Capitolo XII - Peccato originale

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Mentre saliva le scale, aveva continuato a guardare il Duomo davanti al sole, che faceva passare i suoi raggi tra una guglia e l'altra.
Per un istante vide la piazza deserta; poi scosse la testa.
Cominciò a camminare verso i portici al fondo di essa.
Vide che il tram era appena partito, dunque sbuffando rallentò il passo.
In realtà la piazza era piena di gente che correva qua e là per non perdere le coincidenze dei mezzi.
«Eddington» sentì dire il ragazzo.
Si voltò in cerca di chi aveva detto il suo nome. Conosceva bene quella voce, meglio di ogni altra cosa al mondo.
Nel girarsi verso il Duomo, una miriade di persone gli finì addosso, urtandolo e urlandogli di fare attenzione.
Nella sua mente tutto si spense; le voci, la gente, i clacson delle auto: la vita di Milano si fermò per lui.
Il messaggio della sera prima mandatogli da Alex lo aveva destabilizzato, facendolo uscire da quella bolla che lo proteggeva, da quella vita che si era ricostruito per essere una nuova persona.
«Hey, Eddie!» esclamò una ragazza dai capelli color oro, arrivandogli da dietro.
Lui socchiuse gli occhi.
Lei continuò: «Andiamo, dai. Il tram sta per arrivare»
«S-sì, Azzurra. Adesso vengo» rispose lui.
Guardò di nuovo verso il Duomo.
Gli parve quasi di intravederlo tra le persone.
«Eddie! Muoviti, che facciamo tardi!» gli gridò ancora una volta la ragazza.
Lui non rispose, limitandosi a indietreggiare sconcertato.
Si voltò e si incamminò verso la fermata del tram.
Si stava rendendo conto che in realtà era rimasto solo e forse cominciava a sentire la mancanza di Alex.

Corsero.
A perdifiato.
Scesero le scale con una fretta immane, quasi spingendo la gente. Anzi, sicuramente.
Udirono il rumore tipico della metro.
Si affrettarono ulteriormente, arrivando per un soffio e infilandosi dentro un vagone qualsiasi senza prestare attenzione a quanto fosse già troppo pieno.
Scoppiarono in una fragorosa risata interrotta a tratti solo dal loro respiro affaticato che piano piano andava ristabilizzandosi.
Ely aveva lasciato cadere le borse con tutti gli acquisti sul pavimento del vagone e con il piede destro li aveva spostati portandoli in mezzo alle gambe.
Scesero due fermate dopo.
Erano passati mesi, troppi sicuramente.
Ma lui era sempre uguale: stessi capelli sbarazzini, di quel color castano che lo rendevano ancora più bello.
Era lì, appoggiato con il gomito su un trolley circondato da altre valigie e borsoni.
Sbuffò guardando l'ora sul telefono: nemmeno i fratelli Anderson perdevano le loro abitudini; forse si erano immersi troppo nello stile di vita italiano per essere sempre così in ritardo.
Prese il cellulare intenzionato a chiamare Ely, ma prima di schiacciare sul tasto per la chiamata, si convinse semplicemente ad aspettare.
Si trovava davanti al portone d'entrata del palazzo in cui abitavano Eddie e Ely.
Eddie, che era arrivato anch'egli con borse colme di vestiti e altri piccoli acquisti per arredare l'appartamento, lasciò queste ultime cadere con un suono sordo a terra.
Gli corse incontro.
L'altro appena lo vide si dimenticò di tutto, come se ciò che li circondava non esistesse più.
Eddie lo abbracciò e quasi lo sollevò ridendo di gusto.
Era finalmente lì con lui: era suo, finalmente suo.
«Alexander» gli sussurrò ancora ridendo con gli occhi che gli brillavano.
Si erano presi le teste l'un l'altro tra le mani, fino a far toccare tra di loro le fronti.
La loro era un'intesa, era un'amicizia.
Una fratellanza e forse in passato anche un amore, ma questo non sarebbe dovuto riaffiorare, perché avrebbe riaperto ferite che non erano mai state sanate.
Erano loro, loro due: Eddie e Alex.
«Non hai idea di cos'ho passato per convincere i miei a farmi venire a studiare qui!».
«Sì certo, come se fossi venuto qua per studiare ahahah!» rispose ridendo fragorosamente Eddie.
«Mi sei mancato Eddie».
Il londinese sfiorò la guancia candida dell'altro ragazzo, facendogli venire i brividi.
«Anche tu Alex, ma lo sai che non possiamo. È successo tanto tempo fa e se sei qui, non sarà per ripetere gli stessi errori» fece prendendo le mani del castano e allontanandole dal proprio viso.
Il giovane londinese sospirò, volgendo lo sguardo altrove.
Soltanto Eddie riusciva a convincerlo a rinunciare a quello che avevano avuto e sapeva che lui soltanto ci sarebbe riuscito in tutta la vita dell'amico.
Spostando l'attenzione in un altro punto della piazza, il londinese incrociò gli occhi di Ely, che era rimasto in disparte per tutto quel tempo.
Gli venne un groppo alla gola, come se in lui si fosse risvegliata quella guerra tra amore e piacere.
Quell'eccitante e meraviglioso ragazzo: Ely.
O forse quell'introverso giovane che riusciva ad aprirsi solo con lui e che gli faceva vivere emozioni uniche anche solo sorridendogli.
Fu proprio in quell'istante che Alex comprese che sarebbe stata difficile quella convivenza in Italia. Tuttavia era anche certo che sarebbe stata un'esperienza unica, quasi come ai vecchi tempi: per scrivere il futuro.
Quel futuro che però, sapeva non sarebbe potuto esistere per lui ed Eddie.

Giugno era cominciato e Alex avrebbe avuto tutto il tempo per prepararsi per la scuola a settembre.
Era estate, era vita.
Quasi.
Il londinese aveva fatto conoscenza con l'amica di Eddie, Azzurra.
Era italo-svizzera in quanto sua madre proveniva da Bellinzona.
I due legarono da subito, instaurando un'amicizia molto forte.

Alex si alzò e si avvicinò al davanzale interno di una finestra, restando a osservare i raggi caldi color oro filtrare dai vetri e dalle tende di un bianco candido.
Un profumo tiepido e delicato invase la stanza. Il sentore di croissant appena sfornati e di caffè caldo stava caratterizzando quella bella mattina di metà giugno.
Il ragazzo dai capelli castano chiaro si decise ad aprire la portafinestra lì accanto e a uscire sul balcone.
Percepì una leggera brezza tipica di fine primavera sfiorargli il viso con leggiadria.
Era tutto perfetto, o almeno dopo il suo arrivo a Milano.
"Alex, è pronta la colazione" urlò Eddie dal piano inferiore, tentando di dare una dolce connotazione a quel grido.
"Va bene, arrivo" disse ad alta voce Alex, rientrando nella stanza e chiudendo alle sue spalle la portafinestra. Si incamminò verso il corridoio e cominciò a scendere le scale lentamente, come se volesse godersi ogni istante di ogni singolo giorno simile a quello con Eddie.
"Tanto so che quei croissant li hai solo scandati nel forno. Il barista di quel caffè in Piazza Duomo mi ha detto che vai a comprarli alle otto del mattino ogni fine settimana" lo canzonò con fare scherzoso, appena arrivato in cucina.
Quei piccoli gesti gentili, quelle accortezze di Eddie in quel periodo erano proprio ciò che ci voleva per rendere la vita più dolce e questo Alexander Campbell lo sapeva.
L'unico problema era che tutto ciò non sarebbe durato ancora per molto.
Quel giorno sarebbero partiti per andare al mare, nel solito posto dove avevano la casa.
Arrivarono verso sera, ancora in tempo per veder il tramonto sulla magnifica distesa d'acqua del Mediterraneo che solo quella penisola nel sud dell'Europa poteva offrire.
Il casolare aveva perso intensità di colore nella facciata: era diventata di un giallo alquanto opaco.
Dentro odorava di stantio: in effetti era da un po' che non vi andavano.
Però era tutto ancora perfettamente come si ricordavano: il divano del salotto che sporcavano di frutta e gelato alla sera, la finestra in cucina che dava sulla pianta di ginestra i cui fiori emanavano un profumo che penetrava le narici inibendo i sensi come se fosse un accenno alla goduria, la stanza da letto di Eddie dove i due ragazzi avevano sperimentato per la prima volta il semplice e nudo piacere, la soffitta.
Quella soffitta, quella notte: loro due e le loro labbra che si erano toccate quasi per sbaglio.
Era stato un bacio tra amici, tra due ragazzini di tredici anni quasi per gioco.
Ma proprio quel gioco così innocente aveva acceso qualcosa in entrambi, ciò che avrebbero poi odiato e amato.
E quel qualcosa era il loro essere: odio e amore, bianco e nero, luce e buio.
Quelle quattro mura li riportarono indietro di tre anni, quando tutto era cominciato.
Era ora di finire ciò che non era mai stato concluso, di mettere un punto a una storia mai terminata.
Era tempo di risolvere un problema mai affrontato.
Ogni nodo sarebbe dovuto venire al pettine.
Ogni lacrima avrebbe dovuto esser giustificata e come ogni loro voglia avrebbe dovuto esser soddisfatta.
Era il momento di mettere fine a quel capitolo della loro vita.
Tornare al peccato originale.
E sarebbe stato solo l'inizio.
L'inizio della fine.

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