Capitolo 1

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Storia scritta per il concorso letterario "Context Roulette" indetto da Moody_Isa e DeboraRebai

È quasi mezzogiorno, il cielo è di un azzurro limpido e dall'alto del mio ufficio Seul sembra silenziosa.
Da questa prospettiva le automobili sono minuscole, gli edifici sembrano case per bambole e le persone tutte uguali.
Chissà se Jungkook si trova su uno di quei taxi che percorrono le vie della città, forse ha deciso di andare a piedi, l'inverno non è particolarmente freddo quest'anno e oggi c'è un bellissimo sole.
Il mio sguardo si perde tra i passanti, da qui mi sembra quasi di riuscire a distinguere i volti di tutti nonostante la lontananza.
Osservo quelle piccole figure e mi chiedo che vita facciano, quale sia il loro lavoro, se siano felici...
E se dovessi vedere Jungkook tra di loro? Lo riconoscerei da qua, vero?
«Hai intenzione di passare tutta la pausa pranzo imbambolato davanti alla finestra, hyung?»
Una voce fastidiosa interrompe i miei pensieri, non mi disturbo nemmeno a girare lo sguardo «Park, quante volte ti devo dire di chiamarmi per cognome?»
«Dai hyung, siamo amici da una vita ormai, sempre con questa storia.»
«Siamo colleghi, non ti sbilanciare troppo.»
«Colleghi da quattro anni!», precisa lui.
«Non lavoriamo nemmeno nello stesso reparto, eppure sei sempre qui.»
«Però l'ufficio di design è vicino al tuo». Dice sprizzante, «Comunque, come vuoi tu: quindi, egregio signor Min Yoongi, mi farebbe la cortesia di consumare il suo pasto con il sottoscritto?»
Sospiro, continuando ad osservare la vita al di fuori di quel doppio vetro e penso che preferirei comprovare l'effettiva distanza tra questo ufficio e la strada sottostante, lasciandomi cadere dalla finestra, piuttosto che passare un secondo di più con Park Jimin.
Poi penso che suicidarsi a causa sua sarebbe davvero uno spreco e allora decido di rispondergli «Perché?»
«Così, ti porto a mangiare un hamburger, dai.»
Mi afferra per un braccio e riesco giusto a prendere il mio cappotto prima di essere trascinato giù per l'ascensore.
Fuori fa freddo, ma la giornata è ancora più splendida di quanto sembrasse dalla mia scrivania.
Osservo le strade illuminate dal sole, se non fosse per la temperatura potrebbe sembrare una bellissima giornata primaverile.
Jimin mi prende a braccetto e sono costretto a seguirlo «Comunque può essere considerato sequestro di persona, sappi che se non ti denuncio è solo perché non ho voglia di entrare in un processo».
Lui ride di gusto, cosa che fa ogni volta che lo insulto o lo tratto male, mi dà sui nervi.
«Dai, hyung, è un nuovo fast food qui vicino, vedrai che non te ne pentirai.»
«Ormai sono qui, ti conviene che ne valga la pena.»
Finalmente Jimin lascia la presa, come se solo ora fosse sicuro che non fuggirò a gambe levate e io, per la prima volta in questa giornata, mi sento costretto a ricambiare il suo sguardo; i miei occhi si incatenano al volto inesistente di lui, a quella faccia vuota, a quell'oscurità inquietante che mi provoca la solita sensazione di disgusto e smarrimento.
Ecco perché lo disprezzo, ecco perché l'ultimo posto in cui vorrei trovarmi è con lui: Park Jimin è un uomo senza volto.

Sono le sei, l'ufficio è quasi vuoto e quando alzo lo sguardo attirato dal rumore della porta che scricchiola, sorrido spontaneamente.
Namjoon mi aspetta sulla soglia della porta con un'espressione allegra «Hai finito, hyung?» chiede facendosi strada nell'ufficio e arrivando alla mia scrivania, l'unico rumore nella stanza è il flebile ticchettio di tasti premuti.
Mi stiracchio e annuisco «Sì, che ci fai qui?»
«Dovevo passare dall'ufficio del signor Lee.»
«Ah», mi alzo e vado a prendere il mio cappotto, mentre lui mi segue con lo sguardo, appoggiandosi alla mia scrivania, «e cosa voleva il signor Lee?»
Lui si stringe nelle spalle «Devo lavorare ad una nuova traduzione».
Sto per rispondergli quando noto una testa castana piegata dietro un computer «Ehi tu, che ci fai ancora qui?» cammino imperioso verso di lui, «Non hai finito il lavoro assegnato per oggi?»
Il ragazzo salta sul posto, è Jung Hoseok, un nuovo stagista.
I miei occhi osservano vacui quella testa priva di volto «È tardi, vai a casa».
«Mi scusi signor Min, mi stavo portando avanti e non mi sono accorto dell'ora.»
Lo osservo con circospezione «Beh, vai a casa».
Jung si scusa e lascia la stanza a tempo record.
«Ti fai rispettare», ridacchia Namjoon.
Indosso il cappotto e ci incamminiamo «La qualità del lavoro è la cosa più importante, nonostante le scadenze».
«Certo», asserisce lui.
«Se i miei operatori si stancano e non correggono le bozze come si deve, è il singolo editore e l'intera casa a rimetterci la reputazione.»
«Anche questo è vero, sapevo che saresti stato un ottimo direttore del tuo reparto, un po' rude forse...» dice con leggerezza, salutando con la mano la signorina Kim prima di uscire dall'edificio.
«Sono stato rude?» chiedo stupito. Lui ridacchia, dicendo che è solo il mio carattere.

Anche se sta già iniziando a far buio la giornata è ancora bella; infatti andiamo a casa a piedi.
Le parole del mio amico mi fanno pensare, tutto quello che Namjoon dice mi fa riflettere sempre, è il mio migliore amico per una ragione.
Non mi sembrava di essere stato particolarmente rude con Jung Hoseok, forse si nota troppo la diffidenza che provo per quel genere di persone.
Jung e Park, come tante altre persone che ho incontrato nella mia vita, appartengono ad una categoria che io definisco: "Senza-Volto".
Cerco di non fare discriminazioni sul lavoro, ma quando osservo quelle facce vuote non riesco a non pensare alla differenza evidente che c'è tra me e loro e sento il desiderio di scappare il più lontano possibile, come se fossero contagiosi, magari lo sono, chissà.
Invece stare con persone come Namjoon: intelligenti, con la testa sulle spalle, indipendenti e di cui posso vedere il volto perfettamente, mi fa sentire a mio agio.
Mentre passeggiamo mi racconta cosa gli è successo durante la giornata, del suo lavoro che principalmente svolge da casa e di quel ragazzo con cui si sta sentendo via internet.
Non sono convinto di questo ragazzo ma conoscendolo so che sceglierà una persona adatta al suo livello.
«Arriva oggi Jungkook?» mi chiede Namjoon mentre saliamo le scale del nostro condominio.
Sorrido istintivamente «Dovrebbe essere già a casa, ha una copia delle chiavi, non mi ricordavo di averti detto che sarebbe arrivato oggi».
«Mi hai detto che arrivava in settimana, ho solo fatto una supposizione sulla base del sorriso che hai stampato in faccia.»
La sua affermazione mi stupisce, tanto che rimango a bocca aperta come un idiota, non mi ero accorto che stavo sorridendo.
Lui ride di gusto, gli piace cogliermi impreparato.
«Beh, buona serata allora, domani passo da voi, non lo vedo da un sacco di tempo», mi saluta appena arriviamo davanti al suo appartamento.
«Ok, a domani».
La mia porta di casa è esattamente davanti a quella di Namjoon e quando entro nel mio appartamento trovo due borsoni abbandonati a terra vicino al divano, un paio di scarpe lasciate alla rinfusa davanti alla porta e sento dal bagno il rumore dell'acqua che scende.
Sorrido divertito perché nonostante glielo abbiamo fatto notare tutti, tra parenti e amici, Jungkook si ostina a viaggiare con quelle scomode borse invece che con delle normali valige.
Raccolgo la sua roba e la porto nella mia stanza, che condivideremo per tutta la sua permanenza a Seul e poi vado in cucina a preparare la cena mentre attendo che esca dal bagno.
Non vedo Jungkook da sei mesi; nell'ultimo periodo lui era totalmente preso dalla scuola e io dal mio lavoro.
Ora che si è finalmente diplomato gli ho chiesto di venire a stare da me per un po'. Ho voglia di vederlo, di averlo qui con me e di supportarlo in un momento di svolta così delicato della sua vita.

Sto girando la carne quando sento due braccia avvolgermi le spalle da dietro: la corporatura è molto più robusta della mia nonostante la differenza di età e il profumo che mi riempie le narici è quello inconfondibile di nostra madre e della nostra casa.
Sono al settimo cielo, perché siamo sempre stati insieme e mi è mancato da morire.
Vorrei imprimere in maniera indelebile questa sensazione nella mia mente, ma alla fine sono costretto a girarmi e a tuffare il mio sguardo in quello di lui.
Mi si stringe il cuore ma sorrido e lo abbraccio, perché se Jungkook è un Senza-Volto, è solo colpa mia.

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