2. La prateria dei cani felici

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 2.

La prateria dei cani felici

MATT(08.30): Nn mi aspettare. Faccio tardi ci vediamo a scuola ;)      

Erano le 8:35 e Lara Marinucci era appena riuscita a prendere l'Autobus dopo aver letto il messaggio di Matteo. Si sarebbero dovuti vedere al bar di Lello alle 8:10 e lei lo aveva aspettato per ben venti minuti.

Quel comportamento da parte dell'amico, quella non considerazione, si erano sommati all'ansia e alla frustrazione che aveva accompagnato il suo risveglio quel Lunedì mattina.

Ora c'era più di una ragione per cui odiare in particolare quel Lunedì.

Aveva avuto un incubo. Uno di quelli brutti. Forse per colpa dell'ansia al pensiero della partita di pallavolo che avrebbe dovuto disputare fra sole quattro settimane, e che in tre set avrebbe deciso del suo intero futuro.

Erano state queste due cose il motivo per cui, in un attimo di debolezza, aveva deciso di digitare sulla barra di Google "significato di sognare un prato verde e un albero rosso", stando ben attenta a non farsi sballottare dalle curve dall'autobus con il rischio di capitombolare addosso a tutte le altre persone ammassate in piedi come lei.
In generale una tipa razionale come Lara Marinucci, Capoclasse della sezione 5°C ragioneria dell'istituto Tecnico "Francesco Ferrara" di Roma, non avrebbe mai ricercato il significato della sua ansia in un sogno, ma quella determinata serie di immagini le avevano generato una sensazione di paura e nervosismo tale da lasciarla scossa fin dal risveglio.

Certo, le capitava di fare brutti sogni e a dire la verità erano anche in numero maggiore rispetto a quelli considerati gradevoli – come quando aveva sognato di avere un appuntamento intimo con quel figo di Alessandro Borghi – , ma da che ricordasse non le era mai capitato di trascinarsi addosso una sensazione così forte da inacidirle lo stomaco.

C'era qualcosa di sinistro nel sogno che aveva fatto e che al solo pensiero le rizzava i peletti chiari della braccia.
Non era stato un sogno confuso, anzi. Era stato tanto vivido che se avesse chiuso gli occhi, ne avrebbe rievocato le immagini. C'era un prato. Un enorme, infinito e vuoto prato. Ma non un prato verde e rigoglioso. Piuttosto, era uno di quelli fitti e grigiastri. E al centro esatto di quella distesa, si ergeva un solo albero completamente rosso. Ricordava di aver camminato, nel sogno, verso quell'albero, anche se tutto sembrava urlarle di correre via. Più si avvicinava e più un grande ronzio, come quello dei televisori a canale muto, aumentava di volume attorno a lei. Eppure proseguiva, poiché assieme a quella tremenda sensazione, ne nasceva un'altra. Un'emozione positiva che le dava la sicurezza che non era sola. Che altri stavano percorrendo quel percorso assieme a lei. Il ronzio diventava frastornante, ma grazie a quel pensiero, alla fine si trasformava. Diveniva piacevole.

A quel punto, si era svegliata.

Sudata, con la bocca impastata, il cuore che quasi le voleva scappar via dal petto e ancora gli strascichi di quel ronzio nelle orecchie. E se quella specie di rumore era diminuito col passare dei minuti fino a svanire, la stessa cosa non era stata per la sensazione unicamente negativa che quel sogno le aveva lasciato dentro.

Era lo stesso tipo di disagio che aveva provato nel maggio dei suoi sette anni, quando ancora viveva in campagna.
A quel tempo giocava spesso con una cagnetta randagia. Una bastardina dal pelo corto e beige. Era stato per questo che l'aveva chiamata Nala, come la leonessa del suo classico Disney preferito.
Nala con i bambini era brava, non mostrava mai i denti, faceva sempre le feste e se le tiravi un bastoncino non ci pensava due volte a corrergli incontro, con la sua linguetta costantemente penzoloni.
Non c'era bambino nel suo piccolo quartiere a non adorare Nala. Lei compresa. Anzi, forse, Lara era quella che l'amava più di tutti. E per un po', continuò ad amarla anche quando Nala smise prima di correre da lei, poi di mangiare dalle sue mani e infine di fare le feste.

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