Capitolo I _ Tu ed io

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11 Juny
Paimpoint

Caro Jason,
ti scrivo questa lettera perché ho molto di cui parlare e volevo ripeterti che mi manchi, più di chiunque altro al mondo.
Forse ne leggerai il contenuto e lo ignorerai completamente o forse la getterai via, la strapperai o chissà cosa, controllando il nome del mittente: "Margot Sanders", ma sappi che considero tutto ciò che ho scritto davvero importante e voglio che tu ne sia al corrente.
Non so cosa ti abbia spinto ad allontanarti da me e non so nemmeno il motivo del nostro litigio. Non voglio riportare alla mente quel fatidico giorno che tu fermasti tutto, la nostra relazione, che per me valeva più di quanto immagini, nella mia vita. Tu, tu ed io insieme. Sei sempre stato indispensabile per me, poi da 4 anni passati mano nella mano, a scambiarci bigliettini in classe e tu, con le tue lettere d'amore pronunciate ad alta voce, stando seduti su una panchina. Tu che eri più bello, persino del mio vestito nuovo per il ballo di fine anno scolastico. Tu. Tu, eri e sei ancora nel mio cuore parte essenziale, fondamento dei miei sorrisi, nei momenti di sconforto e di tristezza. Tu eri per me parte di un tutto, parte della mia vita, di me. Tu eri mio, ed io ero tua. Ripeto, non so qual è stata la "disconnessione" fra noi due, che ti ha portato a tale decisione. Stavamo così bene insieme, persino Emily l'ha confermato, seppur nel suo modo snob ed indifferente di fare, tale dark è.
Le tue urla, quando abbiamo cominciato? Quando abbiamo cominciato a non capirci più e non a superare più questi conflitti? L'abbiamo sempre fatto, solo non questa volta.
Forse non mi ami più come una volta o ti frequentavi con qualcun'altra, magari con Sarah, la tua ex. O mio Dio, no. Non dirmi che avete ricominciato a scrivervi da un po' di mesi. In effetti notavo certi sguardi che lei ti dava. Sono stata un'idiota a non rendermi conto che in realtà amavi più lei che me. Ma... forse mi sbaglio, forse.
Dimmelo tu, va bene? Dimmi tu perché mi hai lasciata. In questi giorni stava andando tutto per il meglio. Mi ero riconciliata con due, tre mie amiche, risolvendo un paio di fraintendimenti, Emily mi aveva regalato tre biglietti per un concerto, la scuola era finita e potevamo goderci un'estate intera: tre mesi di spensieratezza, relax e puro divertimento. Avevo già programmato tutto. Avrei voluto tanto farti conoscere i miei nonni in America e passare interi pomeriggi tra le tue braccia, mano nella mano, passeggiando per le vie di Paimpoint, sorseggiando frappè e sporcandoci il naso di gelato a vicenda, guardando film romantici, che tu tanto odi. Ci hai mai pensato? Ci stai pensando ora?
Comunque, Emily mi ha detto che il terzo biglietto ha deciso di venderlo a una sua amica, se si può definire così. Già e così il concerto sarà tra amici, anche se forse Emily è più contenta perché nell'averli comprati si sentiva abbastanza infastidita, si sentiva la terza incomoda, anche se in fondo tu le stai abbastanza simpatico. Ho detto abbastanza? Ah, forse ho esagerato, ma lascio il giudizio a te, di rifletterci.
Continuando a parlare di NOI DUE, volevo ricordarti di alcune follie fatte insieme, anche solo per ricordarti che una volta non avevamo questi tipi di litigi così frequenti.
Ci ripensi mai a quegli eventi insieme? A noi, che ci rincorrevamo per i prati di montagna; a noi che facevamo a gara per chi arrivava prima dal gelataio, tu che mi offrivi una leccata del tuo alla nocciola, io che invece preferivo il gusto al limone. Tu, che qualche volta, giocando ad obbligo e verità, mi costringevi ad ordinare due palline, una al bacio e l'altra al puffo, il tuo gusto preferito. Tu, che mi sporcavi di gelato il viso e io che ti rincorrevo dietro infuriata con te, ma divertita, alla fine, comunque. Tu, che, mentre facevamo la coda per la torre Eiffel, mi parlavi a vanvera e confabulavi alla gente dietro di noi, che io ero bellissima e io che chiedevo scusa, che eri solo un idiota a dirlo. Io, che poi ti sgridavo, perché lo facevi sempre, raccontavi al mondo intero, a qualsiasi perfetto sconosciuto, che ero magica, splendida.
Ah, e ti ricordi quella volta a New York? Già, non ce la facevo più dal ridere, mi faceva male la pancia per tutte le scenate e le figure che facevi davanti agli altri, solo per farmi contenta. E poi cadevi di continuo. Cadevi, che sbadataggini combinavi, mi chiedevi sempre scusa, ma io ti rispondevo con un bacio stampato sulle tue dolci labbra. Tu, ogni volta che capitava, con il tuo ennesimo grande stupore, mi dicevi che sapevo di vaniglia e fragole, altre volte di limone, anche se il gelato l'avevo mangiato molti giorni addietro.
E quella volta in taxi, diretti chissà dove? Volevi farmi una sorpresa e tu mi dicevi di affrettarmi. Correvamo come due forsennati, facevi autostop e salivamo in taxi e, a tutta birra, dicevi alla guida di andare, senza dire la meta. Poi, gli dicevi di fermarsi, anche in mezzo alla strada, con un traffico pazzesco, un'infinita coda e scendevamo, mano nella mano, mi trascinavi di qua e di là e ripetevi di starti dietro, di non perderti e di correre all'impazzata. Eh già, mi amavi come un folle. Ma l'amore è anche questo: follia. Arriveremo presto, mi dicevi. Poi ti fermavi di colpo e mi coprivi gli occhi. Io non avevo neanche il tempo di sbirciare, perché, tu, alto e possente che eri e io, mingherlina e, anche se alta un metro e settanta, ciò non bastava per superarti, neanche in punta di piedi (vedevo le tue spalle e la schiena).
Mi portavi in parchi immensi, in mezzo al verde più verde di New York e ci sedevamo su una panchina, qualche carezza e poi tanti, tanti abbracci. Appoggiavo il capo sulla tua spalla, quasi sempre la sinistra era.
Eri un folle, il folle dei folli... Ma eri la mia follia, ciò che mi è sempre mancata nella mia vita, la vera serenità nella mia famiglia, date le condizioni di mia madre, che ogni mese che passava, stava sempre peggio, sempre di più distesa a letto. In questi mesi sta riprendendo vitalità e la sua salute sta molto migliorando. Combattere un tumore non è una cavolata, ma mia madre è forte, quanto lo sono io, credo.
Comunque, bando alle chiacchiere, volevo concludere dicendoti che sarai sempre nel mio cuore, che ti penso ogni attimo della mia vita e sappi che non voglio che sia finita così, non lo potrei sopportare. Vivo ancora con il pensiero che questa divisione sia solo passeggera, un momento di pausa, ma molto breve. Voglio rivederti tra qualche mese, ti prego: ne ho bisogno, ho bisogno di stare con te, per sentirmi meno sola, per sentirmi in una vita più ... normale. E questo lo sento solo con te, vicino a te, mano nella mano. Soffro molto per come sta mia madre, tu lo sai bene e per il fatto che non possa più uscire con lei da quasi un anno, a fare ciò che fanno madre e figlia, come gli altri. Lo so che anche per te non è facile, dover subire ogni volta le pretese di tuo zio, che se tuo padre fosse ancora tra voi, ti avrebbe di sicuro messo in riga e ti avrebbe mandato alla marina, se solo ne fosse stato lo stretto bisogno, ciò che tuo zio avrebbe sempre voluto che accadesse. Ma è meglio così, è meglio che tu sia andato dove ti pareva di andare, perché è orribile essere costretti a frequentare scuole che non si desidera, è frustrante, me ne rendo conto, ancor di più se è per il poco affetto che tuo padre dimostrava a te. Invece tua madre era così dolce e gentile. Non ho la più pallida idea di come abbia potuto amare un uomo tanto meschino e severo con suo figlio, senza dirgli mai un "ti voglio bene", se non forzato un po'. E se tu fossi andato bene a scuola, saresti stato il primo della classe, lui non si permetteva nemmeno di sussurrartelo, un complimento. "Ma che bravo mio figlio, sempre 10 prende", tranne che in matematica e lì cadevi come una patata lessa, non ce ne venivi proprio fuori eh. E lui te lo faceva pesare come un macigno. Ti venivano persino le lacrime agli occhi, quando ti aiutavo ad esercitarti per la verifica del giorno dopo, visualizzando nella tua mente il modo in cui si sarebbe infuriato per un ennesimo 5 o 6 che prendevi. Anche se avevo anche io altro da studiare, a quei tempi, ti stavo sempre vicino, anche per affrontare tuo padre. Una dozzina di volte, se non sbaglio, venivo a casa tua, con te, per affievolire la situazione del brutto voto e subito tuo padre faceva di tutto per mandarmi via, per avere il tempo a sufficienza per sgridarti. Facevo tutto questo perché ti volevo bene. E ricordo che eravamo grandissimi amici allora.
Poi, dopo parecchi mesi, in cui cominciavi anche a prendere sette e le grida e gli schiaffi erano meno dolorosi, cominciavi ad osservarmi in modo ossessivo e io temevo che avessi qualcosa che non andava. Però poi, un giorno, il tuo amico, Michel, ti diede un grosso spintone, quasi che ti schiantassi e finissimo uno sopra l'altro, per terra come due mammalucchi. E infatti successe. Io per terra, distesa come un salame e tu sopra di me, con le braccia che ti tremavano e il fiatone, anche senza aver corso. Quasi sentivo il tuo battito cardiaco: andava all'impazzata. Tutti, ma proprio tutti osservarono la scena divertiti e le risate mi rimbombavano nella testa e mi sentivo la testa girare. Mi tirai su e raccolsi la mia roba. Tutto era sparso attorno a te. Tu volevi aiutarmi, mi presi qualche foglio insieme a caso e sorrisi imbarazzato, con il tuo apparecchio fisso che, ogni volta che sorridevi in quel modo, mi terrorizzavi, quasi più di quella situazione sgradevole o dell'atmosfera che la signora Muller, la prof di latino, sapeva creare nella nostra classe.
Poi, passarono un paio di giorni e la tensione che ti si creava ad ogni mia presenza o arrivo, mi infastidirono al tal punto da chiederti se ti vergognassi di me. Tu eri spaurito come non mai e ti guardavi intorno, guardavi Michel e poi me e poi di nuovo Michel. Lo so che avresti voluto scappare via, ma Michel ti invitava con un cenno a parlarmi. D'un tratto cominciasti a balbettare ed urlasti, coprendoti le orecchie e correndo nella direzione dei bagni.
Quando suonò la campanella, ti raggiunsi, bussai nella porta del bagno dei maschi, ma non sentivo nulla. Allora chiesi a Michel se potesse intervenire lui e riuscì a farti uscire a fatica.
"Io, io ti ho messo in, in imbarazzo fin troppo, Margot." Riuscisti a dirmi.
"Jason, io non avevo intenzione di farti quella domanda con cattiveria, ma è che hai un atteggiamento strano da parecchio tempo. Senti, quando troverai la forza me lo dirai, va bene? Fin tanto, cerca di dimostrarti meno nervoso con me, d'accordo?"
Tu accennai col capo e io e Michel ti accompagnammo in classe.
Peccato che Michel si sia trasferito e tu non abbia avuto l'occasione di vedervi ancora. Era un bravo ragazzo ed era anche un buon amico.
Comunque, tu non me lo dissi mai apertamente a me.
Solo dei bulli, che si prendevano gioco di te, ti obbligarono a confessare.
Quello stupido Marc ti fece dire a squarciagola un grande "TI AMO MARGOOOOOOT". Non potevo più sopportare niente. Corsi via e mi nascosi in bagno, chiudendomi a chiave. Per me era stato un duro colpo scoprire che tutte quelle scenate erano per quel motivo. Il mio migliore amico, da quando eravamo piccoli, provava qualcosa che andava ben oltre un'amicizia. No, per me era un incubo e ancor di più la situazione che si scatenò in seguito. Tutti ripetevano quel "Ti amo Margot", imitandoti disperato e affranto, con le lacrime agli occhi. Altri recitavano proposte di matrimonio e io che rifiutavo o che scappavo a gambe levate in bagno. Ero ricoperta di ridicolo e per colpa tua. Ma col tempo tu mi dimostrasti il tuo amore, che cresceva di giorno in giorno. E anch'io cominciai a sentire qualcosa.
Ora ho in mano la scatola delle 101 lettere che mi hai regalato. Quella in cui ti odio non l'ho ancora letta e non so quando mai l'aprirò, perché non so come farò a odiarti. Nemmeno ora che mi hai lasciato. Io lascio scorrere il nostro passato, la tua dichiarazione, seppur costretta, cieli infuocati alle 5 di mattina, mano nella mano con felpe giganti in inverno e segni dell'abbronzatura sul colletto della maglietta, barche a vela, controvento, baci al gusto del sale del mare, i tuoi tuffi folli, la NOSTRA follia.

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