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I giorni successivi passarono in una relativa calma per Marco.
Si cominciò ad ambientare nella sua nuova casa, ma soprattutto con i suoi nuovi coinquilini.

Passare le giornate con Sofia, per lui, era come vivere in un sogno. Qualcosa che non avrebbe potuto mai neanche lontanamente immaginare. 
Non per quello che facessero, anzi, non che ci fosse molto da fare rinchiusi sottoterra in un buco, ma giusto per il fatto che stava accadendo.
Non credeva che uno come lui potesse meritare ciò che gli stava accadendo.
Un assassino come lui, uno che la morte la portava in spalla, non avrebbe dovuto avere alcun diritto di poter anche solo sfiorare quei dolci e leggeri capelli, di quel castano così chiaro e vivo che non si sarebbe mai potuto vedere in nessun angolo di quella città così morta e spenta.
Eppure era successo e li sotto già mancava lo spazio per fare molte cose, figuriamoci se c'era spazio per il senso di colpa.
Lo spazio c'era giusto per fare quelle cose che Sofia aveva sempre sognato di fare, magari con un bel principe azzurro nascosto tra le storie di suo nonno, bello, alto, con dei lunghi capelli biondi e fluenti ed un bel cavallo, ma che invece si ritrovava a fare con un uomo comune, consumato dalla vita ma comunque forte e valoroso.
Un uomo che non sapeva nemmeno cosa fossero quelle cose che Sofia sognava, ma che piano piano le scopriva insieme a lei, un bacio dopo l'altro, una carezza dopo l'altra.
Non era bello magari, come uno di quei bellocci sistemati su qualche fotoromanzo che il nonno si era portato via prima di scappare dalla casa di una vita, insieme a quegli ultimi ricordi di un amore eterno spezzato troppo presto, ma sapeva essere irresistibile, con quella barba tagliata male, graffiante, la pelle distrutta da innumerevoli colpi e un cuore non presente, ma comunque esistente ed intatto, a cui serviva giusto qualcuno che fosse in grado di metterlo al posto giusto.

Il suo soggiorno però non era fatto solo di bei momenti e intensi sguardi.
Ovviamente, ci doveva essere un modo attraverso il quale Marco poteva rendersi utile per chi si trovava li sotto insieme a lui: volente o nolente, oramai faceva anche lui parte di quel movimento che tanto aveva provato ad eliminare insieme ai suoi camerati, di quella resistenza mai pienamente nominata all'interno dell'esercito, perché "tutto deve essere in ordine", o almeno bisognava far finta che lo fosse.
Il vecchio parlò molto con lui in quei giorni, gli chiese di tutto, in maniera un po' sarcastica, non che Marco lo capisse, ma comunque necessaria per rendere al povero Francesco gli ultimi anni di permanenza su quella terra un po' più leggera.
Gli chiese tutto quello che Marco poteva sapere: chi fosse, dove e quando era nato, come e dove era cresciuto e poi avanti con domande di cultura, italiano e matematica, di tattica militare e di armamenti vecchi chissà quanto ma comunque pratici per entrambi, di politica e di gerarchie nascoste, di storia che uno aveva vissuto e l'altro non conosceva perché mai scritta sui libri di storia di quello stupido paese ma soprattutto, gli chiese quante sigarette fumasse al giorno per mantenere la calma.
-Non fumo, signore.-
-Ebbravo Marcolino, però nun me chiama signore che quello sta chissà dove lassù in arto!-
Nacque una sincera ma alquanto strana amicizia: i due non si capivano e non si sarebbe mai potuti capire a pieno, eppure, in mezzo al rapido e ininterrotto scambio di informazioni qualche cosa era trapelato, che fosse compassione, pena l'uno per l'altro o semplice e puro sentimento di amicizia.

La gente li sotto entrava ed usciva: tutte persone fidate del vecchio, nessun estraneo, ovviamente, però ce n'era uno che entrava ed usciva più spesso degli altri e la cosa insospettiva non poco Marco, in quanto avesse poco senso che la persona che uscisse più spesso fosse proprio l'omone che l'aveva ben minacciato al suo arrivo, non proprio una persona in grado di passare facilmente inosservata.
Non metteva in dubbio le sue abilità, ma comunque non riusciva proprio a farselo andare giù.
Inoltre, l'omone era anche solito utilizzare una stanza che il vecchio gli aveva illustrato un giorno mentre parlavano di guerra e di tecnologie passate, non più in funzione.
In quello stanzino era posizionata una scrivania, sulla quale era poggiato una sorta di televisore, ma molto ingombrante e con uno schermo curvo verso l'esterno, molto piccolo rispetto a tutta la scatola. Sotto alla scrivania si trovava un'altra scatola, questa volta però più slanciata, oblunga, messa in verticale ed appoggiata alla parete.
Quell'oggetto, denominato "computer", era di comune uso prima che scoppiasse la guerra, quando lo Stato, impaurito dall'uso che le persone ne avrebbero potuto fare, lo ritirò totalmente dal mercato nazionale e dalle case di tutti, pena la reclusione fino all'ergastolo, un po' come per tutti gli altri reati a quel tempo.
Attraverso quelle due scatole, le persone potevano comunicare a distanza e svolgere enormi calcoli in maniera rapida, insieme a tutto un altro grande insieme di cose che, nel periodo di Marco, non avevano molto motivo di esistere.
Marco ne aveva già visti un paio di quei computer nelle sale della Stazione di Polizia in cui era solito prestare servizio, ma non si era mai fermato a osservare: la sua curiosità verso il mondo esterno era stata praticamente spenta durante il periodo dell'accademia, attraverso complessi percorsi psicologici che lo spadaccino non avrebbe voluto rivivere nemmeno sotto tortura.
Ebbene, il suo utilizzo all'interno della resistenza era quello di comunicare a livello nazionale, utilizzando canali lasciati da parte e non occlusi dalla Polizia quando ne aveva avuto la possibilità e nonostante la Polizia stessa avesse il controllo su quella rete, grazie al lavoro degli esperti tecnici al servizio del movimento, cioè i pochi a non essere stati assunti dallo Stato o brutalmente uccisi, che poi poca differenza c'era, in fondo. All'esterno erano in grado di sapere che un pacchetto era transitato attraverso la loro rete, ma non erano in grado di capire da potessero venire quei messaggi e ne di sapere il loro contenuto.
Ciò permise in gran parte alla resistenza di sopravvivere, nonostante i continui massacri portati a termine dalla Polizia proprio per mano di gente come Marco.
In ogni caso, l'utilizzo smodato che Andrea, l'omone, ne faceva non andava molto a genio allo spadaccino, che decise allora di tenerlo d'occhio, durante la sua permanenza li sotto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 24, 2020 ⏰

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