❥Extra 3.

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«Me lo dai un bacio?» gli domandò voltandosi e accarezzandogli la mano con il pollice. Cesare sorrise e avvicinandosi a lui fece scontrare le loro labbra in un bacio a stampo.
A quanto pare non importava a nessuno dei due se qualche passante avrebbe notato la cosa. Erano comunque tutti dei perfetti estranei, sconosciuti! L'opinione di persone esterne, che non sapevano nulla di personale di loro e del proprio passato, non li poteva affatto toccare ed importare.
I loro amici erano ormai alla struttura, potevano stare tranquilli. Nessuno li avrebbe visti. Nessuno avrebbe potuto dire qualcosa a riguardo a quei cari amici a cui stavano iniziando a nascondere un segreto non poi così piccolo. Ma per il momento andava bene così. Erano pur sempre all'inizio di questa "situazione". Non sapevano, o quasi, nemmeno come comportarsi l'uno nei confronti dell'altro. Figuriamoci se era possibile ed immaginabile l'idea di confessare tutto ai loro compagni di lavoro, nonché amici di una vita.
Si godevano a pieno, con tutti i sensi, quella piacevole passeggiata notturna in solitudine per le vie nuove ed inesplorate di un'eterna Roma. Chiacchieravano del più e del meno senza sapere dove si stavano dirigendo con precisione.

L'importante era stare insieme!

I piedi, che andavano completamente da soli, li portarono davanti una sotto specie di piazzetta circolare adornata da panchine in pietra molto carine. Non era presente nessuno e decisero di fare una piccola sosta in quell'angolo verde.
«Sono diventato un pouf poggiapiedi per caso?» chiese Nelson visto che l'altro aveva adagiato poco delicatamente le gambe sulle sue, sdraiandosi di tre quarti sulla panchina. «Dai... Mi sa che alla fine davvero qualcosa mi ha fatto digerire male» si lamentò quello steso. «Aaah, laido di un Giuda! Allora non volevi passare del tempo con me da solo. Infame!» incalzò il ricciolino. «Direi queste ed altre mille fandonie pur di stare anche un minuto solo con te!» ribatté Cesare avvicinandosi alla sua bocca per poi baciarla a stampo.
Si rilassarono lasciandosi scompigliare i capelli un po' dalle loro dita, un po' da quelle leggera brezza serale.
«Ma ti vuoi coprire un po'?» gli spostò la camicia, fissando quegli occhi marroni, tendendola a chiudere un minimo. Nelson però la riaprì, se non maggiormente, mettendo in evidenza il segno che gli aveva lasciato l'amante nella parte alta del petto. «Lo stai sfoggiando come fosse un gioiello prezioso» scherzando, ma cercando di rimanere serio, parlò Cesare. «Tu gli dai un'importanza?» chiese l'altro sfiorandosi la pelle toccando il marchio rossastro. «Beh, certo! Non te l'ho fatto mica per ripicca o vendetta, non facevo sul serio quando te l'ho detto» sincero affermò. «E tu gli dai un'importanza?» rivoltò la domanda. «Certo che sì» affermò subito.
«Io lo trovo un segno d'amore, di passione e anche un po' di possessione» si spiegò Nelson. «Siamo sulla stessa lunghezza d'onda allora» concordò.

Un marchio indelebile che spiega senza parola alcuna l'impegno verso un'altra persona.

Prendendo una posizione comoda si abbandonarono a quel momento di pace e tranquillità.

«Cesi...» ruppe il silenzio accarezzandogli le caviglie ancora posate sulle sue gambe. «Dimmi» rispose semplice. «Non ti sembra assurdo essere arrivati a tutto questo?» chiese con il capo rivolto verso l'alto, osservando le stelle che si nascondevano dietro qualche nuvola nel cielo. Prese una pausa. «Avresti mai pensato che saremmo finiti così?» continuò. «Succedeva soltanto nella mia mente, magari catapultando quei pensieri in qualche sogno» confessò schietto l'altro. «Mi racconti un po'?» curioso, disse aggiustandosi gli occhiali sul naso e addirizzando la schiena.
Cesare lo seguì mettendosi anch'esso diritto con la schiena, spostando e puntando i piedi oltre le sue gambe per poi piegare le ginocchia. Facendo scivolare di poco il sedere si avvicinò di più all'altro. Ora potevano decisamente guardarsi meglio negli occhi mentre interloquivano.
«Non c'è molto da dire, se non che è stata tutta colpa tua e di quelle mani che mi hai messo sul sedere quella sera» lo pungolò dandogli un pugnetto sulla spalla. «Io volevo solo il mio drink, mi aspettavo una brusca reazione da parte tua... Perché non hai fatto nulla?» proseguì sempre incuriosito. «La verità? Non lo so Nelson! Forse lo volevo in quel momento e perché non mi dava fastidio se eri tu a farlo? Non lo so! L'unica cosa ben nota è che dopo quella sera tutto è cambiato!» tornò serio. «Già...» pensieroso accordò l'altro. «Sei d'accordo con me?» domandò. «A pieno!» esclamò senza pensarci. «Io invece pensavo di essere l'unico ad aver sentito... Non so... Qualcosa quella sera. Quindi mi sbagliavo?» chiese. «Posso affermare ormai di sì Cesare, sbagliavi. Dopo quella sera è iniziato uno strano percorso per quanto mi riguarda. Un po' intricato e non semplice da affrontare» si rabbuiò un tantino. «Lo stesso vale per me. Sono stati davvero dei brutti mesi. Pieni di domande ed interrogativi a cui non sempre riuscivo a dare una risposta» si aprì cercando di fargli capire che entrambi avevano sofferto per colpa di parole non dette, ma gridate in pianti liberatori in solitaria, e che quindi comprendeva bene cosa avesse provato. «Però guardaci ora Nelson. Ci vedi?» parlò sfiorandogli la barba. «Sono davvero contento che alla fine tutto quel dolore si sia tramutato in questa gioia che non avevo mai provato prima. Mai!» replicò.

𝓔𝓿𝓮𝓻𝓮𝓼𝓽  || 𝓒𝓮𝓵𝓼𝓸𝓷Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora