere tutti a lavorare. »

Aveva esitato, non solo nel tono di voce, ma anche nel depositare la cappa sulla trave. Sperò che non fosse una menzogna e che in breve un pugno di uomini alterati avrebbe circondato il loro temporaneo rifugio. Aveva imparato a sue spese quanto il calcolare male i propri piani fosse fatale, doveva solo che appoggiarsi alla maggiore esperienza di Ahri e sperare che fosse più cosciente.

Memorie di Xayah - Il passero sperduto e la volpe solitaria ( Original Version )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora