2. Il mio maglione tuo

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A te che mettevi il maglione verde anche in Giugno

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Un giorno, per caso, mentre camminerò distratta per le vie di Roma, sentirò questa canzone suonare piano dalle finestre socchiuse di una casa e ripenseró a te. Ripenserò a quella volta che mi avevi telefonato e sul lungo Tevere erano le cinque del mattino e io piangevo mentre sulla città regnava un cielo color ghisa e tu eri già lontana da un sacco di tempo e io non avevo mai amato così. Mi sentirò profondamente infelice provando a ricordare la nostra storia, ripensarla, scriverne, e tutto diventerà ingarbugliato, non troverò le parole e finirò per vedere solo particolari come una tua piccola frase, uno sguardo particolarmente fuggitivo, sempre tuo, o come quel giro in bicicletta per le vie di Roma nello stesso maglione in due.
Ricordi? Stavamo insieme da pochi mesi, io ero dovuta tornare in Italia e tu poco dopo mi avevi raggiunta. Ma io dovevo lavorare e ogni tanto ti lasciavo da sola. A te non dispiaceva, la solitudine non ti é mai dispiaciuta, dicevi. Cosí quel giorno avevo preso la mia bicicletta ed ero andata in studio per lavorare a un nuovo brano. Ero stata via tutto il giorno e ci eravano incontrate a Campo de' Fiori solo nel tardo pomeriggio. L'idea era quella di prendere qualcosa da bere e poi tornare a casa a piedi insieme. Io ti guardavo, seduta a quel tavolino mentre mi raccontavi quello che avevi fatto in mia assenza, ed eri bellissima. Ti guardavo e non mi sembrava possibile di stare così bene con una persona.
In quelle sere, sdraiate sul letto, ci raccontavamo le nostre storie passate e le nostre paure per il domani. Io ti ripetevo in continuazione che alla fine di quelle settimane, quando saresti dovuta tornare in Brasile, sarei stata tristissima. Tu mi sorridevi senza dire niente. A me dispiaceva un po' che anche tu non dicessi che ti sarebbe smisuratamente dispiaciuto non vedermi per un intero mese. Ma era solo un istante, bastava che sollevassi di nuovo lo sguardo e c'eri di nuovo tu, la mia Ana senza aggettivi.
Ce ne stavamo anche zitte ogni tanto, abbracciate sul letto, i nostri respiri che andavano su e giú. Erano i silenzi piú lenti e maledettamente intensi che avessi mai ascoltato.
Altre sere invece ci volevamo bene come in certi romanzi.
In quelle sere di primavera romana, sedute sul divano della sala con i libri sparsi un po' in giro, la musica a basso volume e una candela accesa, avevo cominciato a capire cosa fosse la felicità: guardare in silenzio le tue labbra, i tuoi capelli, le tue mani alla luce di quella candela.
Mentre eravamo lì, sedute al tavolino di quel bar, tu parlavi con una naturalezza e un trasporto particolari. Mi sembrava come se io lì ci fossi già stata, come se ti avessi già conosciuto, come se tra le pieghe della memoria esistesse già qualcosa di te in una vecchia foto di scuola, nel profumo di una rosa, nel giro di accordi di una chitarra acustica.
All'improvviso il cielo si era fatto scuro e si era alzato un forte vento.
Ricordi? Ho afferrato la bicicletta e ti ho detto di sederti dietro. Tu mi hai guardato con quel tuo sguardo, stavi per dire qualcosa quando un forte tuono é riecheggiato nell'aria e allora sei saltata dietro alla bici e ti sei stretta a me.
"Infilati sotto il mio maglione" ti ho detto. Mi hai guardato di nuovo con quel tuo sguardo ma non ho dovuto ripetertelo due volte. Le prime gocce di pioggia cominciavano a scendere e così ti sei infilata a fatica nel maglione, solo la testa fuori, le braccia dentro strette al mio corpo.
Io guidavo la bici e tu te ne stavi appollaiata dietro con il vento gelido che ti soffiava sulla faccia e la mia nuca a due centrimetri dal tuo naso.
Pensavo che sarei potuta essere un'altra, in un posto diverso, e invece ero proprio lì, con te appollaiata dietro di me, che pedalavo a tutta velocità per i vicoli di Roma in uno splendido pomeriggio diventato improvvisamente freddo e cupo.
Ed ero piú emozionata a stare lì, con il tuo corpo abbracciato al mio, di quanto non fossi mai stata nei momenti particolarmente erotici della mia vita.
Questo nostro amore nato da pochi mesi, era per me talmente nuovo, fresco e anche un po' da libro ma con un giorno già stabilito che sarebbe arrivato, purtroppo, a dividerci ancora una volta. E mi venne il cuore in gola a pensare che tra pochi giorni saresti ripartita e che per un mese non mi sarei piú svegliata al tuo fianco, non avrei piú sentito la tua risata ogni volta che facevo una battuta scema, non avrei piú sentito il tuo profumo sul mio maglione dopo una giornata passata insieme.
Cercavo di convivere con questo sentimento mentre ero impegnata a pedalare e sentivo che noi due eravamo veramente una cosa sola, il tuo petto contro la mia schiena, le tue mani sui miei fianchi e quel non capire mai esattamente cosa volevamo l'una dall'altra, perché soltanto dandoci la mano avevamo giá tutto.
E all'improvviso tu hai iniziato a cantare. Non so come ti sia venuto in mente ma hai inziato a cantare. Solo pochi versi, le prime parole della canzone. Poi mi hai stretta forte come se avessi voluto abbracciarmi per tutte le volte che saresti stata a 7752 chilometri di distanza e non avresti potuto farlo. 
Da quel giorno tutte le volte che ero lontana e sentivo la tua mancava mi bastava indossare questo maglione e ascoltare questa canzone e con gli occhi chiusi ero ancora quella ragazza che pedalava sulla sua bicicletta con te abbracciata dietro.
Perció si, un giorno, per caso, mentre camminerò distratta per le vie di Roma sentirò questa canzone suonare piano dalle finestre socchiuse di una casa e ripenseró a te.

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