𝟏.𝟐- 𝐥𝐞𝐢, 𝐜𝐫é𝐮𝐬𝐞

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Le sentivate le farfalle nello stomaco? No, non quelle degli innamorati, ma quelle dei pazzi. I pazzi di conoscenza, di amore nei confronti di qualcosa e mai di qualcuno. Créuse, la ventiseienne che stava per esercitare la professione di avvocato a Berlino presso lo studio di Anthony Lieber, si trovava a bordo di un taxi in compagnia della sorella, Melisand Mathilde Bernard.

«A cosa pensi?» le domandò, tirando uno sbadiglio forte e intenso.

«Sono semplicemente stanca, Tilde. Il viaggio in aereo è stato faticoso e quello in macchina ancora di più», sospirò la donna. Lanciò un'occhiata fuori dal finestrino e osservò le pompe di benzina situate alla sua destra.

Quando finisce, 'sto qui, pensava, mentre pian piano le palpebre si richiudevano e l'abbandonavano alla profondità del suo sonno.

«Créuse, non addormentarti! Il guidatore sarà qui a momenti, e tu devi farti trovare composta per l'appuntamento con il signor Lieber. A proposito, hai idea di come funzionerà?» chiese in seguito Melisand, tanto per tenere conversazione.

«Mi sono informata a riguardo, tesoro,» dichiarò l'altra, che si stiracchiò e tornò con la mente lucida, «appena arriveremo ci accoglierà una nostra coinquilina che fa da segretaria lì. Andremo al colloquio, ci presenteremo per bene e poi sistemiamo i bagagli in casa nostra.»

«C'è il giardino?» domandò immediatamente Melisand.

«Non ne ho proprio idea, ma giuro che quando arriviamo là ti compro dei vasi e delle piantine», rispose Créuse.

In quel momento anche il tassista entrò all'interno del veicolo, chiese scusa alle due signorine e ripartì in direzione Berlino.

Il silenzio che si era venuto a creare rischiava di essere sempre più imbarazzante, e fu per questo che Créuse si voltò alla sua sinistra per osservare la natura che si espandeva al di fuori dell'autostrada. Si chiese come fosse un tempo, quando la tecnologia ancora non esisteva, quando tutti camminavano a cavallo e si riposavano fra quei lussureggianti paesaggi, magari prima di una battaglia, o quando stremati dalla fine di essa solevano godersi il riposo.

Quando rimembrava quei panorami non poteva fare altro che pensare a tutti i posti in cui nel corso della sua vita era stata. Uno di quelli era Truvia, in Turchia. Aveva avuto modo di vederla appena quindicenne. Era andata a Salonicco in vacanza, in Grecia, finendo poi per prendere il traghetto e dirigersi verso la sponda mediorientale. Aveva visitato luoghi bellissimi, con scavi a partire dal tremila avanti Cristo, grotte segrete che la fecero sognare e due lunghi fiumi che un tempo, forse, avevano ospitato cadaveri di soldati e uomini valorosi. L'aveva portata lì suo padre Priamo, per un viaggio sorprendente e anche inaspettato: non avevano mai avuto un bel rapporto, ma lui stimava lei per la sua curiosità e sete di conoscenza.

«Créuse,» si sentì poi chiamare da Melisand, «resta all'erta, stiamo per arrivare.»

«Grazie, Tilde. Appena giunte all'appartamento devo assolutamente parlare con Ilionée. Questi luoghi mi riportano al romanzo che le ho consegnato ieri», disse la ragazza.

«Mi piacerebbe leggerlo. Te ne ricordi il nome?» domandò improvvisamente l'altra.

«Aveva un nome? Perché non mi pare di averne visto uno... solo l'immagine iniziale», rispose stranita e confusa Créuse.

«Mi sa che il volo ti ha un po' stordita, Cre. Mi scusi, signor», si fermò a leggere il nome vicino al cartellino che portava alla camicia, «Dubois, sì, signor Dubois, quanto manca all'arrivo?»

«Circa otto minuti, signorina, e gradirei che la smettesse di parlare delle vostre stupide cose intelligenti», sbuffò maleducatamente.

«Le cose intelligenti non sono mai stupide, signor Dubois», fece notare Créuse.

𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐋𝐀 𝐌𝐄𝐍𝐓𝐄 𝐄 𝐈𝐋 𝐌𝐄𝐓𝐀𝐋𝐋𝐎 ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora