Capitolo 2. Alex

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Prendo un respiro profondo, mi faccio coraggio e vado ad aprire la porta.

Alex sta nel portico a qualche passo dalla porta, mi fissa impassibile. Noto subito i suoi occhi cerchiati, non deve aver dormito molto, i capelli castani schiacciati dal casco che ora tiene sotto al braccio destro. Non so cosa dire, mi bruciano gli occhi, mi faccio da parte per farlo entrare, non dice nulla, entra e poggia il casco sul tavolino accanto all'attaccapanni. Vado in cucina sperando di trovare qualche birra nel frigo e cerco di pensare a qualche frase per spezzare il gelo che si è creato tra di noi. Alex intanto sale in camera mia per cambiarsi, ha passato qui talmente tanti giorni e tante notti che nel mio armadio si è ritagliato un piccolo spazio per le sue cose. Si starà sicuramente mettendo la sua vecchia tuta nera con un buco all'altezza del gomito sinistro, non è un'amante dei jeans, da quando si è unito alla squadra dei Cheerleader si è pressoché sposato con tuta e felpe di 3 taglie in più con lo stemma della squadra, che nascondono il suo fisico atletico. Io al contrario vivo in jeans strappati ed i dolcevita, una combinazione atipica che mi ha sempre fatto guadagnare qualche risata passando nei corridori del Millian.

<< Ethan...>> la sua voce è esitante.

<< Ti aspet... ti aspetto sul divano>>. Ora ha acquistato un tono più deciso.

Prendo due birre e cerco invano nei cassetti il cavatappi, ma al suo posto trovo l'ennesimo biglietto di mia madre, stando alle indicazioni del Dott. Keller non devo essere a portata di oggetti contundenti e quindi ogni oggetto potenzialmente pericoloso è ora in ostaggio a casa della signora Lopez. Soffoco un grido dentro di me e recupero un accendino dal piano cottura, Alex è in grado di aprirle anche così, io al massimo potrei solo tagliarmi un dito provandoci e scheggiare la bottiglia.

Ad ogni passo verso il salotto aumentano i battiti del mio cuore, mi siedo all'estremità opposta del divano, incrocio le gambe e allungo l'offerta di pace ad Alex che stappa velocemente le birre e ne beve un lungo sorso. Niente cin-cin suppongo. Prendo un timido sorso della mia birra e lo fisso negli occhi; sta guardando la sua birra sottraendosi al mio sguardo.

<< Mi ha chiamato la polizia, tua madre, il Preside ...hai una fottuta idea di come mi sia sentito? Di come sono stato negli ultimi giorni? Mi hanno chiesto se mi avessi lasciato una lettera o se ti avessi spinto a gettarti nell'oceano, il nostro rapporto...una tua biografia completa in pratica >>. Si massaggia la testa esausto.

<< Spero tu non abbia detto a tutti che mi piace mettere il ketchup sulla pizza Hawaii. >> Ribadisco cercando di rubargli una risata.

Per la prima volta da quando è arrivato sorride, la tristezza sparisce dai suoi occhi color mandorla lasciando però spazio alla preoccupazione, a quella domanda muta che lo logora dentro da tutta la settimana. Tanto vale parlarne adesso e sperare di non passare il resto del sabato e della domenica avvolti in questa tensione fastidiosa, non sarà il mio baby-sitter, io voglio il mio migliore amico.

<< Alex, tu mi conosci. Non avrei mai e poi mai fatto una cazzata simile. >> Vorrei tanto convincerlo con queste mie parole, ma alla fine la mia voce trema, mi faccio forza e continuo.

<< Non sono mai stato depresso e nemmeno ora lo sono >>.

<< Ethan, io non vol...>>.

<< Non. Ho. Tentato. Il. Suicidio >>. Lo interrompo bruscamente.

Appoggio la birra sul tavolo, mi passo le dita tra i capelli corvini, sbuffo innervosito.

Non sono arrabbiato con lui e non voglio nemmeno dargli questa impressione, al contrario mi è mancato tantissimo, ma il telefono me l'hanno consegnato solo una volta dimesso dall'ospedale. Alex allarga le sue braccia e mi invita con lo sguardo a raggiungerlo dall'altra parte del divano; mi sdraio appoggiandogli la testa in grembo, inizia a giocare con i miei capelli.

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