«If there's a past participle after "bene" or "male", you must write them without the final "e", for instance "ben fatto". But whether the adverb is not before the past participle, you don't have to do the elision, for example "fatto bene"...».
Alex prese appunti.
«No elision... "fatto bene"» ripeté il londinese scrivendo ciò che aveva detto il professor Johnson.
Prima di finir di scrivere, posò la penna blu con frenesia, brandendo quella di un colore differente e completando poi la parola aggiungendo la "e".
Era odioso essere soli a lezione di italiano con il banco vuoto di Eddie accanto.
Quest'ultimo era inoltre davvero bravo in quella lingua e quando la parlava Alex restava sempre incantato.
Si distrasse e cominciò a guardare verso la finestra, attraverso la quale si potevano intravedere gli alberi del giardino.
«Puoi ripetere Campbell?» chiese l'insegnante, notando il ragazzo assorto nei propri pensieri.
Il ginnasta replicò elencando perfettamente le regole di grammatica precedentemente spiegate.
Lo fece svogliatamente, come se per lui fosse stato semplicissimo.
Effettivamente, nemmeno lui se la cavava male in quella materia.
Della risposta il professore restò quasi meravigliato, tanto da rimanere in silenzio per un attimo.
Poi ricominciò a spiegare.
I suoi muscoli si tesero nel serrare la mano destra in un pugno, i nervi si irrigidirono e la sensazione d'intensa ira invase il corpo del ragazzo.
Afferrò le poche penne sparse sul banco e le mise dentro l'astuccio. Chiuse quest'ultimo con foga e lo posizionò in cima alla pila non troppo alta di libri e quaderni.
Si alzò e uscì dalla classe.
Corse furtivamente in bagno e lasciò cadere a terra i libri.
Si appoggiò a un lavandino.
Tentò di aprire il rubinetto, ma senza aver successo, date le sue mani sudate.
Tutto ciò lo irritò ulteriormente.
Riprovò a far fuoriuscire l'acqua e finalmente ci riuscì.
Si sciacquò il viso, bagnandosi erroneamente anche il ciuffo di capelli.
Alzò la testa guardandosi allo specchio: aveva un aspetto orribile.
Specchiandosi, vide il volto di Eddie dietro di lui, con lo stesso sguardo che aveva quando l'aveva baciato.
Chiuse gli occhi per un momento e, quando li riaprì, comprese di essere solo.
Si era semplicemente illuso, forse come, allo stesso modo, lui aveva illuso Ed quella sera.«Parta pure» disse Ely all'autista dopo che il fratello fu entrato nell'auto.
Uscirono dalla vettura una mezz'oretta dopo, appena questa entrò nella piazza e si fermò.
I due ragazzi pagarono l'uomo per poi uscire dal veicolo. Il tassista li seguì a sua volta e scaricò le valigie.
Ely inspirò profondamente, permettendo all'aria frizzante di metà mattinata di entrargli nelle narici.
Eddie si avvicinò a lui e osservò le fontane zampillanti non troppo distanti.
Quella città così viva e quasi sfacciata li aveva riaccolti silenziosamente e loro ne erano contenti; più che altro sollevati.
Ely si voltò e si avviò verso il portone di un edificio dietro di loro.
Il ginnasta restò immobile.
«Eddington... vieni?!».
Il biondo girò di scatto il viso verso il fratello, che l'aveva chiamato.
«Sì, sì... arrivo».
Si incamminò, dunque, verso casa, ma prima diede ancora uno sguardo al Castello Sforzesco, che sorgeva in tutta la sua grandezza di fronte al piazzale.
Ma un pullman passò e gli impedì di vederlo ancora, costringendolo a rimandare il suo amato momento di silenzio con se stesso.
Erano circa le dieci e mezzo e la città era in subbuglio, mettendo in mostra la frenesia e l'ansia pressoché affascinante che solo Milano sapeva infondere.
Sarebbe passato del tempo: mesi.
Eddie avrebbe ritrovato quella serenità di cui aveva tanto bisogno, tra la fretta milanese e la vitalità delle persone delle quali avrebbe fatto la conoscenza o che avrebbe semplicemente rincontrato, perché erano sempre restate ad aspettarlo.Erano le tre di notte e, là, seduto sul muretto di quel ponte, sospeso sul Naviglio e sul mondo intero, Eddie si sentiva bene.
«A che pensi?» gli domandò il ragazzo accanto a lui.
L'americano si voltò e rispose:
«A... a niente».
Sulle sue labbra si disegnò un leggero e delicato sorriso.
Eddie sapeva bene cosa si aspettava quel ragazzo da lui, quella notte.
Nonostante ciò, la distanza tra lui e la sua vera vita, quella che amava e voleva vivere, era struggente e non lo stava di certo aiutando a chiarirsi le idee. Bastava dunque non pensarci e tutto si sarebbe risolto.
In particolare ad Alex: non doveva.
Sapeva però, che tutto quello, quella possibilità di rinascere gli avrebbe fatto bene e non avrebbe potuto fare altro che accettarlo.
Rimasero in silenzio aspettando che l'altro parlasse.
Non si sentivano imbarazzati, ma soltanto in una specie di limbo.
In attesa.
Il giovane che era uscito quella sera con Eddie aveva diciannove anni ed era quel tipico ragazzo che non possiede una particolare bellezza, ma il suo modo di fare e di parlare sono pregi che lasciano il segno.
Guardandolo dalla testa ai piedi, Eddie pensò che in quella città il tempo si fosse come fermato. Per poi riprendere al suo ritorno. Nicolò ne era la conferma.
«Davvero... a cosa pensi?».
«Te l'ho detto: a niente...».
«A me puoi dire cosa vuoi, lo sai: cosa ti turba?».
Il ginnasta sentì un brivido percorrerlo lungo la schiena.
Non aveva compreso bene cosa significasse l'ultima frase, malgrado studiasse l'italiano da quando aveva quattro anni e quindi lo capiva bene. Talvolta se lo dimenticava. Non sapeva il perché.
I due si guardarono fissi negli occhi, tentando di analizzare ogni sfumatura delle loro iridi.
Eddie distolse lo sguardo, puntandolo verso le acque del canale sottostante.
Cominciò a muovere piano le gambe per sentire la brezza notturna sfiorargli la pelle.
«È la mia vita... è un casino. Sono a un punto di non ritorno: non so che fare... È tutto in stallo».
L'altro sospirò e posò la sua mano su quella del newyorkese, che si irrigidì al tocco.
«So come ti senti...» continuò Nicolò.
Eddie sottrasse la propria mano a quella dell'altro.
«No, non lo sai».«Scacco...».
«Cazzo Jules, mi fotti sempre in 'sto punto!» ribatté Alex.
Il londinese pose il suo indice sulla sommità del re.
Le pedine erano in alabastro bianco e blu di Volterra.
Il padre di Alex gliele aveva comprate un'estate quand'erano stati in vacanza in Italia.
Afferrò il re e lo spostò di due caselle, mangiando una pedina dell'avversario.
Il canadese sogghignò e poi fece la sua mossa.
«Stallo» disse soddisfatto.
Alex mosse il suo sguardo per tutta la scacchiera constatando che, al posto di quella mossa, il ragazzo davanti a lui avrebbe potuto vincere.
«Ma Jules... avresti pot...».
Lo interruppe:
«Lo so, lo so; ma mi conosci: lo sai che mi piace colpirti senza farti cadere».
Quella frase segnò Alex nel profondo, tanto da ricordargli la partenza del suo migliore amico, che aveva vissuto come un abbandono.
«E stallo sia, allora...» rispose lui stizzito.
Si alzò dal divanetto brandendo la sigaretta che si era fatto poco prima, appoggiata sul tavolino tra il suo telefono e la scacchiera, e si diresse verso la portafinestra.
La aprì e uscì sul balcone.
L'accese e cominciò a fumarla, inspirando lentamente.
Si godette tutto il fumo che saliva su fino a scomparire, come le notti in cui faceva lo stesso con Eddie, per dimenticare.
Ricordando solo il cielo, le sue nuvole e le stelle, se c'erano.Eddie sorrise e vide nel diciannovenne un qualcosa che non aveva mai visto fino ad allora.
Tremava un po': era agitato.
Si guardò la piccola cicatrice vicino al polso, ricordandosi di quando se l'era procurata da piccolo giocando con Alex.
Scacciò via quel pensiero, uno dei tanti che lo tormentavano.
Lo baciò.
Appoggiò le sue labbra su quelle del ragazzo, godendosi la loro morbidezza.
L'altro insinuò la propria lingua dentro la bocca del biondo, percependo il gusto mielato del piacere.
Fu un instante.
Eddie si sporse e rischiò quasi di cadere nel canale, ma il giovane vicino a lui gli afferrò prontamente il braccio destro, come se volesse farlo solo perché non riusciva ad accettare l'idea di lasciarlo andare.
I loro visi tornarono uno contro l'altro, naso contro naso.
Un ciuffo di capelli biondi di Eddie cadeva tra di loro, solleticando le loro fronti che sudavano freddo dall'eccitazione mista all'insicurezza.
«Nicolò» sussurrò.
Il calore del suo respiro invase la bocca dell'altro, provocando in lui un sussulto.
«Eddington» rispose aprendo gli occhi, cercando quelli dell'altro.
Una sensazione strana pervase Eddie.
Quel ragazzo, pronunciando il suo nome, era riuscito a farlo sentire unico al mondo.
Alex stava diventando un ricordo o forse, molto più semplicemente, una persona alla quale il newyorkese aveva deciso di non voler più ancorarsi.
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Le ginestre
RomanceDopo anni trascorsi su aerei tra Londra e New York, Alex si stabilisce finalmente in America dove vive il suo migliore amico Eddie. È un'amicizia fragile, tanto che basta una manciata di segreti e menzogne per rovinare il rapporto tra i due. Un rapp...