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Come posso?

Come avrebbe potuto spezzare la vita di chi, forse, glien'aveva consegnata una?

È più importante l'uomo o la missione?

Erano questi i dubbi che circolavano nella sua mente.
Perché se cresci in un certo modo, prima soldato e poi uomo, non pensi all'amore, pensi solo alle sue conseguenze.
E poi, com'è possibile?
Com'era possibile sentire caldo, per lui?
Lui, che il freddo gli faceva da madre e il ghiaccio da fratello.
Lui, che la famiglia non voleva vederla nemmeno nei film.
Ma c'era poco da fare.
Quando lo Stato ti adotta per fare di te un soldato, anzi, non c'è nulla da fare.
Colpisci, se c'è da colpire.
Salvi, se c'è da salvare.
Uccidi, se c'è da uccidere.
E, bene o male, a lui di uccidere non interessava. Degli altri esseri umani non gli interessava.
Era una cosa reciproca: nessuno si sarebbe mai immaginato di salutare uno degli Spadaccini che corrono tra le strade.
E lui non avrebbe mai salutato nessuno, fin quando nessuno gliel'avrebbe imposto.
A lui bastavano un letto caldo, la pancia piena tre volte al dì e un tetto sopra la testa.
O almeno, ne era certo fino a quella sera.

Eccolo, era lì, in quella classica notte da lupi che portano i soldati solitari, le forze speciali, i Cacciatori di Volpi.
La città non appariva molto viva, anche se le macchine sfrecciavano e le vetrine illuminavano i grandi viali della moda.
La gente, ormai, se ne restava a casa, rintanata con la paura di essere giudicata, di fare uno sbaglio che, con questo Stato, sarebbe stato sufficiente per essere severamente punito.
Lui non aveva paura della mano che lo teneva in vita, non ne aveva ragione.
Ma...
Nessun "ma" circolava nella sua testa, perché il suo bersaglio si era fatto vivo.
La descrizione corrispondeva, non che ce ne fosse stato il bisogno: la soffiata era stata data dalla fonte più sicura di tutta la Polizia, quindi poteva stare tranquillo e non dubitarne.
Un cappello le copriva la testa dalla pioggia, dato che probabilmente non era riuscita in tempo a prendere un ombrello, mentre una lunga giacca con il collo alto provava a nasconderle il viso, ma il risultato, fortunatamente, non era un granché: le sue rosse guance svettavano sul nero del cappotto, insieme a quei suoi capelli lunghi, di un castano leggermente chiaro, che risplendevano, eterei davanti alla luce del bar designato per mettere in scena la tragedia.
Perché quel bar, con quella luce, così soffusa, quasi a soffocare le persone al suo interno, non avrebbe potuto far altro che ospitare un gruppo di rivoluzionari. Rivoluzionari ideologici o armati, poco importava. Non c'era spazio per chi voleva altra guerra, giusta o sbagliata che fosse.
Il suo strumento di morte gli vibrava nelle sue mani, alla ricerca di quel rosso, quel rosso maledetto che la nutriva, deliziandola con tutto il sangue che ella richiedeva.
Ma la sua mano la fermò.
Lo Spadaccino, contravvenendo a qualsiasi regola avesse mai potuto anche solo pensare, rimase appoggiato al muro un istante di troppo.
Nessuno lo colpì, nessuno lo ferì ne tantomeno lo toccò.
Ma lei... lei lo sentì.
Lui non si era mosso, non aveva fatto nemmeno mezzo passo.
Eppure, lei lo sentì e, girandosi verso di lui, lo vide, fissandolo dritto negli occhi.

Lui ne aveva passate tante, chi lo cercava per dargli qualche compito importante lo sapeva, ma non era mai uscito particolarmente ferito da uno scontro.
Un po' di sangue, nulla che qualche benda non avesse potuto rimediare.
Ma, in quel momento, sentì il suo petto in fiamme.
Cominciò a tossire, nervosamente.
Sembrava quasi avesse dell'acqua nei polmoni.
Lei se ne approfittò ed entrò nel bar, sapendo che ormai, li dentro, era al sicuro, sempre perché lo Stato l'avrebbe protetta, anche se un secondo prima avrebbe potuto ucciderla.
I suoi occhi, celesti e chiari come il cielo illuminato dal sole di mezzogiorno, lo arsero.
Tutto il ghiaccio che c'era nel suo corpo cominciò frettolosamente a sciogliersi, uscendo fuori dai pori della pelle e dalla gola.
Si, dalla gola, perché quella non ne voleva sapere di fermarsi, di calmare quel fortissimo prurito.
Cercando di non destare ulteriori sospetti, lui, con due balzi, fuggì tra i vicoli, diretto verso quella che non sapeva ancora se sarebbe rimasta la sua casa o no.

Quindi, adesso, cosa avrebbe fatto?
Lui non era molto esperto di legge per quanto riguardava i particolari, ma aveva imparato in modo molto duro cosa fare e cosa non fare, per nessun motivo al mondo.
Sapeva bene come era bene non uccidere, se non sotto ordine, non rubare e, in genere, non fare del male in maniera indiscriminata.
Ma, ogni volta che gli si parava davanti un ordine da eseguire "per utilizzo di eccessivi comportamenti sovversivi non violenti tesi all'accoppiamento incontrollato" storceva il naso.
Perché si, sapeva che i sentimenti erano qualcosa che apparteneva ad un tempo ormai passato, antecedente alla Guerra, ma non ne capiva bene il motivo.
Lui quelle... cose? Non sapeva bene neanche come definirli, i sentimenti, li aveva conosciuti per essere messo in guardia, perché "non sarebbero dovuti proliferare tali comportamenti irrispettosi nei confronti della società".
Ne aveva visti di bastoni spezzati sulle schiene per qualche sguardo di troppo, non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se per sbaglio due persone si fossero baciate.
E poi, cosa ci si trova nel toccarsi con le labbra? Gli era stato insegnato come fosse disgustoso, come fosse restrittivo rimanere intrappolato in un abbraccio, come l'unico motivo per toccarsi era per farsi del male, senza altre possibilità.
Era riuscito ad evitare la castrazione, per via della nuova legislazione imposta dalle Nazioni Unite dopo le eccessive violazioni dei diritti imprescindibili dell'uomo: su di lui, come su molti altri ormai, si era lavorato direttamente all'interno, sulla coscienza e sull'incoscienza per risolvere il problema alla radice.
Ma certe sensazioni sono intrinseche dell'essere umano, irremovibili e fondamentali per la sua esistenza.
E adesso, giustamente, non poteva fare altro che domandarsi: È davvero questo che causa l'amore?

BushidoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora