𝖽𝗂𝖼𝗂𝗈𝗍𝗍𝗈 ❙ 𝗽𝗶𝗼𝗴𝗴𝗶𝗮

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New York era in fermento.

All'ospedale avevano avuto accesso solo Jimin, Taehyung, suo padre, e la zia di Jungkook, il quale, al momento, era sotto i ferri.

Erano tutti immersi nella quiete più totale, anche gli altri pazienti aspettavano con ansia un verdetto.

La povera Zia May piangeva in silenzio, consolata da Jimin che era tanto sconvolto quanto lei, ma almeno ci provava.

Jungkook sarebbe potuto morire, e la colpa era sua, lui avrebbe potuto evitarlo, il suo amico si era sacrificato per lui.

I sensi di colpa lo stavano corrodendo dall'interno come fossero acido, ed era talmente evidente che qualcuno se ne accorse.

-non è colpa tua, Jimin- parlò infatti Taehyung, con tono dolce e pacato, allungando una mano per poggiargliela sulla spalla in segno di conforto.
-è stata una sua scelta, non essere duro con te stesso-

Jimin non sapeva cosa pensare.
A confortarlo era il ragazzo del suo migliore amico, la persona che avrebbe potuto incolparlo della probabile morte del suo fidanzato, e ciò, in parte riuscì a tranquillizzarlo.

-tu non fingere di non essere preoccupato- gli rispose, guardandolo negli occhi e scoprendo che erano lucidi, come le sue guance erano rigate dalle lacrime che avevano lasciato dei lunghi segni verticali.

Il rosso sospirò, puntando con lo sguardo la porta dietro la quale si celava Jungkook in punto di morte.
-ho paura-
-ma dentro di me so che ce la farà-

Jimin abbassò lo sguardo sulla sua mano, che stringeva compulsivamente la stoffa dei pantaloni, e la intrecciò con la sua.
-ce la farà-

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Quella sera New York pianse.

Il cielo si scurì e un terribile temporale si abbatté sulla città, ma nonostante la pioggia, tutti gli abitanti uscirono dalle proprie case per lasciare un fiore o un dono a Union Square, per ricordare e dare omaggio al loro supereroe.

Quella sera New York si sentiva una metropoli come le altre, i suoi abitanti si sentivano vuoti, privati di una parte di loro stessi.

E quella sera, un corpo venne portato via dall'ospedale, mentre sulla scrivania del medico, un certo Kim Seokjin, vennero poggiati delle banconote, tenute da un elastico.

Diecimila dollari in contanti.

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-Spider-Man amava New York-

Tutti si erano riuniti davanti al memorale di Spider-Man, a Union Square

A differenza del giorno prima, i raggi potenti del sole illuminavano la città, tutti erano lì ad ascoltare le parole di Park Jimin, il migliore amico di Jeon Jungkook, ovvero Spider-Man.

I bambini indossavano maschere, costumi, alzavano al cielo bandierine e girandole; in un momento di tanta tristezza, tutti erano uniti per non dimenticare, per ricordare tutto il bene che il loro supereroe aveva portato ad ognuno di loro.

-amava ognuno di noi, avrebbe sacrificato se stesso per tutti voi. Lo avrebbe fatto anche per chi non ricambiava il suo amore e chi per qualche futile motivo lo odiava-
-era un ragazzo semplice, come tutti gli altri, e nonostante la fragilità del suo animo, lui proteggeva tutti noi. Metteva sempre gli altri al primo posto-
-Spider-Man era un eroe. Lo è e lo sarà per sempre. Ho sempre voluto essere come lui. Anch'io volevo essere un eroe. Ma ciò che mi ha trasmesso è il suo altruismo, il suo puntare sempre a migliorare e a fare il possibile. Per cui oggi vi dico questo: ognuno di noi può essere un eroe. Spider-Man non è morto...lui rimarrà per sempre qui- la sua mano destra si andò a poggiare sul suo petto, e molte persone nella folla scoppiarono a piangere.
-resterà una parte di noi, una parte di questa città, come lo è sempre stato-

𝘀𝗽𝗶𝗱𝗲𝗿-𝗺𝗮𝗻 ; kv ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora