Capitolo 1

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Piccola nota prima di iniziare: il capitolo può risultare un po' prolisso e descrittivo ma vi prego di leggerlo fino alla fine; descrivere Abigail e il suo passato in poche parole non è facile, ma è necessario per inquadrare la protagonista e tutte le vicende che le ruotano attorno. Detto ciò vi auguro buona lettura, ci vediamo a fine capitolo ;)

Ciò che è più amaro, nel dolore di oggi, è il ricordo della gioia di ieri.

Kahlil Gibran

Mattina del 2 ottobre, ore 7:30.

Lincoln Park, Chicago, Illinois.

Chiudo la porta alle mie spalle

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Chiudo la porta alle mie spalle.

Mi guardo intorno... l'isolato, gli alberi, le case dall'altra parte della strada, qualche macchina, sembra tutto così nuovo. Una bambina. Stringe la mano della madre che probabilmente la sta accompagnando a scuola, all'asilo forse.

Mi guarda, come solo i bambini sanno fare. Sento una leggera stretta al cuore, distolgo lo sguardo. Sospiro. Mi incammino verso la fermata dell'autobus, sicura di avere ancora gli occhi di quella ragazzina puntati sulla schiena.

Ricevo un messaggio.

7:32, Alexis - Ehi, Ab, vuoi che ti passi a prendere? –

- No - digito.

"Avanti Abygail sforzati" penso.

- No, ci vediamo a scuola - continuo.

Ci penso. Cancello. Riscrivo.

- No tranquilla, ci vediamo a scuola, grazie lo stesso -. Invio.

Sospiro. Ho appena inviato un messaggio da persona normale; non male per essere solo le sette e mezza di mattina del mio primo giorno di uscita.

Sono due mesi che non esco di casa infatti, letteralmente. Due mesi. 59 giorni, 1416 ore, 84.960 minuti chiusa dentro le quattro mura della mia stanza. Reclusa in me stessa.

"Stress post traumatico", così ha detto la psicologa, o almeno così mi pare di aver capito.

L'unica cosa di cui sono sicura è che non dormo più, 1 – 2h a notte massimo, nei giorni in cui mi va bene. Come chiudo gli occhi rivedo ciò che è accaduto. Come mi addormento sogno quello che è accaduto. Come vedo la sua foto, rivivo tutto ciò che è accaduto quel maledetto pomeriggio.

‹‹Si può superare›› così ha detto la psicologa ‹‹non è facile, ma attraverso il dialogo possiamo farcela, devi solamente aprirti, cercare di riconoscere le tue emozioni, esternarle››, queste sono le parole con cui ha concluso il nostro ultimo incontro, qualche giorno fa.

Quella donna mi mette a disagio, la Dottoressa Sthefany, Stef per gli amici, mi mette profondamente a disagio.

Avrà una quarantina d'anni, capelli castani raccolti, un sorriso rassicurante e un'irrefrenabile voglia di scavarti dentro, affondare le sue unghie laccate di rosso nella tua anima cercando di raggiungerne gli angoli più intimi e nascosti, fino a ripulire ogni singolo granello di polvere che riesce ad individuare.

Doe - eyedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora