𝟐.𝟓- 𝐥𝐮𝐩𝐮𝐬 𝐢𝐧 𝐟𝐚𝐛𝐮𝐥𝐚

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Enea aveva appena attaccato al telefono e se lo era reinserito nelle tasche dei pantaloni. Sospirò. Sentiva la pressione circondarlo ovunque, dal petto, alle spalle, alle membra... tremava. Erano giorni che lo faceva nel suo inconscio, per la paura che quel manoscritto lo aggredisse in sogno, la notte. Per paura che quello potesse essere un ricatto, non solamente a lui, ma alla sua famiglia.
E se sotto il comunismo di Elisabetta ci fosse stato altro? Se reati come estorsione lo riguardassero e non ne fosse al corrente? Ah... non poteva saperlo. L'unico che ne aveva l'opportunità era Nicholas, ma non aveva detto mai niente a nessuno. Forse per paura che a capirlo fosse stata la persona sbagliata... o quella talmente giusta che adesso li terrebbe al sicuro.

Enea non ne era a conoscenza, e ora, nonostante il sostegno di Créuse e Franz, conviveva con un enorme senso di impotenza e vuoto. Dove sto sbagliando, nonno? Dov'è che sei quando servi?, si stava domandando fra sé e sé, mentre dietro di lui Créuse ripeteva la frase "zecca rossa", e a lui vennero in mente alcune delle manifestazioni che avevano tenuto dei sindacalisti appena qualche anno prima.

«È una bellissima situazione di merda», commentò Lehnsherr, «ma è nostro dovere andarvi a fondo, dunque verrò con te e indagheremo quelle frasi da dove provengono.»

Enea voltò il suo sguardo verso gli occhi attenti e glaciali della compagna. Aveva l'espressione tipica di un ufficiale pronto e determinato a fare la cosa più giusta e tattica affinché la propria squadra raggiunga l'obiettivo. Li teneva posati sul diario che giaceva tra le mani di Enea chiuso, il quale teneva segnata una pagina datata 1915, in cui si descrivevano i figli di Friedrich ed Elisabetta, Enea e Ascanio, nell'aviazione imperiale del tempo.

Avrebbe voluto volare verso orizzonti più felici con il loro sostegno, ma era pressoché impossibile, poiché si sentiva sprofondato. E no, non nell'U-Boot di von Campf, bensì in una tomba di metallo a sua volta rinchiusa in una gabbia, imprigionato e senza alcuna via d'uscita. Solo Créuse, a suo parere lo spiraglio di luce penetrato da qualche fessura, riusciva a illuminare con le sue idee fredde, calcolatrici e ragionate i sentimenti contrastanti e sempre in naufragio di Enea. E lui per quello apprezzava la sua compagnia.

«Créuse, so che dovrei chiedere dei responsi alle forze dell'ordine e a chi ne è di competenza, ma... questa cosa riguarda solo me e mio nonno, e adesso ti ho trascinato in questo casino ed è tutta colpa mia. Se vuoi ritirarti, sei benissimo libera di farlo».

Dopo qualche istante di riflessione, Lehnsherr si sentì riferire quelle parole contenenti tanto rimorso e risentimento. In qualche modo Enea si sentiva responsabile sulla sua squadra, e quindi su lei e il loro collega nuovo. Lo prese in disparte e lo fece accomodare su una panchina, riprendendo fiato.

«Enea, sappi che come ho ribadito in precedenza non ti lascerò solo. Se qualcuno vorrà farti del male dovrà vedersela anche con me, perché ormai sono consapevole della responsabilità che ho preso. Che abbiamo preso. Quindi tranquillo, vedrai che andrà tutto per il verso giusto», cercò di incoraggiarlo la ragazza francese, con quelle poche parole che sporadicamente diceva quando mirava a far sentire meglio gli altri. Spesso era solita farlo con le sue sorelle, oppure con Deiphóbe e Pierre, i fratelli minori che tanto amava. Adesso Enea era sua amico, e nonostante si conoscessero da una settimana e di vista da più di un mese, sentiva già di potersi fidare di lui, senza però arrivare a confidargli i suoi segreti più intimi.

L'avrebbe vista come troppo poco riservata e quindi contro la sua natura, sempre schiva e remissiva.

Si passò una mano dietro la testa e sforzò un sorriso che doveva essere di sostegno per Enea, ottenendo l'effetto sperato. Il giovane infatti la ricambiò, passandosi poi la mano tra i capelli fulvi, di un biondo ardente accentuato da quel sole forte.

𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐋𝐀 𝐌𝐄𝐍𝐓𝐄 𝐄 𝐈𝐋 𝐌𝐄𝐓𝐀𝐋𝐋𝐎 ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora