Si comincia

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Cominciai ad avvicinarmi con calma e circospezione alla massiccia cancellata in ferro battuto (che presentava non poca ruggine), la quale bloccava l’accesso diretto alla villa. Notai con poco stupore che questa era ben chiusa con un lucchetto e una catena che si annodava come un serpente intorno ai due battenti.

Tuttavia, c’era qualcosa che non mi tornava: la mail del ragazzo parlava di una complessa struttura hi-tech simile a una base militare di ultima generazione, ma da fuori l’aspetto era del tutto opposto. Sembrava più che altro una vecchia villa di campagna, disabitata, forse abbandonata, una di quelle abitazioni attorno alle quali si creano leggende di fantasmi o spiriti che popolano le stanze.

Nella locanda principale del paese, infatti, poche ore prima, mentre consumavo la mia cena, l’oste e molti paesani, incuriositi dalla presenza di uno straniero, mi avevano caldamente sconsigliato di avventurarmi in questa zona, tutti terribilmente spaventati da leggende che sembravano essere radicate nella loro tradizione; queste narravano di un conte, o meglio un barone, tra i più crudeli mai esistiti - si diceva che fosse un cannibale, il quale impalava le vittime ad altezza del costato e le faceva a brandelli, gustandosi la carne cruda, mentre il malcapitato assisteva cosciente in diretta. Questo personaggio aveva reso schiava la popolazione dei villaggi vicini intorno al XII secolo fino a che una sua guardia del corpo, con un innato coraggio, era riuscita ad assassinarlo nel sonno, liberando così gli abitanti da questo malefico despota. 

Leggenda narra però che la sera successiva, a mezzanotte, il fantasma del barone si sia recato nella casa del suo assassino, uccidendo tutti quanti i familiari nel sonno e impalando colui che gli aveva tolto la vita. Da quel momento, il fantasma è a guardia delle porte della villa di Saint Ferguson, a vegliare che nessun altro violi più quelle stanze.

Rassegnato che la mia avventura si fosse conclusa senza nemmeno essere iniziata, mi rigirai e feci per tornare verso la macchina, anche contento di quello che la sorte aveva riservato per me, quando un colpo di vento fece sbattere un secondo cancello, aperto, che mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto, come d’istinto, portando i pugni a difesa del mio volto. E fu allora che notai una seconda entrata, celata nell’oscurità. Indeciso se proseguire o meno, restai una manciata di secondi a rimuginare sulle possibili conseguenze di entrambe le azioni, e decisi di entrare nel cortile di quel luogo lugubre. Era una serata nuvolosa, e la luna, seppur piena, era nascosta da un ampio ammasso di nuvole, ben compatte e decise a non far passare neanche uno spiraglio di luce. I lupi ululavano dalle colline vicine, il che rendeva tutta l’atmosfera degna di un film horror di tutto rispetto. Prima però, tornai alla macchina e decisi di finire quelle poche lacrime di caffè lasciato sul fondo della mia tazza nel porta-bicchieri, avendo come l’impressione che sarebbe stata una notte lunga.

Entrato nell’ampio piazzale, subito mi colpì l’inquietante presenza di tre veicoli militari, tutti parcheggiati, se così si può dire, alla rinfusa, come se l’autista avesse dovuto inchiodare in tutta velocità e schizzare all’interno del sinistro edificio. La ghiaia era sparsa un po’ ovunque, a causa delle pesanti ruote che avevano lasciato solchi ben distinguibili anche alla quasi completa oscurità. Questo mi portò ad avvicinarmi ancora di più ai tre mezzi e con terrore dovetti constatare che almeno uno doveva essere arrivato da non più di due ore: la temperatura che emanava la griglia del radiatore era ancora abbastanza elevata. Subito il mio pensiero corse alla macchina, posizionata quasi nel mezzo alla strada, e la mia mente ipotizzò un quarto camion che, arrivando, avrebbe sicuramente rilevato la presenza di un intruso all’interno della struttura. L’idea della presenza di uomini armati all’interno di quei portoni mi allarmava molto, non tanto per gli soldati (o mercenari che fossero) in sé, ma quanto perché non conoscevo nulla del mio nemico.

Corsi immediatamente verso il cancello e, dopo averlo bloccato con una pietra, mi diressi a tutta velocità alla macchina. Entrai e la accesi.

Merda! I fanali. Stupide macchine automatizzate.

I due coni di luce illuminarono quasi a giorno l’area circostante. Nonostante la mia prontezza di riflessi nel spegnerli quasi all’istante, qualcuno si accorse della mia presenza. Una luce si accese al terzo piano del palazzo e mi sembrò di notare una persona che guardava fuori dalla finestra. Poi le ombre sulla tenda divennero due. Poi tre. Notai una quarta figura con in mano un binocolo. La paura pervase il mio corpo quando scorsi sul tetto uno scintillio di luce lunare, come riflessa da una lente. L’istinto del militare mi fece scansare repentinamente e mi gettai sul sedile del passeggero. Appena in tempo. Un proiettile aveva appena trapassato il poggiatesta, esattamente dove qualche istante prima si trovava la mia testa. Avevo visto bene. Grazie a Dio il cecchino non era stato particolarmente veloce e accorto.

E poi un lampo. Un boato. Una luce bianca mi accecò gli occhi. La temperatura si alzava vertiginosamente. Poi persi i sensi. Un fischio acuto invase le mie orecchie.

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