Capitolo 3⚽

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<<Pronte ragazze?>> domanda l'allenatrice.
<<Sì>> rispondiamo in coro.
<<E allora andiamo e vinciamola>> ci sprona lei. Ci alziamo ed usciamo dallo spogliatoio. Questa è la prima partita mia e di Margherita con loro ed è inutile dire che sono agitata. Nel corridoio prima del campo incontriamo la squadra avversaria, la Florentia. Alcune di noi conoscono le avversarie ed iniziano a parlare. Io mi avvicino a Margherita. Non so chi tra me e lei è più agitata. Oggi, per la prima partita, sono venuti a vedermi giocare non solo i miei genitori e mio fratello, ma anche la mia migliore amica, mia zia Diana e zio Matteo. So che non sono davvero parenti, ma è come se lo fossero. E ovviamente ci sono anche Eleonora e Irene, le loro figlie, rispettivamente di tredici ed unici anni. Tra le due è Irene che guarda il calcio, come suo padre, mentre Ele è come la madre, lo guarda ma poco e poche volte. E poi Irene è la mia prima fan e questo mi mette ancora più in agitazione, perché non voglio deluderla.
<<Ragazze si scende in campo>> annunciano gli allenatori. Ci disponiamo in fila ed usciamo.
<<Date il meglio di voi>> ci dice Guarino, mentre entriamo in campo. Partono gli inni e poi la metà di noi, la panchina, va. Mi posiziono al mio posto e guardo verso le panchine. Margherita mi alza i pollici per rassicurarmi. Lei è rimasta in panchina ma entrerà dopo, probabilmente al mio posto. Poi guardo verso il pubblico e vedo la mia famiglia, Irene, Eleonora, Diana, Matteo e Maria. Sospiro per calmarmi. I due capitani si stringono la mano, poi vanno nelle rispettive postazioni e l'arbitro fischia il calcio d'inizio. Dopo pochi minuti sia noi che loro abbiamo rischiato il gol. In un momento libero alzo lo sguardo sul tabellone dei minuti e vedo che siamo già quasi alla fine del primo tempo. Quando arriva a me il pallone, passato da Girelli, corro verso la porta dribblando qualche avversaria e, appena vedo una possibilità, lo passo a Bonansea. E lei porta la nostra squadra in vantaggio al quarantaquattresimo minuto. Dopo altri tre minuti l'arbitro fischia per interrompere il gioco e segnalare l'inizio dell'intervallo.
<<Tutto bene?>> mi domanda Margherita, mentre rientriamo negli spoiatoi. E solo ora mi rendo conto di essere stanca, con le gambe doloranti ed i capelli attaccati alla fronte ed alle guancie dal sudore.
<<Sono stanca>> ammetto.
<<E ci credo, hai corso tutto il tempo>> risponde lei. Appena mi siedo per riposare un attimo, le gambe iniziano a farmi sempre più male. Le massaggio un po' ma il sollievo è davvero poco.
<<Cos'hai?>> domanda Margherita, probabilmente vedendo la mia smorfia sul viso.
<<Non mi passa>> le rispondo.
<<Magari hai usato più energia possibile prima, senza considerare il secondo tempo. Eri agitata, penso che sia per quello che lo hai fatto>> dice Margherita. Annuisco. Mi alzo per camminare e sento già meno dolore. L'allenatrice si avvicina a noi sorridente, ma cambia espressione quando vede le nostre facce.
<<Alice, tutto bene?>> domanda. Scuoto la testa e le spiego.
<<Però va già meglio rispetto a prima>> aggiungo.
<<Ti metto ancora in campo, ma appena capisci che non ce la fai più mi fai un cenno, indicando le gambe, e ti sostituisco. Però devi farlo, non insistere nell'andare avanti, che fai solo del male a te stessa>>
Annuisco. In risposta mi da una pacca sulla spalla e mi fa l'occhiolino, poi risaliamo. Ci riposizioniamo in campo e guardo verso le panchine. L'allenatrice si avvicina a Margherita e lei inizia a scaldarsi. Sposto lo sguardo verso mio fratello, che mi fa l'occhiolino, poi riporto l'attenzione in campo. L'arbitro fischia, facendo iniziare il secondo tempo. Inizio a giocare, ma stando più attenta. Dopo un tempo interminabile alzo gli occhi sul tabellone e vedo che sono passati soltanto cinque minuti. Corro ancora per altri due minuti, poi mi fermo e guardo l'allenatrice, che annuisce e comunica il cambio. Alla prima palla fuori esco, abbracciando Margherita, che entra al posto mio. Prima di sedermi faccio un po' di stretching, che fa più male che mai. Poi mi siedo e mi massaggio le cosce ed i polpacci. Nel frattempo entrambe le squadre sono ancora allo stesso risultato del primo tempo. Dopo una quindicina di minuti dall'inizio del secondo tempo le avversarie corrono verso la porta e riescono a segnare, pareggiando. Vedo Margherita che guarda verso di me scoraggiata e le alzo i pollici per rassicurarla. Mi sorride e riprende a giocare. Nel frattempo il dolore è migliorato. Il gioco prosegue per altri venti minuti con occasioni da gol mancate o parate per entrambe le squadre. Al settantesimo minuto nella confusione di un calcio d'angolo viene toccato da un'avversaria, di braccio, il pallone nell'area di rigore. L'arbitro fischia per fermare il gioco, dandoci il calcio di rigore, che viene effettuato da Girelli. Cristiana si prepara per tirare. Al fischio calcia il pallone. Noi dalla panchina ci alziamo per esultare. Siamo in vantaggio. E dopo un'alta ventina di minuti il triplice fischio dell'arbitro conclude la partita, con la nostra vittoria. Margherita si avvicina a me e mi porge una mano. La afferro e mi aiuta ad alzarmi. L'abbraccio. E lei ricambia.
<<Come ti senti?>> domanda, ancora con il fiatone a causa della partita.
<<Meglio>> le sorrido. Seguiamo le altre nello spogliatoio. Dopo una doccia veloce ed essermi rivestita, afferro il borsone e, salutando le mie compagne, esco nei parcheggi dove trovo un po' di persone ad aspettarmi. Ed Irene, appena mi vede, mi corre incontro.
<<Alice, mi eri mancata>>mi abbraccia.
<<Anche a noi>> dice Diana, indicando se stessa, Matteo ed Eleonora.
<<Anche voi>> rispondo, sciogliendo l'abbraccio da Irene.
<<Ti fanno ancora male?>> domanda mio padre, indicando le gambe.
<<Poco, però sì>> gli rispondo.
<<Adesso andiamo a casa e ti riposi>> interviene mia madre. Annuisco e salgo in macchina, nei sedili dietro tra mio fratello e la mia migliore amica. Mi giro verso il finestrino e guardo fuori.
<<Quando ripartono?>> domando, indicando la macchina di Matteo.
<<Dopo cena>> risponde Marco.
<<Quindi vengono da noi?>> domando speranzosa. Mi sono mancati davvero e, non vedendoli spesso, sono sempre contenta se si fermano un po' di più. Mio padre annuisce.
<<Maria ti fermi da noi stasera?>> domanda mia madre.
<<Volentieri>> risponde lei, sorridendo. Sorrido anche io. Poi appoggio la testa sulla spalla di mio fratello, riporto lo sguardo fuori, sulla strada, e sento la stanchezza affiorare ed invadermi tutto il corpo. Le palpebre diventano sempre più più pesanti, fino a chiudersi. Mi addormento, sfinita, ma ancora sorridente.

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