17 ▪️ ANCORA DI SALVEZZA

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Quando una berlina blu notte svolta nella mia via mi si gela il sangue nelle vene.

Diavolo... come ho potuto dimenticarmelo!

Immediatamente schizzo via dall'appartamento di Samanta, e mi barrico nel mio. Come di consuetudine chiudo a chiave il portone blindato, abbasso tutte le tapparelle e spengo le luci.

Attendo seduto sul divano, rigido e con i muscoli tesi come una corda di violino.

Non funzionerà. Un mese fa ho avuto solo fortuna. È stato un caso, mi dico.

Il tempo sembra quasi fermarsi, mentre per l'ennesima volta mi ritrovo a maledire una vita perennemente incasinata e piena di problemi. Dove l'unica soluzione sembra voltarsi dall'altra parte, annegare il problema in un dito di vodka o stordirlo con un paio di pillole.

Dopo qualche minuto, quando il suono stridulo del campanello spezza il silenzio, mi sale il cuore in gola. Immagino la loro brutta faccia arrabbiata, i denti digrignati e le mani strette a pugno, impazienti di poter arraffare i miei soldi, o di poter, in alternativa, colpire il mio naso.

Prego mentalmente che se ne vadano, e che lo facciano il più presto possibile.

Non lo faranno. Loro non si arrendono mai, non finché non ottengono ciò che vogliono.

Non appena formulo quel pensiero dei forti colpi al portone rimbombano nella stanza.

«Apri la porta, coda di paglia!» È lo slavo a parlare. Lo scagnozzo basso, quello con i denti cariati e l'accento straniero.

I pugni di quel bastardo sono micidiali.

«Coniglio! Lo so che sei lì dentro!» Continua.

Oggi è il... ventisei Ottobre?  Sì, il ventisei Ottobre...

«Ti credi più furbo di noi?» Aggiunge lo slavo, con la sua voce leggermente nasale. «Sai, non ti conviene farci arrabbiare. Diventiamo piuttosto... antipatici quando ci innervosiamo.» Lo sento ridacchiare.

Estraggo il cellulare dalla tasca dei Jeans, apro il calendario. La luce quasi mi acceca.

«Vuoi davvero vederci arrabbiati?»

Questione di giorni e riuscirò a saldare il debito.

«Sai, non ti conviene. Sarebbe una mossa piuttosto stupida.»

Continuerà finché non apro la porta.

«Ti consiglio di agire in fretta.» Aggiunge dopo un po'. «Ti comunico che mi sto irritando.»

Sospiro, passandomi una mano sul volto.

Vada per la solita tecnica, quando la prima non funziona. È l'unico modo.

Mi alzo in piedi e con le gambe che tremano mi dirigo verso il portone d'ingresso, sperando non siano troppo arrabbiati.

Quando accendo la luce ed estraggo il mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni, percepisco la tensione irrigidire ogni singolo muscolo. Mi svuota la mente, spazza via ogni mio pensiero razionale.

«Oh, finalmente ti sei deciso!»

Deve avermi sentito.

Non appena apro il portone mi ritrovo davanti il ghigno compiaciuto dello slavo, preceduto solo dal fetore del suo alito. Dietro alla sua testa pelata, invece, il volto del boss appare inespressivo, lo sguardo coperto da un paio di occhiali scuri. Il corpo massiccio, come al solito, fasciato da abiti di discreta qualità.

Le profezie della piramideDove le storie prendono vita. Scoprilo ora