Poeti

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Argenti era nello scantinato della sua reggia infernale, camminava su e giù incapace di scacciare dalla sua mente le parole di Auditel. Non si era mai pentito di nulla nella sua vita, quella non sarebbe stata la prima volta!
Dante Salvemini non era il primo uomo che teneva chiuso in una cella sotto la sua dimora, perché le parole del conte demoniaco gli provocavano così tanti sussulti interiori? Odiava quando il collega gli faceva le lavate di testa, per quanto gli pesasse ammetterlo le sue parole erano spesso veritiere, anche se per onor del vero non è che poi Auditel desse il buon esempio con le sue stesse azioni.
Argenti scese furiosamente le scale della botola nello scantinato, accedendo così a un piano ancora più sotterraneo, quello dedicato a due celle, costruite lì non si sa quanto tempo prima, (probabilmente dagli avi di Filippo risalenti al 1020).
Giunto davanti alle celle diede furiosamente un calcio a un barile vuoto da tempo immemore che si schiantò così contro uno dei muri angusti del sotterraneo, spaccandosi. Il demone faceva spesso così quando aveva delle emozioni che non sapeva interpretare, finendo quindi per avere esplosioni di rabbia e distruzione che coinvolgevano chiunque o qualsiasi cosa capitasse lì in quel momento. Per fortuna dell'unico prigioniero che si trovava in una delle due celle, egli si trovava al sicuro chiuso nella cella, perchè serrata con un lucchetto che Argenti non apriva da secoli, quindi potè solo assistere all'outburst dell'iracondo. Sapeva, però, che quando era in quello stato d'animo le cose non finivano mai bene, soprattutto perché il prigioniero era colui che lo aveva relegato all'Inferno con un semplice gesto della penna ed era quindi spesso oggetto di sfogo di qualunque malumore dell'Argenti.

"G-Giornataccia?" azzardò il Sommo Poeta, da dietro le sbarre, con un sorriso azzardato. Per tutta risposta argenti afferrò una brocca in terracotta antica e scaraventò anch'essa proprio contro le sbarre della cella di Dante, che barcollò all'indietro a malapena schivando i cocci che erano stati sbalzati nella sua ristretta prigione. L'iracondo non rispose, e pose un'altra domanda bruscamente: "Allora? Hai letto le poesie che ti ho dato l'altro ieri?"
In questa sua frase si poteva cogliere una vampata di orgoglio, che Dante aveva tanta paura di scalfire. Egli sapeva che ogni volta che si toccava questo tema, era lui a pagare care le sue parole. Il poeta prese da un angolo oscuro della sua cella alcuni fogli scribacchiati, che avevano alcune correzioni segnate in rosso, e che Argenti notò immediatamente non senza un chiaro fastidio.
Dante prese il coraggio per parlare: "Le ho lette, s-sì...devo dire che sei migliorato dall'ultima volta-"
"Sisi non fare il democristiano, sono belle o no?" tagliò corto il demone, che non vedeva l'ora di vedere negli occhi dell'avversario di penna la prova della sua superiorità poetica. Dante non poteva e non voleva mentire, aveva promesso a Virgilio tanti secoli prima che non avrebbe mai mentito per quanto riguardasse la poesia e la letteratura.
"Non correrei subito a dei giudizi definitivi, caro Filippo, però se ti avvicini  possiamo guardare insieme i tuoi errori-"
Argenti strappò il foglio di mano al poeta: "Come sarebbe a dire ERRORI!?"
Dante era ormai abituato alle reazioni del demone, non ne aveva più paura. "Scusa, Filippo-" disse con tono pacato Dante, cercando di farlo ragionare: "prendi ad esempio questi versi:

Dove si trova questa cazzo di vita

Vita o morte, non so ormai

Vita promessa dal volere di un idiota

Ti ammazzo

Innanzitutto ti ho dovuto correggere "un'idiota" togliendo l'apostrofo, e poi non si mettono tutte queste parolacce in una poesia! Credi che abbia conquistato Beatrice con tali scurrilità?"
Argenti, che tra le sue scarsissime qualità non aveva sicuramente quella di accettare le critiche, sbattè i pugni sulla sbarre della cella, per intimidire Dante: "TU non hai conquistato nessuno con i tuoi versi scadenti! L'unica cosa che hai fatto è quella di aver rubato a me lo spotlight per una carriera di letterato che avrebbe riscattato tutte le mie azioni!" sputò per terra, prese per il colletta il poeta e si avvicinò minacciosamente al suo viso, con uno sguardo infuocato "E soprattutto è per colpa dei tuoi versi di merda che sono stato rinchiuso in quel cerchio infernale per secoli." Dante inghiottì, tenendo però testa allo sguardo infuocato dell'Argenti, che alla fine lo lasciò andare.
"Lo sai che non ti farò uscire di qui finché non mi dirai che sono superiore a te, vero?"
"E' proprio per quello che non uscirò mai." rispose Dante con un sorriso stranamente pacato, come se si fosse arreso a questa sua vita da prigioniero. Argenti lo guardò con uno sguardo che sembrava stesse per scatenare un nuovo pandemonio, ma invece fece un sorrisetto a labbra serrate: "Ti chiami Dante Alighieri, ma pecchi di orgoglio quanto me."
Argenti si ricompose e salì le scale lasciando Dante nuovamente solo nella sua triste e sola cella. Dante voleva uscire, voleva scappare, ma allo stesso tempo provava nei confronti di quel deragliato uomo una sorta di responsabilità, un senso di colpa, come se fosse stato lui a costruire quel mostro. In un certo senso il Poeta si era fatto guidare dal risentimento che provava per il vicino di casa, e lo aveva punito, relegato per sempre in un fiume infernale in cui per secoli ha ricevuto bastonate in testa e odio da tutte le parti, il che non era proprio un comportamento da buon samaritano. Certo, aveva fatto così con tante persone, ma in quel caso aveva finalmente la possibilità di aiutare qualcuno di quelli che aveva condannato alla sofferenza eterna. Che questo sia o no un ragionamento sano, c'è da considerare che è il ragionamento di un uomo che si trovava ormai in prigione da anni, senza nessuno con cui parlare, e che forse aveva sviluppato una sorta di sindrome di Stoccolma. Ancora in parte sognava che un principe azzurro come Virgilio venisse a salvarlo, e a portarlo via, ma tutto ciò era ormai un'altra vita, un'altra consapevolezza.

Caparezza, all'oscuro di tutti questi maneggi che accadevano nella sua mente, viveva i suoi giorni in una profonda paranoia, stava passando in rassegna ogni album e brano della sua musicografia per cercare di capire quante personalità poteva aver effettivamente creato, consapevolmente o non. Si ricordava dei semplici giorni dove condivideva le sue giornate con soli due alter-ego, l'Ex-Imperatore Zurg e Garbuglio Azzecchini, l'untore più gettonato di tutta la contea lombarda. Per quanto fossero entrambi due soggetti molto particolari avevano dei caratteri introversi e non tentavano di soggiogare la vita del rapper, fattore fondamentale per  avere una buona relazione con chiunque.
Poi, ovviamente, piano piano che i suoi brani divennero sempre più complessi anche le personalità che ne scaturivano erano più carismatiche e con caratteri definiti, fino ad arrivare a veri geni del male come Argenti o, in misura minore, il Sig. Horror. Questo diceva molto sull'inconscio del rapper.

Teneva tra le mani tremanti la lettera che Eminem gli aveva spedito in risposta alla sua richiesta di aiuto, l'aveva ricevuta il giorno prima ma non l'aveva aperta subito, come se avesse paura di leggere che non ci fosse speranza per lui, che sarebbe rimasto in balia dei suoi demoni interiori per sempre. Caparezza aprì la missiva, e iniziò a scorrere gli occhi sulle parole scritte a mano, in una calligrafia che chiaramente non apparteneva a qualcuno che si trovava spesso a scrivere lettere al posto delle e-mail. Scorse le frasi velocemente, per trovarne una che gli potesse dare sollievo e anche qualche speranza:

"...e riuscii a sconfiggerlo solo facendomelo amico. Devi fare pace con te stesso in un certo senso." 

...amico? Filippo Argenti, un amico? Era fuori discussione, a malapena riusciva a parlare con Ludwig con cui teoricamente aveva una relazione che ricalcava quella padre-figlio. Poi, avrebbe anche potuto in una dimensione parallela fare pace con Argenti, ma tutte le altre personalità? Si sarebbero messe al loro posto da sole? Anche Auditel aveva molto potere, non come Argenti ma ci si avvicinava: se avesse domato Argenti, Auditel non avrebbe rinunciato a tutti i suoi sogni di gloria, anzi avrebbe approfittato ancora di più del momento propizio per colpire.
Pensandoci, non aveva mai scambiato neanche una conversazione che non riguardasse una botta-risposta con insulti e minacce con l'Argenti, e le cose non sarebbero sicuramente cambiate proprio ora che il demone si stava avvicinando al culmine della sua battaglia, alla fase finale del piano. Un giorno così tanto tempo addietro che ai tempi Caparezza sottovalutò la cosa, Foli gli aveva spiegato il suo big plan.

Era un piano che lui aveva iniziato a generare da quando Dante lo aveva spedito all'Inferno, in uno dei gironi più umilianti del luogo. Come Dante,  che con la sua "Divina" Commedia aveva creato una scuola letteraria, un modo di comporre, aveva plasmato le giovani menti degli studenti dei secoli a venire, Argenti voleva crearsi una sua stessa discendenza, ora che con il brano del rapper era riuscito a svincolarsi dalle catene della sua infernale condanna. Sì, evidentemente Caparezza aveva tali poteri, ma non ci soffermeremo su questa capacità paranormale, dato che ci sono già abbastanza cose inquietanti di cui trattare. Era questo solido piano che rendeva Argenti più potente delle altre personalità, vedeva un grande schema che trascendeva tutto e tutti. Una discendenza di violenti, che avrebbero cancellato per sempre ogni forma di letteratura e poesia, la debole cultura sarebbe stata schiacciata dalla forza brutale della rabbia. Certo, anche Auditel possedeva un piano, ma non era evidentemente così strutturato come quello argentato. Forse perché in fondo non era un piano vero e proprio, ma più una missione, che si era prefissato tanti secoli prima: custodire il Sacro Share, che gli permetteva di dominare l'intera rete mediatica del globo, e in più era la fonte del suo potere senza il quale poteva dire addio alla sua predominanza come una delle personalità più potenti, rendendolo così un Serpe o un Azzecchini qualunque. In sostanza, se il Sacro Share veniva distrutto, con lui sarebbe morto anche il Conte e tutte le sue speranze catodiche.
Nessuno sapeva bene cosa fosse esattamente questo Sacro Share: ad esempio Argenti pensava fosse un modo narcisista per chiamare il suo fallo, mentre Ludwig pensava fosse una fede religiosa (e in effetti la cosa ci si avvicinava). Nessuno era fino a quel momento sicuro che neanche Auditel sapesse esattamente cosa fosse. Quello che era certo però era che solo lui poteva entrarci a contatto senza impazzire completamente, poi il perché fosse diventato lui custode dello Share in primo luogo, quella è una storia per un'altra volta.
Ma ora Caparezza stava tergiversando. Diventare amico con Argenti era fuori discussione e pressoché impossibile. L'unico modo per non vedere più quel volte infernale era annientarlo una volta per tutte. Doveva provare qualunque metodo, non che non l'avesse fatto, ma ora bisognava tirare fuori le big guns, perché non c'era più tempo. Era ora di provare l'esorcismo.

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