Capitolo XI - Andare oltre

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Il divanetto in pelle sul quale era seduto era rosso scarlatto e quel colore sembrava perfetto, poiché rispecchiava esattamente lo stato d'animo del ragazzo.
Si alzò e si diresse verso la cucina.
Era arrabbiato ma non lo dava a vedere.
Il ragazzo cominciò a scendere le scale per cercare qualcosa da bere. Si fermò e guardò in direzione della finestra.
Fuori c'era il sole e il cielo era azzurro, per quanto potesse esserlo a New York.
Ma niente sarebbe stato mai abbastanza, senza di lui niente avrebbe avuto di nuovo senso.
Alex si voltò e aprì un'anta della credenza, dalla quale prese un bicchiere. Lo pose sul tavolo che si trovava in centro alla stanza: il rumore provocato fu irritante.
Si avvicinò infine al frigorifero e lo aprì.
Siccome era collocato più in basso rispetto a lui, appoggiò il gomito sinistro sulla sommità della porta aperta del frigo, guardando cosa ci fosse dentro.
Parve indeciso e attese davanti a tutto il cibo e le bevande per un paio di minuti.
Prese improvvisamente la bottiglia dell'acqua frizzante: non amava bere altro a quell'ora del giorno. Quello scatto fulmineo, però, sembrò quasi come se si fosse arreso alla banalità e all'ordinario.
Era confuso, forse sconvolto.
I suoi genitori erano in viaggio per lavoro e lui aaspesso restava a casa da solo.
A volte pensava a quanto fosse triste quell'aspetto della sua vita, ma poi decideva di mettere da parte il dolore provocatogli dai genitori.
In fondo era diventato bravo a far creder loro di non provare alcuna emozione, ma ciò non significava che non fossero rannicchiate in un angolo remoto della sua personalità.
L'incomprensione era qualcosa che non tollerava, specialmente da parte di coloro che lo avevano messo al mondo, ma poiché questi evidentemente non erano interessati ad aprirsi a lui, si allontanava da loro aprendosi al mondo vero e non a quella piccola realtà famigliare che veniva quasi idolatrata.
Sapeva che comunque lo avrebbero giudicato, credendo che lui si stesse semplicemente chiudendo in se stesso, malgrado fosse l'esatto contrario.
Versò dell'acqua nel bicchiere; poi lo portò alle labbra. Queste si idratarono al primo sorso, mettendo in evidenza il loro rossore, reso più lucido dall'acqua mista a saliva.
Deglutì e inspirò, quasi come se fosse stato un sollievo.
Chiuse gli occhi e immaginò come sarebbe stato averlo ancora lì.
Con sé.
Il suo sorriso, i suoi occhi, la sua risata, i suoi pianti: Lui.
Pronunciò il suo nome angosciato, lasciando la parola quasi a metà.
Il braccio di Alex iniziò a tremare, mettendo in evidenza le vene visibili che percorrevano l'arto.
Il bicchiere cadde a terra.
Si ruppe in una miriade di schegge che sparse in tutta la cucina.
Chinò la testa e osservò il bicchiere rotto: era chiaramente scioccato.
Il londinese era a piedi nudi.
Pestò alcuni vetri.
Stava quasi per piangere, ma in quel momento probabilmente non sarebbe stato in grado di manifestare alcun'emozione.
Risalì le scale lasciando alcune impronte insanguinate sui gradini. Andò in bagno e solo quando calpestò il tappeto ancora umido, si rese conto che i suoi piedi stavano sanguinando.
Entrò nella vasca da bagno e aprì il getto. Un brivido lo percorse appena l'acqua gelida scese sulle sue gambe, si sparse attorno ai piedi del ragazzo e il sangue cominciò a scorrere fluidamente come le sue emozioni.
Si accasciò, lasciando che la sua maglietta si bagnasse completamente e divenisse aderente alla pelle.
Si addormentò.

Dormì tutto il pomeriggio.
Il campanello suonò: il ragazzo si svegliò e realizzò che la vasca da bagno in cui giaceva era piena e l'acqua era fuoriuscita.
Fuori era buio perchè il sole era già tramontato.
Il campanello suonò nuovamente.
Alex chiuse il rubinetto, uscì dal bagno e gocciolante si avviò verso il piano inferiore scendendo le scale zoppicante.
I piedi gli facevano male, specialmente quello destro.
Aprì la porta.
«Ciao Al!» esultò entrando nell'abitazione senza nemmeno chiedere il permesso.
Effettivamente, non ne aveva bisogno, considerando che quello era il posto in cui trascorreva la maggior parte delle sue giornate da mesi.
Da quando Eddie era partito.
Andrew alzò il braccio sinistro, con il quale teneva una borsa da cui usciva un profumo invitante.
«Cinese... ravioli, spaghetti e pollo» disse posando il cibo sul tavolo, poiché era entrato in cucina.
Il tuffatore conosceva i gusti di Alex, forse anche troppo e non solo a tavola.
Il londinese lo seguì.
Andrew si fermò subito, appena notò i vetri a terra. Si girò indirizzando lo sguardo verso i piedi di Alex, che dovevano fargli male da come camminava. Gli domandò cosa fosse successo e l'altro spiegò l'accaduto.
«Dai, andiamo in bagno che ti medico...» si rivolse ad Alex, mentre andava verso il bagno vicino alla cucina.
«Per le medicazioni l'occorrente è nel bagno di sopra» lo interruppe il ginnasta.

«Ahi! Mi fai male».
«Scusa Al... Avresti dovuto solo fare più attenzione» replicò tamponando le ferite sulla pianta del piede sinistro, che erano più lievi.
Terminò il lavoro.
Lo sguardo di Alex rimbalzò dal proprio piede destro già fasciato ad Andrew, chino sulle sue gambe, intendo a disinfettare i tagli.
«Finito!» disse soddisfatto, rimettendo a posto la garza per le fasciature.
Il londinese si sporse verso il tuffatore, appoggiando delicatamente la mano sulla sua mascella e portando il suo viso contro il proprio.
Lo baciò intensamente, bramando ogni suo singolo lembo di pelle.
Il giovane dagli occhi color verde smeraldo si staccò e prese per mano Alex, portandolo nella stanza da letto.
Si accasciarono dolcemente sulle lenzuola senza smettere di baciarsi.
Andrew si tolse la maglia, ma si fermò, desiderando far fare il resto ad Alex.
Quest'ultimo tolse frettolosamente i pantaloni al ragazzo, lasciandolo in mutande.
Vi era solo la fievole luce della piccola abat-jour sul comodino a illuminare la stanza.
Alex lo guardò negli occhi lasciando intendere ciò che avrebbe fatto.
Si avvicinò ai fianchi del ragazzo e appoggiò la punta della lingua sulla cresta iliaca per poi percorrerla tutta fino al legamento inguinale.
Più scendeva, più sentiva che Andrew non riusciva più a controllarsi e ciò che i suoi boxer nascondevano era impaziente di uscire.
Esercitò più forza in un punto, tanto da provocare un forte spasmo nel giovane che gemette leggermente.
La lingua di Alex gli aveva lasciato la pelle umidificata, sfiorata dal suo caldo respiro.
Gli tolse dunque ciò che copriva ancora il piacere proibito, lasciandolo nudo e spoglio di ogni vergogna.

I fianchi di Andrew si muovevano a tempo contro il corpo marmoreo del londinese. A ogni spinta i muscoli dei suoi glutei e i quadricipiti si tendevano, evidenziando ulteriormente il più che apprezzabile risultato di ore e ore di allenamento.
Gli accarezzò i fianchi fino a salire al petto e poi al collo.
«Sei mio».
Si fermò un attimo.
Si voltò per un instante: il tempo di spegnere l'abat-jour.
Ricominciò e più intensamente, suscitando nel ragazzo il desiderio di voler gemere.
Solamente più i loro occhi brillavano nel buio.
Una delle gocce di sudore che imperlavano la fronte di Andrew cadde sui suoi addominali, percorrendoli fino in fondo e unendosi all'umidità del piacere.
C'erano ancora le schegge di vetro in cucina e l'acqua della vasca sul pavimento del bagno.
Ai ragazzi non importava.
Loro godevano.

Si rivestì senza smettere di guardare Alex, avvolto nelle lenzuola che pochi minuti prima erano state teatro di sfogo dei loro desideri.
«Parto» disse con un'espressione più seria.
L'altro lo guardò incredulo.

*

Si distese nuovamente sul letto ancora ansimando.
Era la quinta volta quella settimana che Eddie e Nicolò lo facevano.
Quasi lo stremavano quelle notti di intensa lussuria.
Il telefono sul comodino vibrò.
Eddie lo prese.
Si girò verso il ragazzo con cui aveva fatto l'amore, vedendo che si era addormentato.
Accese il suo telefono e aprì una chat.

Che fai, piccolo?

Lui scrisse:

Stavo pensando a te...

L'altro rispose immediatamente:

Ti vorrei qui, Eddie.

Il ginnasta concluse:

Anch'io Froy.

In realtà Eddie non si sentiva molto in colpa nei confronti di Nicolò e non poteva negare a se stesso che con lui il sesso era davvero soddisfacente.
Tuttavia era consapevole che tradirlo in quel modo lo avrebbe ferito nel profondo.
Lui che lo aveva sempre aspettato, lì a Milano sospendendo la propria vita su quel ponte sul Naviglio, dove si erano conosciuti molti anni prima.
Gli arrivò un notifica.
L'aprì con fare nervoso: era Alex.
Alexander, il suo migliore amico, gli aveva riscritto dopo tutto quel tempo.
Lesse con il cuore in gola:

Per te ci sarò sempre, Eddie. Lo sai.

*

Stava attendendo tranquillamente e con un'insolita voglia una cena che in seguito avrebbe potuto definire mediocre.
Sul tavolino si trovava un biglietto, quasi stropicciato, come se fosse stato maneggiato troppo.
Un ragazzo biondo percorse il piccolo corridoio tra coloro che erano seduti fino ad arrivare davanti al giovane.
Si sedette vicino a lui.
«Buonasera» disse Alex.
«A lei» rispose l'altro, continuando poi a leggere il libro che aveva tenuto in mano fino a quel momento.
Si sorrisero, come per congedarsi. Alex rivolse lo sguardo fuori dal finestrino, vedendo le luci dell'aeroporto, le luci della sua città.
Di quella città in cui avrebbe impiegato tempo prima di tornare.
Sarebbe andato oltre tutto ciò a cui era stato legato a New York, oltre la vita che si era costruito.
Avrebbe fatto l'impossibile pur di riprenderselo.
Pur di riprendersi Eddie.
L'aereo decollò.

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