The Seven

3. Il Cerchio dei Sette

 3.

Il cerchio dei Sette

Il pullman affittato dalla scuola terminò la sua corsa vicino al capolinea degli autobus di Piazza Venezia.

Nonostante l'acqua cascasse dal cielo a secchiate, la mole dei turisti del centro di Roma non si era lasciata scoraggiare. Armati di cartina della capitale nella mano sinistra, ombrello portatile nella destra e zainetto da campeggio multiuso sulla schiena, avanzavano a gruppi da venti.
A Matteo ricordarono i branchi di tonni, che invece di seguire il capofila come i pesci, seguivano con interesse e reverenza la svolazzante bandiera colorata e issata a mo' di faro della speranza dalla loro sottopagata, ma sorridente, guida turistica.

Piazza Venezia era sempre stata una delle piazze più affollate di Roma. Oltre a essere una delle più accessibili dagli autobus e dal Tram, aveva anche un perfetto collegamento con la modaiola Via del Corso – una via piena zeppa di negozi delle più grandi marche, in cui Francesca e Federico avrebbero preferito certamente passare la mattinata – e, tra le tante, il meraviglioso Vittoriano.
Un'imponente costruzione di marmo bianco, in cui svettava la statua dell'ultimo Re d'Italia in groppa a un enorme cavallo di dodici metri. Ben poca cosa rispetto all'enormità dei due baffoni di Vittorio Emanuele II° che, il padre di Lara aveva detto alla figlia, misurassero quasi più di un metro per baffo.

L'autista porse alla professoressa il piccolo microfono di bordo: «Well. Alzatevi lentamente e mi raccomando a non scordare nulla, che poi non torniamo con il pullman! Giorgetti mi riferisco soprattutto a te!» La voce resa ovattata e metallica non riuscì comunque a sovrastare del tutto il rumore degli studenti che si alzavano in piedi tutti assieme come un branco di bufali, si rinfilavano il giaccone, prendevano le borse o gli zaini, riponevano le cuffie e tiravano fuori gli ombrelli.

Matteo lanciò un'occhiata allo zaino di Nicola e poi uno a quello di Daniele accostandosi ai sedili per lasciare libero il passaggio agli altri ragazzi. Tossicchiò e abbozzò un sorriso.«Cavolo, mi sono scordato il pranzo. Non c'ho proprio pensato, con tutte le cose che c'ho avuto da fare... Ma che voi per caso c'avete qualcosa in più?»

«Non appena scendete, mi raccomando di non disperdervi, please. Stiamo tutti uniti e aprite gli ombrelli e...»

Daniele lo ignorò passando avanti assieme a Lucas, mentre Nicola gli lanciò un'occhiata sbrigativa. «Ho solo un panino per merenda e uno per pranzo.» specificò come se non volesse lasciare dubbi sul fatto che non gli avrebbe concesso neanche un morso. Lo superò e Matteo, con ancora il mezzo sorriso stampato sulle labbra, vide Federico Spezzaferro intento a uscire dal suo posto e far alzare in piedi anche Francesca.

«Va beh, al massimo mi fai dare un morso al tuo panino, eh Spezza?» e con fare amichevole, come se lui stesso avesse sempre fatto parte del gruppetto di Spezzaferro, Matteo poggiò la mano destra sulla spalla robusta di Federico.

A quel gesto Federico gli rivolse un'occhiata che fu prima sorpresa, come se si fosse reso conto solo il quel momento dell'esistenza di Matteo e, non appena parve realizzarlo, tramutò la sua espressione in un che di indifferente. «Ma vedi da levatte.» e con uno scossone poco amichevole fece trasformare il sorriso sprezzante dell'altro n una specie di risolino imbarazzato.

Francesca Bellacqua lanciò a Matteo un'occhiata tra l'incuriosito e il perplesso e, uscendo dal posto e proseguendo lungo il corridoio davanti al suo ragazzo, elargì un: «Che te stava a dì, amò?»
E Federico:«Ma che ne so è 'n cojone.»
Entrambi senza preoccuparsi di farsi sentire da Matteo, scesero le scalette per uscire dal pullman.

«.... Ricordatevi che dentro il museo si potrà entrare uno alla volta e non si può parlare a voce alta. Mi raccomando, cercate di essere un po' meno animali di quello che siete. Lo so che vi chiedo tanto!»