Capitolo 8

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Fraser si domandò come facessero gli scout a girare nel bosco di notte. Già di giorno era decisamente scomodo, figurarsi con quel buio terribile e tutte le radici degli alberi che bloccavano le gambe.
«Alex!» sussurrava ogni tanto, mentre procedeva alla cieca, affidandosi solo alla luce della torcia. E se si fosse perso? Se avesse incontrato un qualche animale? Rabbrividì, sentendosi fortemente in colpa. Si era avventurato da solo nel bosco perché lui non l'aveva fatto venire con i ragazzi della squadra. Se ad Alex fosse successo qualcosa, sarebbe stata solo colpa sua.
«Alex!» sussurrò nuovamente, procedendo in avanti. Non sapeva se sarebbe stato in grado di ritrovare la strada per il campo, quindi si fermò e sospirò. Forse non aveva senso continuare in quella disperata ricerca, poteva aver preso qualsiasi direzione e Fraser non era certo capace di seguire delle tracce, soprattutto di notte. Sentì un rumore alle sue spalle, quindi si voltò, puntando la torcia in quella direzione.
«Alex, sei tu?» domandò, avvicinandosi. Fece qualche passo, quindi inciampò in una radice e cadde rovinosamente a terra, imprecando. Sentì una risata vicino a lui, per cui alzò la testa e vide un ragazzo che lo fissava.
«Tu sei sempre maldestro» commentò lo spagnolo, avvicinandosi a lui e aiutandolo ad alzarsi. L'altro accettò la sua mano, tirandosi su, poi lo guardò di sbieco.
«Alex!» disse, seriamente sollevato di vederlo. Era vivo, tutto intero e sembrava non avere nessun problema.
«Sì, so come mi chiamo. Ma tu cosa ci fai qui?» gli chiese, abbassandogli la torcia per proteggersi gli occhi.
«Dove eri finito? Sono rientrato e non c'eri, così sono venuto a cercarti» rispose Fraser, affannato per la caduta e lo spavento. Alex scosse il capo.
«Ero solo andato a farmi un giro, non volevo farti preoccupare. So come girare nei boschi. Tu, invece, no. Se non ti avessi sentito cadere, ti saresti potuto perdere» gli fece notare. Fraser non poté non constatare come i suoi occhi fossero luminosi anche al buio, come se godessero di luce propria. Fissarli gli faceva battere forte il cuore: erano veramente stupendi.
«Mi dispiace di averti liquidato in quel modo prima» snocciolò il ragazzo, appoggiandosi a un albero. L'altro sorrise ancora.
«Non ti preoccupare, non ce l'ho con te. Vuoi vedere dove ero andato?» propose poi lo spagnolo. Fraser guardò l'orologio, pensando alla sveglia alle sei del coach, ma scrollò le spalle. Ormai erano lì, tanto valeva seguirlo.
«Andata» decise, avvicinandosi a lui. Questi si voltò e fece strada. Procedettero in assoluto silenzio per uno o due minuti, facendosi largo tra le sterpaglie del bosco. Fraser notò come Alex si muovesse bene tra gli alberi. Era evidente che fosse veramente a proprio agio. L'ombra scura del suo corpo, proiettata da una luna luminosa e alta in cielo, gli faceva da guida. Avvertì una sensazione che non sentiva da tempo, da prima della partenza di Nathan. Era difficile descriverla, ma quel che sapeva è che avrebbe seguito quel ragazzo ovunque l'avesse condotto. Non sapeva perché, ma si fidava ciecamente di lui, e in quel momento se ne rese conto. Arrivarono in un punto del bosco dove una piccola radura si estendeva tra gli alberi. Alex si fermò, quindi indicò verso l'alto, sedendosi poi per terra. Fraser alzò lo sguardo e vide esattamente tutte le stelle. Rimase sbalordito davanti a quell'immagine: la purezza del cielo, nella notte, illuminato dalla luna che mostrava le stelle tra gli alberi alti e maestosi.
«Mozzafiato, vero?» chiese Alex, che nel frattempo si era sdraiato a pancia in su. L'altro lo imitò, stendendosi sul terreno.
«Sono senza parole» commentò, osservando sempre il cielo. Alex poi si girò verso l'altro ragazzo, sorridendo.
«Sei stato veramente carino a venire a cercarmi» gli disse. Anche Fraser si voltò verso di lui, perdendosi ancora un momento nei suoi occhi profondissimi.
«Mi sembrava il minimo. Pensavo ti fosse successo qualcosa» ribadì, con un filo di voce. Quella situazione gli stava togliendo il fiato. Sentiva la gola secca e il cuore che gli batteva a mille nel petto. Fu in quell'istante che gli tornò alla mente Nathan, quella sera in cui erano ubriachi. E, in rapida successione, il ricordo di Anthony e di ciò che si era imposto di dimenticare. Scosse il capo, alzandosi repentinamente in piedi. «Dovremmo andare, o domani saremo degli zombie.»
«Hai ragione» rispose Alex, leggermente stupito dal comportamento dell'altro. Si alzò, pulendosi i pantaloni dalla terra.
«In che direzione era il campo?» domandò Fraser, voltandosi. Alex si avvicinò a lui.
«Di là» disse, indicando una zona tra gli alberi. L'altro lo fece passare, permettendogli di fare strada, quindi lo seguì. Era evidente che fosse calata una certa freddezza tra i due. Fraser non avvertiva più le sensazioni di prima, che, invece, erano state sostituite da un pensiero fisso: tutto ciò che aveva fatto con Nathan e con Anthony era un insieme di errori da non ripetere. Nessuna delle due situazioni aveva portato a nulla di buono, questo era più di un indizio per Fraser.
Una decina di minuti più tardi, arrivarono al campo. Il silenzio regnava sovrano, quindi cercarono di non fare rumore mentre entravano in tenda. Una volta accomodati, si stesero uno accanto all'altro e si coprirono usando la dotazione che gli aveva fornito la receptionist negli zaini assieme alle tende.
«Buonanotte» disse Fraser, l'altro annuì, ancora sorridente.
«Buonanotte, Frasie» rispose, voltandosi dall'altra parte. Fraser spalancò gli occhi. Perché l'aveva chiamato in quel modo? Solo tre persone usavano quel diminutivo: Erik, Annie e Nathan. Scosse il capo, imponendosi di dormire. Non voleva pensare a Nathan, né al fatto che Alex gli ricordava tanto il proprio amico. Si girò anche lui dall'altra parte, quindi chiuse gli occhi, sperando di non sognare quegli occhi blu nei quali si stava perdendo qualche minuto prima.

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