2nd chapter - 1st dream

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In quel momento ero solo un puntino nero in un'immensità di animali candidi, foglie dai colori caldi che - trasportate da una brezza tiepida - vorticavano in aria, uccelli che cinguettavano serenamente e rami che scricchiolavano sotto i piedi.

Erano i giorni più belli d'autunno e non sarei mai riuscito a godermeli a pieno.

Non so cosa mi spingesse a fare quelle terribili cose, ma ogni giorno sentivo l'irrefrenabile bisogno bruciare nello stomaco e salire al corpo fino alle punte delle dita, come tante spine pungenti, torturandomi fino allo sfinimento.

Ero preda di una dipendenza di cui avrei potuto liberarmi, a costo di una vita infelice e tormentata. Mi sentivo perso e vuoto senza quell'unico punto di riferimento che avevo nella mia vita.

Avevo bisogno di calma e pace in questo inferno di elementi disordinati nella mia mente, che mi portavano a perdere l'equilibrio e a cadere a capofitto in un burrone infinito e senza eco.

Mi specchiai in una pozza d'acqua e mi osservai: occhi rossi, infuocati, con i capillari che sembrava volessero abbandonarmi da un momento all'altro. I capelli ricci scompigliati predominavano sulla triste immagine del mio viso. Le grandi occhiaie violacee che mi gonfiavano gli occhi pareva stessero lì per ricordarmi di ogni notte insonne passata a pensare e rimuginare, senza mai distogliere lo sguardo dall'orizzonte, che si dissolveva e ricompariva in un loop infinito.

Ero solo, non avevo nessuno, e non ho memoria di aver mai incontrato qualcuno. Era come se vivessi non isolato dal mondo, ma completamente in un'altra dimensione, estraniato da tutto e da tutti, in una vita incredibilmente mobile nella sua stabilità ordinaria.

Questa era l'unica cosa che mi faceva ritrovare un punto fisso e non nomade nella mia vita, che mi donava - anche se per poco - sicurezza. Che non mi faceva sentire in colpa con me stesso, che mi allontanava dal Simone che il mio subconscio aveva creato.

Era un'azione che facevo quasi involontariamente. Amavo bruciare boschi.

Vedere bruciare l'erba, gli alberi, le foglie secche che il fuoco divora fino a farle scomparire. Sentire i rami scricchiolare e contorcersi su se stessi a contatto con le fiamme.

Vedere gli animali allarmarsi, il panico aumentare nei loro piccoli occhi e circondargli le loro tane innocue, per poi spingerli a scappare.

Per me questo insieme di oscurità era un piacere, rispecchiava il mio animo. Tutto in me non andava bene, niente andava bene.

La mia vita erano gli alberi che potevano scomparire ed essere dimenticati in un battito di ciglia. Il destino era il fuoco, ingiusto e imprevedibile. La mia anima come gli animali, impaurita, cercava di scappare dall'assoluto vuoto, dove se avessi urlato nessuno mi avrebbe sentito. Se avessi avuto bisogno di aiuto nessuno sarebbe venuto in mio soccorso. Se mi fossi sentito più triste e perso del solito nessuno mi avrebbe rivolto un sorriso o uno sguardo rassicurante, o donato una spalla morbida e confortante su cui piangere.

Ma era il mio piccolo e infernale paradiso.

Scrollai le spalle lasciando perdere il mio riflesso nella pozza d'acqua in cui mi stavo specchiando e continuai ad andare avanti per il sentiero.

Arrivai ad un albero che attirò la mia attenzione. Imponente, secco, probabilmente il più vecchio dell'intero bosco.

Sceglievo sempre i più vecchi da bruciare per primi, quasi a togliermi di dosso il peso della responsabilità per la morte dei più giovani, che bruciavano per l'espandersi delle fiamme e non direttamente dalla mia mano.

Mi avvicinai lentamente all'albero e accostai le labbra alla dura e secca corteccia, chiudendo gli occhi. Feci scorrere l'indice tra le insenature dove alcune formiche erano intente a correre qua e là, annusai le profumate foglie non ancora del tutto secche e spente, mentre una goccia di rugiada iniziò a scorrermi lungo il mento.

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